Zanotti, Francesco Maria, Della forza de' corpi che chiaman viva, 1752

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Author: Zanotti, Francesco Maria
Title: Della forza de' corpi che chiaman viva
Year: 1752
City: Bologna
Publisher: Pisarri

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Copyright: Max Planck Institute for the History of Science (unless stated otherwise)
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Table of contents
1. Page: 0
2. DELLA FORZA DE’CORPI CHE CHIAMANO VIVA LIBRI TRE DEL SIGNOR FRANCESCO MARIA ZANOTTI AL SIGNORE GIAMBATISTA MORGAGNI. Page: 7
3. FRANCESCO TIBALDI a quelli, nelle cui mani verrà queſto libro. Page: 9
4. DELLA FORZA DE’ CORPI CHE CHIAMANO VIVA LIBRO I. AL SIGNOR GIAMBATISTA MORGAGNI. Page: 25
5. DELLA FORZA DE CORPI CHE CHIAMANO VIVA LIBRO II. AL SIGNOR GIAMBATISTA MORGAGNI. Page: 149
6. Fine del Secondo Libro. Page: 260
7. DELLA FORZA DE CORPI CHE CHIAMANO VIVA LIBRO III. AL SIGNOR GIAMBATISTA MORGAGNI. Page: 261
8. IL FINE. Page: 335
9. Die 13. Novembris 1751. Page: 336
10. Die 20. Novembris 1751. Page: 336
11. IMPRIMATUR. Page: 336
12. PAOLO SACCHI Libreria Antiquaria Ippogrifo Page: 342
13. PAOLO SACCHI Page: 342
1
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3
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511[Handwritten note 1]22[Handwritten note 2]
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7
DELLA FORZA DE’CORPI
CHE CHIAMANO VIVA
LIBRI TRE
DEL SIGNOR
FRANCESCO MARIA ZANOTTI
AL SIGNORE
GIAMBATISTA MORGAGNI.
Ne quali libri ha proccurato l’ Autore, quanto ha potuto,
di
promovere la quiſtione col ſolo diſcorſo metafiſico,
ſenza
aſſumere dalla geometria, ne dalla mec-
canica
altro, che le propoſizioni più note,
e
più comuni.
1[Figure 1]IN BOLOGNA MDCCLII.
Per gli Eredi di Conſtantino Piſarri, e Giacomo Filippo
Primodì
, Impreſſori del S.
Officio. Con lic. de’ Sup.
8
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9v
FRANCESCO TIBALDI
a quelli, nelle cui mani verrà
queſto
libro.
EGli ſuole aſſai ſpeſſo intervenire,
iettor
corteſe, che alcuni mettanſi
a
leggere un libro, e non ſapendo
quello
, che da eſſo aſpettar debba-
no
, aſpettin tutt’ altro da quello,
che
poi ritrovano;
di che condanna-
no
il libro ſteſſo, e ſe ne dolgono;
ne avverto-
no
, che il libro non è mancato forſe all’ intendi-
mento
, per cui fu ſcritto, ma ſolo a quello, per
cui
eſſi lo hanno letto.
Di che la colpa è bene
ſpeſſo
degli autori, i quali dovrebbono nel princi-
pio
delle loro opere dichiarare, e metter bene di-
nanzi
agli occhi quello, che in eße aſpettar deb-
baſi
;
e non permettere, che gli altri le leggeſſero
a
caſo, e ſi trovaſſero finalmente del loro ſtudio,
e
della lor fatica ingannati.
Il perchè avendo io
diliberato
di dare alle ſtampe la preſente operet-
ta
, non ſenza conſentimento del ſuo autore, con-
vengo
avviſarvi di alcune coſe, acciocchè non er-
riate
, e leggendola non dobbiate commettervi del
tutto
alla fortuna.
E prìmamente non ba già in-
teſo
l’ autore, ſcrivendo queſto libretto, di promo-
vere
la quiſtione della forza viva, et
10vi la di da quei termini, ai quali per opera di
molti
valentiſſimi uomini era giunta;
molto me-
no
poi ha voluto diffinirla, cosi che non debba re-
ſtarne
alcun dubio;
perciocchè egli non ſi tien da
tanto
, e ſi ha propoſto nell’ animo di trattare la
controverſia
, non di levarla.
Solamente ha proc-
curato
ſpiegarla, quanto potevaſi, col diſcorſo me-
tafiſico
, ſenza aſſumere dalle ſcienze matematiche,
ſe
non le propoſizioni più note e più comuni, e
ciò
a fine, che quelli, i quali ſon privi della geo-
metria
, e della meccanica più ſottile, non credan
per
ciò di dover’ eſſer anche privi d’ una quiſtion
così
illuſtre, e ſi diſperino di poterne intendere
veruna
parte;
il che ſarebbe danno della quiſtio-
ne
medeſima.
E queſta è la ragione, perchè io ho
creduto
far bene, ſtampando la preſente opera;
parendomi, che doveſſe eſſer utile a molti; e che
quantunque
l’ argomento non foſſe nuovo, foſſe
però
nuova la maniera di trattarlo.
Quelli adun-
que
, i quali hanno toccato alcun poco i principj
della
geometria e della meccanica, e ſanno qual-
cuna
delle propoſizioni più famoſe, potranno entra-
re
a leggere queſto libro con grande animo, ſicu-
ri
di doverlo intendere pienamente.
Gli altri, che
niente
ſanno di matematica, quantunque poſſano
leggerne
, et intenderne moltiſſime parti, tuttavia
debbono
eſſere avviſati, che perduta opera ſarebbe,
che
tutto il leggeſſero.
Ne è però, che quelli, i
quali
ſono negli ſtudj della geometria, e della
meccanica
verſatiſſimi, non abbiano ancb’ eſſi
11vii gno di qualche avviſo. Perciocchè molti di loro ſi
ſdegnano
di fermarſi nelle coſe, che eſſi ſtimano fa-
cili
, e vorrebbono entrar ſubito nelle più alte, e
più
recondite;
i quali però ſe hanno bene inteſo il
titolo
, che abbiamo dato al libro, do vrebbono anche
avere
inteſo, che egli è fatto per li meno fretto-
loſi
, e non per loro.
I più poi ſono cosi impazien-
ti
, che vorrebbono in ogni coſa udir ſubito la pro-
poſizione
, che vuol dimoſtrarſi, e venir toſto alla
dimoſtrazione
, ne ſoffrono verun’ indugio;
con che
ſi
allontanano dal ſermon comune e familiare, che
ſi
uſa tutto di nelle civili compagnie, dove non è
alcuno
mai, che argomenti con tanta fretta.
E tan-
to
più banno in odio ogni dimora, e ſi noiano del-
le
interrogazioni, e delle ampliazioni, e dei proe-
mj
;
ſe venga loro ſoſpetto, che ſieno fatti con qual-
che
ſtudio, e v’ abbia alcuna parte l’ eloquenza.
E queſti ancora poſſono rimaner ſi di leggere la pre-
ſente
operetta, a cui l’ autore, ſcrivendola, non
per
darla alle ſtampe, ma per ingannare il tempo
et
alleviar le ſue noje, ha voluto dar forma di
dialogo
;
la qual forma l’ ha aſtretto a ſeguire
una
maniera alquanto ampia di dire, che i più
dei
matematici non ſoffrono;
ma egli ha creduto
di
dover più toſto provedere a ſe ſteſſo, che a lo-
ro
.
Ne io mi ſarei avviſato di farla imprimere,
ſe
non aveſſi creduto, che foſſero ancor molti aſſai
più
pazienti, ai quali gli ornamenti del dialogo
non
diſpiacerebbono.
E certo io non ſo, per qual
ragione
debbano diſpiacere a veruno;
perchè ſe
12viii matematici ſteſſi, eziandio i più auſteri, e di-
ciam
pure, i più ſalvatichi, e rozzi, conſidere-
ranno
bene quello, ch’ e’ fanno nelle loro ſcuole,
troveranno
, che ridicono eſſi ancora le medeſime
coſe
più volte, e interrogano, e ſi laſciano inter-
rogare
;
e per renderſi attenti gli uditori commen-
dano
le coſe, che vogliono inſegnare;
e perchè ſie-
no
più dilettevoli, le ſpargon talvolta di leggia-
dri
motti;
il che ſe fanno con giudicio, e con pru-
denza
, ſono eloquenti ſenza avvederſene.
E ſe cosi
fatti
artificj uſano eſſi inſegnando nelle loro ſcuo-
le
, perchè non debbon ſoffrire, che ſi uſino ſcriven-
do
?
Oltreche a ſpiegar le quiftioni alquanto ſot-
tili
, e difficili, chi è che non abbia ſtimata ſempre
comodiſſima
la forma del dialogo?
la qual però ſa-
rebbe
inutile, ſe doveßer levarſene tutti quegli
artificj
, che ritardando la diſputa, la rendon tut-
tavia
molto più chiara, e più gioconda.
Dee dun-
que
eßer lecito in un dialogo trattener le quiſtioni
acciocchè
non vadano cosi ſubito alle loro ul-
time
conſeguenze, ma aſpettino fino a tanto, che
ſi
ſieno abbellite, et ornate.
Al che certamente mol-
ta
, e lunga opera ſi richiede.
Perchè io ſentj già
dire
a un ſavio uomo, e nelle lettere grandemente
verſato
, che il dialogo dee avere in ſe tutte le
bellezze
della commedia, con queſta differenza ſo-
la
, che dove nella commedia ſi intrecciano varie
avventure
, nel dialogo ſi intrecciano diſpute e ra-
gionamenti
;
ne dee però l’ intrecciamento di queſti
nel
dialogo eſſere men veriſimile, ne meno
13ix glioſo che l’ intrecciamento di quelle nella comme-
dia
.
Dee dunque nel dialogo parere, che quei ra-
gionamenti
, che vi ſi raccontano, ſieno veramente
ſtati
fatti, et in quel modo;
onde biſogna, che pa-
jano
di tanto in tanto naſcere a caſo, perchè cosi
per
lo più ſoglion naſcere nelle comuni compagnie;
e che ſieno accomodati alla condizione, et al gene-
re
delle perſone, che ragionano;
cosi che vi ſi veg-
ga
anche il coſtume;
ne debbono sfuggirſi le di-
greſſioni
vaghe e dilettevoli, cercando in ogni par-
te
la varietà e la copia.
E ſopra tutto vuol’ eſ-
ſere
il dialogo maraviglioſo, cosi che anche in que-
ſto
niente ceda alla commedia;
il che s’ ottiene per
le
dimande, e molto più per le riſpoſte inaſpettate;

e
faccendo uſcir talvolta il diſcorſo, donde men ſi
credea
, che uſcir doveſſe, e ricominciar la quiſtio-
ne
, dove parea finita;
e torcendo anche ſpeſſo gli
argomenti
per modo, che n’ eſcano le conſeguenze
improvviſe
, e contrarie a quelle, che ſi aſpettava-
no
.
A tutto ciò ſi aggiunge, che ricercaſi al dia-
logo
un dir domeſtico e familiare quaſi come al-
la
commedia, con una perpetua giocondità, ſparſa
di
varie facezie, e quelle non già frivole e pue-
rili
, ma quai ſi convengono ad uomo d’ alto inge-
gno
, e di grande animo;
e molto meno vili e ple-
bee
;
che, tali eſſendo, anche alle commedie ben fatte
ſi
disdicono.
Nella qual’ arte, come in ogni coſa,
furono
veramente eccellentiſſimi Cicerone tra i la-
tini
, e tra i noſtri il Caſtiglione.
Ora non potreb-
bono
certamente ſeguirſi tutti queſti artificj,
14x darſi al dialogo tanta vagbezza, e varietà, qual-
ora
ſi eſponeßer le coſe con quella fretta, che ſuol
piacere
ai matematici:
della quale quelli, che ſo-
no
vaghi, e la vogliono per tutto, non dovranno
per
mio avviſo leggere il preſente libro.
Sebbene
ſaranno
anche di quegli, i quali, quantunque ami-
no
il dialogo, e ne prendan piacere, non vorranno
però
concedergli una certa libertà, che gli è ſtata
ſempre
conceduta, di ſcherzar talvolta, e metterſi
in
dimeſtichezza:
ed altri, ſe egli è ſcritto in ita-
liano
, vorranno riprenderlo, ove non oßervi le re-
gole
della lingua fiorentina.
E cosi gli uni come
gli
altri mi pajon degni di avviſo.
Però comin-
ciando
dai primi:
non ſi accorgono eſſi, che le van-
do
al dialogo ogni ſcherzo, gli levano eziandio ogni
giocondità
?
levata la quale, che accade più ſcriver
dialoghi
o leggerne?
E certo che il dialogo altro
non
è, che una imitazione, e per così dire un’ im-
magine
delle oneſte e civili compagnie, alle quali
pare
, che molto manchi, mancando la dimeſtichez-
za
, e la libertà.
Ma eſſi pur vorrebbono, che, par-
landoſi
delle loro ſcienze, ſi parlaſſe ſempre ſtan-
do
in piedi, e con la berretta in mano, e maſſi-
mamente
faccendoſi menzione di quei grandi uo-
mini
, che eſſi adorano, ſi piegaſſe il capo per ri-
verenza
ogni volta, che ſi nominano, come foſſero
tanti
Numi;
il che ſtancherebbe le perſone, che
ſi
introducon nel dialogo, le quali per lo più vo-
gliono
ſtarvi con comodo, e ſcherzar tra loro con
libertà
, e ſollazzarſi.
Et è ben coſa da
15xi che quando quelli, che parlano, moſtrano di ave-
re
gli uomini, di cui parlano, per dabbene e coſ-
tumati
, et oltre a ciò per valoroſi nelle arti lo-
ro
, non poſſan poi uſare una burla, ne ſcherzan-
do
dire:
coteſta opinione è troppo altiera: tu se’
malizioſo
:
et altre tali coſe, che, dette manife-
ſtamente
per iſcherzo, contengono più toſto laude
che
biaſimo;
e certamente non moſtrano cattivo
animo
, ne inimichevole in chi le dice.
Ne certo
volle
il Bembo, che doveßero inimicarſi tra loro
Giſmondo
e Perottino, benchè l’ uno accuſaſſe l’
altro
di menzogna, anzi inteſe, che foſſer tra
loro
amiciſſimi;
e la Signora Emilia Pia non eb-
be
a male, che il Conte Lodovico da Canoſſa le
riſpondeße
, che non potea mancare chi contraddi-
ceſſe
al vero, ovunque ella foße;
e di queſti e-
ſempi
il Caſtiglione è pieno.
Ma oggidì ſono mol-
ti
, maſſime in queſta noſtra Città, tanto vezzoſi,
che
ragionando delle lor profeſſioni non vogliono,
che
ſi rida, e ſe il fai, ſe ne turbano:
i qua-
li
però ſappiano, che io gli ho riguardati tanto,
che
per riſpetto di loro io avea già quaſi depoſto
il
penſiero di dare queſt’ operetta alle ſtam-
pe
;
e l’ autore ſteßo parea, che me ne diſtoglieſ-
ſe
.
Il quale, avendogli io ſignificato per lettere
di
volerla fare imprimere, così mi riſpoſe:
vede-
te bene, che alcuni non ſe ne offendano;
per-
chè ſebbene in queſto libro ſi moſtra per tutto
grandiſſima ſtima degli altri, i più dei letterati
non ſe ne contentano, e vogliono bandire ogni
16xiifamigliarità et ogni ſcherzo; e queſta credono
eſſere la maniera, che debba tenerſi ſempre da
chiunque ſcrive;
faccendo come i noſtri Lom-
bardi, i quali, eſſendo ſtati alle corti, ſi cre-
dono, che in tutti i tempi, e a tutte le occa-
ſioni debba parlarſi con quella ſteſſa ſerietà, e
circoſpezione, con cui hanno veduto, che ſi par-
la co i gran Signori;
e dovunque ſieno, ſem-
pre ſono nell’ anticamera di qualche Re;
e non
intendono, che quello, che è forſe laude in un
luogo, è molte volte affettazione in un’ altro.

Et
aggiugneva poi in altro luogo della ſteßa ſua
lettera
:
io non credo però, che dovrà alcuno
accuſarmi di mal’ animo, conſiderando, che
io ho introdotto me ſteſſo nel mio dialogo, ne
ho dubitato di far, che altri uſino verſo me del-
la medeſima libertà, di cui tutto il dialogo uſa
verſo gli altri;
e ſcherzando mi chiamino talvolta
ſofiſtico, e malizioſo, e mi rimproverino, ch’
io dica il contrario di quel, che penſo;
i quali
ſcherzi ſe io gli aveſſi per ingiurie, non avrei
voluto, che altri me gli diceſſe.
Così mi ſcriſſe l’
autore
.
E a dir vero l’ ultima ragione per lui ad-
dotta
, parendomi aſſai valevole a dimoſtrare l’
animo
ſuo amichevole verſo tutti, fece , che io
non
deponeſſi il penſiero di imprimere l’ ope-
retta
.
Il che, ajutantemi Iddio, farò ora, non.
ſenza però ſupplicar prima i dilicati, e tutti quel.
li
, che non vogliono concedere al dialogo niuna di-
meſtichezza
ne famigliarità, di non leggerla.
17xiii già di queſti s’ è detto abbaſtanza. Gli amatori
poi
della lingua fiorentina, percioccbè biſogna ſvel-
ler
dal loro animo alcune opinioni dall’ uſo, e dall’
età
confermate, meritano più lungo avviſo.
Io dico
dunque
, che ſe lor piace lo ſcrivere, e il parlar
fiorentino
, non ſolamente io non gli riprendo, ma
grandemente
gli laudo;
pruchè non vogliano aſtrin-
ger
tutti alla medeſima uſanza, e ſoffrano, che ſi
ſcriva
anche talvolta in altra lingua.
Perchè ſeb-
bene
fra tutte le lingue, che s’ uſano in Italia,
non
può negarſi, che la più leggiadra, e la più
colta
, e la più nobile non ſia la Fiorentina;
ha
però
un’ altra lingua, che può chiamarſi Italiana,
e
ſi forma e raccoglie da tutte quelle, che parlan.
ſi nelle provincie dell’ Italia, la qual ſebbene
non
arriva, ſecondo ch’ io giudico, alla leggiadria
et
alla grazia dei Toſcani, è però bella aßai, e
propria
, e chiara, e riſplendente, così che uno, che
prenda
a ſcrivere in eßa, mettendovi il debito ſtu-
dio
, non dee diſperarſi di poter ſcrivere eccellen-
temente
.
Anzi avviene non poche volte, che uno
ſcriva
aßai meglio in queſta lingua men bella,
che
non farebbe, ſe voleſſe ſcrivere nella fioren-
tina
belliſſima;
in tanto che io conſiglierei molti,
maſſimamente
di quelli, che non ſon nati in To-
ſcana
, a voler piuttoſto parer buoni italiani ſcri-
vendo
in italiano, che parer cattivi fiorentini vo-
lendo
ſcrivere in fiorentino.
Ne di ciò debbono
ſdegnarſi
i Fiorentini ſteſſi;
i quali amando tan-
to
, e con ragione, quella lor lingua,
18xiv aver caro, che gli altri, per volere imitarla, non
glie
la guaſtaßero.
E certamente quelli, che la
guaſtano
, e volendo ſcrivere nella fiorentina lin-
gua
, non ne hanno ne il ſapore ne la grazia, tan-
to
più mi pajon da riprendere, che avendo eſſi per
le
mani un’ altra lingua, in cui potrebbono forſe,
ſe
vi applicaſſer l’ animo, ſcrivere leggiadramente,
la
traſcurano, ancorchè non manchino loro grandiſ-
ſimi
e nobiliſſimi eſempi.
Che di vero l’ Arioſto
ſcrivendo
, come e’ ſcriſſe, non moſtrò gran fatto
di
voler ſottoporſi alle regole del parlar fiorenti-
no
;
il Caſtiglione nel ſuo belliſſimo Cortegiano cer-
to
non volle.
E qneſti pur furono nello ſcrivere
eccellentiſſimi
.
E potrei addurne molt’ altri, i
quali
ſcrivendo in italiano, banno ſcritto tanto
bene
, che i Fiorentini ſe gli banno poi preſi, et
annoverati
fra i ſuoi autori, credendo, che tutto
quello
, che è ben ſcritto, ſia degno di eßere fio-
rentino
.
Con che banno aſſai dimoſtrato, quanto
apprezzino
le altre lingue dell’ italia, et ban fat-
to
animo a chiunque voglia dell’ altre lingue ſer-
virſi
;
potendo oggimai ſperare ognuno, che in eſ-
ſe
ſcriva, purchè abbia vagbezza e grazia, di di-
ventar
fiorentino una volta.
mi ſi dica, che
permettendo
io a gl’ Italiani di ſcrivere in lin-
gua
italiana ſenza ſoggettarſi alle regole del par-
lar
fiorentino, io voglia conceder loro una sfrena-
tiſſima
libertà di uſar tutte le parole, e tutti i
modi
, che lor vengono a mente, ſenza diſtinzio-
ne
, e ſenza regola niuna.
Perciocchè in
19xv que lingua l’ uom ſcriva, ſe vuol ſcriver bene, e
con
lode, biſogna che oßervi le regole di quella
lingua
, in cui ſcrive;
et oltre a ciò raccolga le
parole
e le forme più vaghe, e più proprie di eſ-
ſa
, così che induca nell’ orazione un certo, per
così
dir, ſapore, che ne diſtingua il linguaggio,
et
una certa urbanità, la quale Cicerone ſtimò
neceßariiſſima
in ogni diſcorſo, quantunque con-
feſſaße
di non ſaper diffinirla.
E certo i grandiſ-
ſimi
ſcrittori l’ banno ſempre con ogni ſtudio proc-
curata
, faccendo ſcelta di quelle forme, che ſti-
maron
più proprie, e per così dir native di quel.
la lingua, in cui ſcrivevano. E noi veggiamo,
che
l’ Arioſto volle più toſto dire:
Che furo al tempo che paſſaro i Mori
che dire:
Che fur nel tempo, in cvi paſſaro i Mori
et
amò meglin di dire:
ſopra Re Carlo, che:
ſopra il Re Carlo. E il Caſtiglione nel principio
della
ſua lettera al Veſcovo di Viſeo diße:
paſsò,
di queſta vita, e non:
paſsò da queſta vita, o:
morì, perchè quand’ anche non foſſe errore il di-
re
a queſt’ ultimo modo, pure non può negarſi,
che
quella prima maniera non abbia molto più gra-
zia
.
E certo altra vagbezza ha il dire: vedi a
cui io do mangiare il mio, come diſſe il Boccac-
cio
, che non avrebbe il dire:
vedi a qual perſo-
na io do da mangiare la roba mia.
Le quali mi-
nuzie
ſon veramente minuzie, et ognuna da ſe
è
di pochiſſimo momento;
ma tutte inſieme,
20xvi done fparſa l’ orazione, maſſimamente ſe ſi faccia
per
modo, che non moſtriſi troppo ſtudio, le acqui-
ſtano
quell’ odore di urbanità, che tanto piacque a
Cicerone
.
Ora quelli, che non vogliono ſcrivere
fiorentino
, dicendo, che baſta loro di ſcrivere ita-
liano
, io voglio, che ſappiano in primo luogo, che,
così
ſcrivendo, non poßon già uſare qualunque vo-
ce
o forma lor piaccia, ma debbono, ſe voglion
pur
ſcrivere leggiadramente, raccoglier le più bel-
le
, e le più proprie di tutte le lingue dell’ Ita-
lia
;
con che ſi addoſſano non guari minor pe-
ſo
, che ſe voleſſero ſcrivere fiorentino.
Ma al-
cuni
diranno, queſta fatica eſſer ſoverchia;
percioc-
chè
i rettori inſegnano, potere introdurſi vocaboli
foreſtieri
e nuovi;
e doverſi arriccbir la lingua;
per la qual coſa non hanno poi eſſi difficoltà veru-
na
di dir tutto quello, che banno udito in qual-
ſivoglia
luogo o compagnia ſenza giudizio, e ſen-
za
ſcelta niuna.
Nel che ſi ingannano grandemen-
te
.
Perciocchè l’ introdurre nuove voci non è, ne
può
eſſer opera d’ un uomo ſolo, ne manco d’ al-
cuni
pochi;
ricercandoviſi la conſuetudine, che ſi for-
ma
da molti e in lungo tempo;
concioſiacoſache
un’
vocabolo allora ſolo può dirſi introdotto in una
lingua
, quando le orecchie delle perſone, che guſta-
no
quella tal lingua, hanno cominciato a ricever-
lo
volentieri, e con piacere;
il che non può farſi
ſe
non per un lungo uſo.
E ſe così non foſſe, po-
trebbe
ognuno, uſando qualſiſia vocabolo una vol-
ta
ſola, pretendere, che egli foſſe divenuto
21xvii lingua; e addur per ragione, che la lingua non
dee
rifiutare le voci nuove, anzi dee arricchir ſe-
ne
;
ma con tutto queſto però il vocabolo ſi rimar-
foreſtiero e barbaro, fino a tanto che la con-
ſuetudine
lo approvi.
Ne io avrò mai per voci
italiane
ne immiarſi, ne incinquare, come che le
abbia
dette una volta il divino Dante;
non po-
tendomi
capir nell’ animo, che debbano averſi per
voci
italiane quelle, che gl’ Italiani generalmen-
te
abborriſcono.
‘Può dunque un uomo ſolo propor
talvolta
alcuna voce nuova o foreſtiera, e commet-
terla
alla ventura, come fece Dante molte volte,
e
più felicemente di lui il Petrarca;
ma ſe le orec-
chie
la rifiutano, non potrà mai fare che ella ſia
della
lingua, ne poſſa dirviſi introdotta.
Laonde
quelli
, che banno pur voglia di introdur nuove
voci
, e ſtimano gran lode l’ inventarne alcuna;
come non ſon ſicuri dell’ eſito, così dovrebbono far-
lo
rade volte, e non ſenza molta diſcrezione e giu-
dicio
;
anzi dovrebbono eſaminar prima, ſe le vo-
ci
, che vogliono introdurre, ſieno tali, che poſſa.

no
piacere a quelle perſone, che hanno già avvez-
zate
le orecchie alla lingua, e guſtatone alquanto
la
bellezza, maſſimamente leggendo i libri buoni.

Perchè
di vero la lingua italiana componendoſi del-
le
vocí e delle forme migliori di tutte le provin-
cie
, può dirſi, che non ſi parla in niuna provin-
cia
;
laonde biſogna più toſto apprenderla dai libri:
il
che non , ſe non poßa dirſi anche della fiorenti-
na
.
Che ſe la vagbezza di introdur voci
22xviii e foreſtiere, (che è oramai tanto ſparſa per l’ Ita-
lia
, che pare una certa peſtilenza) foſſe congiun-
ta
a quella avvertenza, e a quel giudicio, che
abbiamo
detto, conſerverebbeſi il bel parlare italia-
no
;
ne ſi udirebbe cosi frequentemente, come s’ ode
in
più luoghi d’ Italia, ne pareſſoſo per pigro,
ne
difeſo per vietato, ne giorno per lume, ne
ſi
avrebbe tutto ’l di in bocca:
mi l’ onore,
e
avanzo la notizia;
perciocchè queſte ed altre
forme
venute d’ oltremonte non ancora han potu-
to
piacere a quelli, che banno guſto di lingua italia-
na
;
e dovrebbono perciò o uſarſi con gran cautela,
o
sfuggirſi del tutto.
Ne vale il dire, che il popolo
le
ſoffre, e le amano i nobili e i gran Signori;
per-
ciocchè
il popolo è contento di intender la coſa, che
ſi
dice, comunque ſi dica;
ne cerca, ne , che coſa
ſia
leggiadria ne grazia di bel parlare;
laonde è
coſa
vana cercar di piacergli in ciò.
I nobili, la
più
parte, e maſſimamente i gran Signori, poco dal
popolo
ſi allontanano;
e quelli di loro, che banno
guſto
di ſcrivere (ſe n’ è alcuno, che l’ abbia) a-
borriſcono
eſſi pure coteſto uſo così frequente delle
forme
foreſtiere, e l’ hanno per grandiſſima affetta-
zione
;
quelli poi, che le uſano, e le amano tanto,
le
uſano non per farle divenir italiane, ma per pa-
rere
foreſtieri eſſi;
che, non come, banno preſo in
aborrimento
la lor nazione, e niente più ſtudiano
che
di non parere italiani;
non ſapendo forſe, che
la
nazione Italiana è così ſplendida e nobile, come
qualunque
altra.
Io concederò dunque che
23xix o ſcrivendo a queſti Signori in particolare, e volen-
do
per qualche oneſto fine piacer loro unicamente, ſi
debbano
uſar quelle forme, che più loro piacciono;
perchè in tal caſo dovrehbe ſcriverſi anche in piemon-
teſe
, o in romagnuolo, ſe così voleſſero.
E lo ſteſſo
vorrebbe
farſi anche ſcrivendo al popolo.
Ma non per
ciò
dovrà dirſi, che quello ſia uno ſcriver bello ita-
liano
, non potendo eßere bello ſcrivere italiano ſe
non
quello, che piace agli amatori dell’ italiana lin-
gua
.
Ma già m’ avveggo d’ eſſermi eſteſo ſopra ciò
troppo
più lungamente, che non conveniva.
Però tor-
nando
al propoſito, quantunque per mio avviſo debba
eſſer
lecito a ciaſcuno di ſcrivere in quella lingua, che
più
gli piace, o italiana, o fiorentina;
ſe però ſono
alcuni
, che tanto amino la lingua fiorentina, che non
poſſano
amar altro;
io gli eſorto di non leggere il
preſente
libretto;
perciocchè l’ autore, come un gior-
no
mi diſſe egli ſteſſo, ha ſtudiato tanto poco di
farlo
in buona lingua, che non che in fiorentino,
teme
di non averlo fatto ne pure in italiano;
ma
ſcrivendo
il libro tra molte angustie d’ animo, e
ſolamente
per ſollevar ſe medeſimo, non ha creduto
di
dover mettere molto ſtudio per ſatisfare agli altri.

Ben’ è vero, ſoggiugneva egli, che ſe il libro
venir doveſſe nelle mani delle perſone, biſogne-
rebbe avviſarle prima di queſto ſteſſo;
e far lo-
ro intendere, che io ſo bene ( diceva egli) di
non aver’ adempiute le parti di buon ſcrittore,
ne di aver dato al dialogo quegli ornamenti,
e quelle grazie, che ſi richiedevano;
acciocchè
24xxſe alcuno mi accuſaſſe, che io abbia ſcritto
rozzamente, non debba anche accuſarmi, che
io non l’ abbia conoſciuto.
E per non dimi-
nuire la gloria de’ valenti uomini, ſarebbe
anche neceſſario far ſapere a tutti quelli, che
foſſer per leggere l’ operetta (ſe alcuno però
di tanto la ſtimaſſe degna) che il dialogo è
finto del tutto, e ſecondo che è coſtume dei
dialoghi fa dire alle perſone quello, che non
hanno mai detto.
Perchè di vero ſe quei ſin-
golariſſimi et eccellenti uomini, che io ho in-
trodotto a ragionare, aveſſero parlato di quell’
argomento ſecondo l’ opinione e il ſentimento
loro, e con quella facondia, che è loro pro-
pria, avrebbono detto coſe molto migliori, e
molto meglio.
Così mi diſſe l’ autor medeſimo, a
cui
credo di aver ſoddisfatto baſtantemente, rife-
rendo
le ſue ſteſſe parole.
Deſidero, dando il libro
alle
ſtampe, di ſoddisfare anche ai lettori;
e ſe ſa-
ranno
tali, quali in queſto mio ragionamento ho
moſtrato
di voler, che ſieno, non ſo perchè non deb-
’ba
ſperarlo;
maſſimamente ſe vorran legger con at-
tenzione
, e non paßare avanti prima di aver be-
ne
inteſe tutte le coſe antecedenti;
il che ſe è ne-
ceßario
in ogni libro, io credo, che in queſto ſia
neceßariiſſimo
.
Le Figure ſi citeranno nel margine, et ognuna ſervirà per
tutto
quel tratto, che ſegue fino ad una nuova cita-
zione
.
251
DELLA FORZA DE’ CORPI
CHE
CHIAMANO VIVA
LIBRO I.
AL SIGNOR
GIAMBATISTA MORGAGNI.
HO dubitato grandemente fra me me-
deſimo
, Signor Giambatiſta cariſ-
ſimo
, ſe conveniſſe, che io pren-
deſſi
a ſcrivere di una quiſtione
per
tanto tempo, e da tanti eccel-
lentiſſimi
uomini trattata, et illu-
ſtrata
, quale ſi è queſta, che oggidì ſi fa nelle
ſcuole
, ſopra quella forza, che alcuni attribui-
ſcono
a corpi, e chiaman viva;
e ſcrivendone
pure
, doveſſi indrizzarmi a voi, diſtogliendovi,
o
dalle voſtre occupazioni, o dal voſtro ozio.
Imperocchè avendo di quella ſcritto prima di ogn’
altro
l’ incomparabil Leibnizio, et eſſendo ſtata
dopo
aſſai lungo intervallo dal chiariſſimo Ber-
nulli
rinovata la controverſia;
nella qual poi tanti
nobiliſſimi
filoſofi di Francia, di Germania, d’ In-
ghilterra
, d’ Italia, d’ Europa tutta ſi ſono eſerci-
tati
, e tratti chi da un’ opinione, e chi da un’
altra
, tanti ſcritti ne han dato fuori;
chi è,
262DELLA FORZA DE’ CORPI deſideri, che più oltre ſe ne ſcriva? Che anzi io
mi
credo eſſer molti, i quali vorrebbono, che
non
ſe ne foſſe fcritto tanto.
Ne io certamente
contraſtarei
loro ſopra ciò;
e tanto meno il fa-
rei
, che io temo, che voi, l’ autorità del quale
più
vale preſſo di me, che quella di tutti gli al-
tri
, ſiate pure della medeſima opinione;
e certa-
mente
avete più, che ogni altro, ragione di eſ-
ſerlo
.
Perciocchè eſſendo voi in tante e ſi diver-
ſe
arti, e ſcienze, e in tutti i più nobili, e gen-
tili
ſtudj eccellentiſſimo, par che non dobbiate
poter
fermarvi lungamente nella ſteſſa coſa, ne
eſſere
troppo ſpeſſo richiamato alla medeſima qui-
ftione
.
Senza che negar non potete, che in mez-
zo
a tanti ſtudj, ne quali ſiete grandiſſimo, e
ſommo
, abbiate tuttavia ſingolarmente rivolto l’
animo
alla notomia, nella quale, aggiungendo i
voſtri
belliſſimi ritrovamenti ad una perfettiſſima,
e
quaſi infinita conoſcenza degli altrui, tanto in-
nanzi
proceduto ſiete, che par che ad uomo
mortale
, ſapendo tanto in queſto genere, non.
ſia lecito ſaper’ altro. E certo leggendo io le.
voſtre
maraviglioſe opere ( di che non è coſa,
ch’
io faccia ne più ſpeſſo ne più volentieri)
ſoglio
ſempre maravigliarmi grandemente, come
voi
trattando materie anatomiche, non ſola-
mente
vi dimoſtriate di quello, che voi tratta-
te
, ſopra ogni altro peritiſſimo, ma anche do-
vunque
il luogo, e l’ argomento il richieggano,
in
infinite altre ſcienze dottiſſimo, ne ſolo
273LIBRO I. quelle, che ſon propinque, e per così dir fini-
time
alla notomia, come ſarebbono la medici-
na
, la chimica, la chirurgia, la naturale iſto-
ria
, ma anche nella dialettica, nella fiſica, nella
matematica
, nella filoſoſia tutta, nelle quali tan-
to
ſavio vi dimoſtrate, che ben ſi vede, che po-
treſte
trattare ancor queſte ottimamente, ſe vole-
ſte
.
Et oltre a tanta dottrina avete anche ador-
nata
la notomia voſtra di così vaga e leggia-
dra
forma di ſcriver latino, che io non ſo, qual
Muſa
aveſſe potuto ornarla meglio.
Alle quali
coſe
tutte ( ſe io voleſſi pure paleſare al Mondo
ciò
, che pare, che voi abbiate voluto, che ſia.
naſcoſto ) potrei aggiungere un perfettiſſimo, e
finiſſimo
diſcernimento in ogni maniera di poeſia
volgare
, e latina, et una certa ſingolar grazia di
ſcriver
toſcano, nel quale parmi aſſai volte, che
volendo
imitare quegli antichi eccellentiſſimi
ſcrittori
, gli abbiate anzi ſuperati.
E forſe an-
cora
in queſti ſtudj avete cercato alcun’ orna-
mento
alla voſtra Notomia.
La qual però ſe vi
ha
conceduto di poter traſcorrere in eſſi di quan-
do
in quando, e dar loro qualche parte del vo-
ſtro
ozio, riſerbando a ſe ſteſſa tutte le voſtre
fatiche
, non ſo ſe vi permetterà così di leggie-
ri
, che vi fermiate lungamente ſu le medeſime
coſe
, e ritorniate più volte con l’ animo alla.

ſteſſa
quiſtione;
tanto più che per l’ altezza del
grandiſſimo
ingegno voſtro non ne avete in al-
cun
modo biſogno.
Il perchè io ho temuto
284DELLA FORZA DE’ CORPI gamente di commettere error troppo grave, et
eſſer
moleſto a voſtri ſtudj, ſe io vi richiamaſſi
ad
una controverſia, della quale avete già inteſo
da
lungo tempo i principj e i proſeguimenti, e le
ragioni
tutte eſaminate così che nulla vi reſta or-
mai
da eſaminare.
Pure ho voluto far prova an-
che
in queſto dell’ amore verſo me voſtro, et eſ-
ponendovi
una materia, che voi molto meglio di
me
ſapete, mettervi innanzi una ſcrittura, la.
quale eſſendovi del tutto inutile, pur vi piaceſſe,
ſe
tanto vaglio appreſſo voi, perchè mia.
Et ho
voluto
vedere, ſe diſcoſtandovi pur talvolta dal-
la
notomia per amore dell’ altre ſcienze, vorre-
ſte
diſcoſtarvene alcun poco anche per amor mio.

Il
che ſe io otterrò (che non è cofa, che io non
ſperi
dall’ amor voſtro) meno mi curerò del giu-
dizio
degli altri, ne temerò che alcuno mi ripren-
da
di aver poſto l’ opera mia inutilmente, ſcri-
vendo
un libro, col quale voi abbiate potuto ſol-
levar
l’ animo, e paſſar volentieri una parte del
voſtro
ozio;
di che anzi tutti gli ſtudioſi delle
buone
arti per quell’ amore grandiſſimo, che han-
no
et avranno ſempre di voi, dovranno, cred’
io
, ſenza fine ringraziarmi.
Ne io voglio però
arrogarmi
tanto per me ſteſſo;
anzi ben conoſcen-
do
di non poter da me ſolo trattenere l’ altiſſimo
ingegno
voſtro, ho ſtabilito di eſporvi alcuni
ragionamenti
, i quali leggendo dovrete credere,
che
ſieno ſtati, una gran parte, fatti, non da
me
, ma da alcuni chiariſſimi, e nobiliſſimi
295LIBRO I. riti, co’ quali io uſai famigliarmente in Napoli
l’
anno paſſato;
e quand’ anche non gli aveſſero
fatti
eſſi, pure vi piacerà di crederlo, e dovrà eſ.
ſervi cara e gioconda la memoria de i nomi lo-
ro
.
E a dir vero quantunque la Città di Napo-
li
in quel poco tempo, che io vi dimorai, mi pa-
reſſe
oltremodo nobile, e magniſica, e ſopra o-
gni
altra città del mondo vaga, e dilettoſa, aven-
dola
la natura di tanto ornata, che pare non a-
ver
voluto, che vi ſi doveſſe gran fatto deſiderar
l’
arte, tuttavia niuna altra coſa maggiormen-
te
mi piacque, che le belle, e gentili manie-
re
degli abitanti, de’ quali trovai toſto al-
cuni
di così raro ingegno, e di tanto alta
ſcienza
, oltre la corteſia e la gentilezza, for-
niti
, che mi parvero poter da ſe ſoli far belliſſima
quella
maraviglioſa città, quand’ anche tutti gli al.

tri
ornamenti le foſſer mancati.
Uno di queſti ſi
il
Signor D.
Franceſco Serao, che tanto vale in
filoſoſia
, e in medicina, quanto voi ſapete;
in
eloquenza
poi, e in ogni bell’ arte, quanto non
può
ne ſapere ne immaginarſi chiunque non l’
abbia
conoſciuto, e familiarmente trattato;
im-
perocchè
ſcrive egli nell’ una, e nell’ altra lin-
gua
tanto eccellentemente, che può con gli an-
tichi
paragonarſi;
e certo io il direi il maggio-
re
, e il più ornato medico, e filoſoſo de no-
ſtri
, ſe di voi non mi ricordaſſi.
Eravi an-
che
il Signor D.
Nicola di Martino, lume chia-
riſſimo
della Italia, a cui niente manca di
306DELLA FORZA DE’ CORPI che a grandiſſimo, e ſommo filoſoſo ſi richie-
de
, eſſendo nella geometria, e nelle altre ma-
tematiche
ſcienze tanto valoroſo, che appena che
alcuno
poſſa eſſergli in queſta laude uguale;
et
io
dubitai molto ſe alcuno poteſſe eſſergli ſupe
riore
.
A queſti due aggiungevaſi il Signor D.
Felice Sabatelli, che io avea già conoſciuto in
Bologna
, quando egli, eſſendo ancor giovane,
dava
opera all’ aſtronomìa, e fin d’ allora mo-
veva
di ſe una grandiſſima eſpettazione, la qua-
le
egli ha poi di gran lunga ſuperata.
Fra que-
ſti
ebbi anche il piacer di conoſcere il Signor
Marcheſe
di Campo Hermoſo, giovane grazio-
ſiſſimo
, e di maraviglioſo ingegno, il quale era
venuto
allor di Palermo per veder la Corte, et
aveva
ſtudiato due anni filoſofiæ in quella cit-
, avendone appreſo i principj in Alcalà;
et
era
intentiſſimo alla geometria, et all’ algebra,
delle
quali ſapea ſopra l’ età ſua.
men
lui
, ne con minor lode eſercitavaſi ne medeſi-
mi
ſtudj il Signor Conte della Cueva, che qui-
vi
pur conobbi;
e tanto era l’ ingegno, che di-
moſtravano
queſti due giovani, che pareva niuna
coſa
eſſere così grande, che non doveſſe da loro
aſpettarſi
.
Et è grandemente da deſiderare che
l’
uno dall’ eſempio del padre, e l’ altro da
quel
de i fratelli valoroſiſſimi in arme, non ven-
gano
diſtolti dagli ſtudj per vaghezza di una
gloria
più faticoſa:
che certamente dovranno le
ſcienze
trar da eſſi grandiſſimo lume, ſe il
317LIBRO I. ſiderio della guerra laſcierà loro ſoffrir l’ ozio
delle
lettere.
Io tralaſcio di nominar molti al-
tri
, che troppo lungo ſarebbe.
Sol vi dirò, che
io
vidi quella famoſa, e gentile raccoglitrice di
tutti
i più nobili, e leggiadri ingegni, voglio
dire
la Signora Donna Fauſtina Pignatelli Prin-
cipeſſa
di Colobrano, delle cui lodi io non
prenderei
a dire, ſe non ſe quando mi aveſſi
propoſto
di non parlar più d’ altro;
che trop-
po
duro mi ſarebbe dover finir di lodarla, aven-
do
cominciato, e paſſar ad altro argomento;
ne temerò d’ eſſer ripreſo di ciò, ch’ io dico, da
chiunque
l’ abbia conoſciuta.
Che di vero quan-
ti
ornamenti può aggiungere alla bellezza et al-
la
grazia un ſublimiſſimo ſpirito et una rara
intelligenza
di tutte le coſe, eziandio più ſotti-
li
, e recondite, accompagnata da ſomma chia-
rezza
, e da un grazioſiſſimo modo di dirle ed
eſporle
, tutti in lei ſono maraviglioſamente rac-
colti
, ſenza che poſſa diſtinguerſi, qual di lo-
ro
maggiormente riſplenda.
De quali io non
poſſo
giammai ricordarmi ſenza che mi tornino
inſieme
alla memoria la corteſia, l’ affabilità,
la
piacevolezza, ed una ſingolare ſoavità di ma-
niere
e di coſtumi, che ella congiunge con tan-
to
ſenno e gravità, che ben ſi moſtra anche nel-
le
facezie, e nei motti eſſer Signora grandiſſima;

ne
è coſa che ella faccia, cui non ſeguano,
come
fedeli compagne, la giocondità, e la gra-
zia
.
Il percbè io mi eſtimo fortunatiſſimo di
328DELLA FORZA DE’ CORPI ſere ſtato preſſo una tal Signora alcun giorno;
e mi parrebbono infeliciſſimi tutti quelli, che
mai
non l’ hanno veduta, ſe, non avendola mai
veduta
, poteſſero immaginarſi tanta virtù.
Que-
ſta
Signora adunque per mia ſomma ventura io
vidi
in Napoli;
e quando con uno, e quando
con
un’ altro di quei Signori, che ſopra
nominati
, la viſitava il più ſpeſſo che io pote-
va
.
Quivi erano quaſi ſempre Uomini dottiſſi-
mi
, che di giocondi ragionamenti ſi intertene-
vano
, e bene ſpeſſo naſcevano belliſſime quiſtio-
ni
d’ ogni maniera, diſputandoſi per l’ una, e
per
l’ altra parte con ſomma piacevolezza;
alle
quali
dava per lo più incitamento la Signora
Principeſſa
ora interrogando, et ora riſponden-
do
;
e queſto faceva Ella ſempre con ſommo giu-
dizio
, et accorgimento, avendo riſpetto alle per-
ſone
, e con poche parole;
perciocchè ella ama-
va
meglio di udire, che di eſſere udita;
nella
qual
coſa ſola noi le eravamo tutti contrarj;

perciocchè
non era alcun di noi, che non ſi
foſſe
volentieri tacciuto per udir lei;
ma faccen-
do
del ſuo piacere il noſtro, ſeguivamo gli ar-
gomenti
da lei propoſti, ſopra de quali ognuno
diceva
il parer ſuo, e tutti, fuori me ſolo,
con
ſomma eloquenza, e ſomma grazia;
così
che
mi pareva eſſer beato, eſſendo in quella dol-
ce
, e cara compagnia;
et ora che la fortuna
me
ne ha di tanto ſpazio allontanato, non mi
par
di vivere, ſe non quanto vi torno con
339LIBRO I. memoria. E queſto è ſtato quello, che princi-
palmente
mi ha moſſo a ſcrivere queſti ragiona-
menti
, perchè ſcrivendogli mi è paruto in cer-
to
modo di ritornare trà quei valoroſi Uomini,
et
eſſere tuttavia con loro;
et anche ho voluto,
quanto
per me ſi poteſſe, eſſer con eſſi congiun-
to
nella memoria di quelli, che leggeranno que-
ſta
mia operetta, ſe alcuno la leggerà.
Sappia-
te
dunque che avendo il Re diliberato un gior-
no
di andare a Baja inſieme con la Reina per
godere
l’ amenità di quei delizioſiſſimi luoghi,
la
Signora Principeſſa propoſe di voler’ eſſere il
davanti verſo la ſera a Pozzuolo, per ritro-
varſi
poi il giorno appreſſo con la Reina;
e do-
veva
in quel cammino accompagnaria il Signor D.
Franceſco Serao. Il che eſſendoſi per molti inte-
ſo
, avviſammo il Signor Marcheſe di Campo Her-
moſo
ed io, ſenza farne motto, di portarci la
mattina
vegnente di buoniſſima ora a Pozzuolo,
e
quivi aſpettarla;
dove pure propoſero di ve-
nire
verſo l’ ora del mezzo giorno il Signor D.

Nicola
di Martino, e il Signor Conte della Cue-
va
.
La mattina dunque cominciando appena a
roſſeggiare
il Cielo per la ſorgente aurora, il
Signor
Marcheſe di Campo Hermoſo, ed’ io n’
andammo
a Pozzuolo, dove con gran feſta rice-
vuti
fummo dal Governator di quel luogo, uo-
mo
de più gentili, che io abbia veduto mai;
il
qual
condottici in ſua caſa ci fece vedere molte
elegantiſſime
pitture, et una gran quantità di
3410DELLA FORZA DE’ CORPI liſſimi libri, che egli avea raunati, di ogni ge-
nere
, e ſceltiſſimi.
Dimorati quivi alquanto, et
avviſando
, che il Governatore doveſſe aver ſue
faccende
, preſa licenza, uſcimmo fuori a paſſeg-
giar
così pian piano lungo la marina;
dove paſ-
ſando
col ragionamento d’ una in altra coſa, che
vi
par, diſſe il Signor Marcheſe, di queſti luo-
ghi
?
non vi par’ egli, che queſti colli ameniſſi-
mi
, e pieni di belliſſimi boſchetti, riguardanti
ſopra
il mare, ſieno la più bella coſa del mon-
do
?
A me pur così pajono, riſpoſi io allora; tut-
tavolta
io veggo altro, che più ancora mi piace,
e
che voi forſe non vedete.
Queſto che è? diſſe
il
Signor Marcheſe, et io riſpoſi:
la memoria di
quegli
antichi ſapientiſſimi filoſofi, che abitaro-
no
un tempo quell’ ultima parte d’ Italia, che
chiamavaſi
magna Grecia;
i quali eſſendo non
guari
di quì lontani, tratti dalla maraviglioſa bel-
lezza
del luogo, parmi che doveſſero venir tal-
volta
anch’ eſſi a Pozzuolo, e paſſeggiarvi, ſicco-
me
noi ora facciamo.
E così mi ſta fiſſa nell’ ani-
mo
una tal rimembranza, e tanto mi piace, che,
non
ſo come, dovunque io mi volga, par che
gli
occhi miei cerchino Talete, e Pitagora, e que-
gli
altri divini maeſtri.
Et io credo, diſſe allora
ſorridendo
il Signor Marcheſe, che ancor Talete
e
Pitagora avrebbono volentieri cercato voi, ſe
come
voi, riſalendo indietro con la memoria ne
tempi
paſſati, potete quei lor paſſeggi immaginar-
vi
;
così aveſſero potuto eſſi, diſcendendo con
3511LIBRO I. animo nell’ avvenire, immaginarſi il noſtro; e
tanto
più avrebbono eſſi diſiderato di veder voi,
per
intender da voi di quanto ſiaſi quella loro fi-
loſofia
per opera de voſtri moderni accreſciuta;
perchè parmi di avere udito, che coteſti moderni
van
pur dicendo, tutta la maniera del filoſofar
loro
eſſere derivata dai puriſſimi fonti di Pitago-
ra
;
non ſo ſe per far’ onta ad Ariſtotele; ma pur
così
dicono;
e non vogliono dover nulla, ſe non
a
quella antica italica ſcuola;
benchè pretendono
di
ſaperne molto più.
Della qual pretenſione, o
giuſta
, o ingiuſta, che credete voi?
Io credo,
diſſi
, Signor Marcheſe, che in molte coſe i mo-
derni
ſappian più innanzi, che quegli antichi non
ſeppero
;
e credo, che in tutte quegli antichi ſa-
peſſero
molto più, che noi non crediamo;
ma
poſſono
facilmente i moderni producendo le loro
opere
chiamare a conteſa gli antichi, che non
poſſono
produr le loro, avendole il tempo guaſte,
e
la maggior parte involate.
Che ſe ci reſtaſſero
tutte
ed intere, chi ſa di quante nobiliſſime co-
gnizioni
le troveremmo piene, e quante quiſtio-
ni
ſi vedrebbono eſſere antichiſſime, che ora ſi
credon
nuove, e per ciò forſe ſi credon nuove,
perchè
ſon tanto antiche, che il tempo ha potu-
to
cancellarne fin la memoria.
Potrebbe dunque,
diſſe
allora il Signor Marcheſe, quella così fa-
moſa
quiſtione ſopra la forza viva de’ corpi, di
cui
ſi ora tanto rumore nelle accademie e nel-
le
ſcuole, eſſere ſtata una volta tratta ta da
3612DELLA FORZA DE’ CORPI gora, et avendola poſcia il tempo ſeppellita nell’
oblivione
, eſſer riſorta in Leibnizio.
Io non
ſo
, riſpoſi;
ben mi piace che voi tocchia-
te
ora una quiſtion nobiliſſima, e da chiariſ-
ſimi
, e ſottiliſſimi ingegni per tanto tempo agi-
tata
;
la qual non tocchereſte, ſe non l’ aveſte
apparata
.
Anzi non ne ſo io nulla, diſſe il Signor
Marcheſe
;
e piacerebbemi, che Pitagora non ne
aveſſe
ſaputo nulla egli pure;
che così ſarei Pi-
tagorico
almeno in queſto.
Ma fuori le burle, io
mi
ricordo, che eſſendo in Malega, venutovi da
Ceuta
, dove io avea accompagnato mio padre,
che
era paſſato a quella guerra contro Mori, tro-
vai
quivi un ingegnere molto dotto, il quale
per
alquanti meſi mi ſpiegò geometria e meccani-
ca
, e mi parlò più volte della quiſtione della for-
za
viva;
e tanto era Leibniziano, che ſi maravi-
gli
ava, che poteſſe alcuno non eſſerlo.
Ultima-
mente
ne ho udito diſputar’ aſſai il Signor D.
Lui-
gi
Capece in Palermo;
il quale mi fece anche leg-
gere
quello, che voi ne avete ſpiegato ne Comen-
tarj
della voſtra accademia, inſieme con altri
ſcritti
, i quali però poterono invogliarmi più
toſto
della quiſtione, che inſegnarlami;
et egli
ſteſſo
ſi doleva, che voi non foſte abbaſtanza Car-
teſiano
, e diſiderava talvolta di intender meglio,
qual
foſſe la voſtra vera opinione.
Chi ſa, diſſi
io
allora, ſe io ne ho alcuna vera?
ma pure che
è
a lui et a voi di ſapere, qual ſia la mia opinio-
ne
?
egli baſta bene, che eſaminando le
3713LIBRO I. propoſte per l’ una e per l’ altra parte, ne rica-
viate
voi per voi ſteſſo quella opinione, che più
vi
piaccia, e ſia più degna di piacervi.
Al che
fare
non ſolamente vi invito e vi eſorto, ma an-
che
vi prego, e ve ne ſtringo;
parendomi che la
quiſtione
ſia tanto ſottile in ſe ſteſſa ed avvolta,
e
per la fama di quelli, che la trattarono, tanto
illuſtre
, e magnifica, che ben meriti, anzi deſi-
deri
, e chiegga lo ſtudio e l’ ingegno voſtro.
Non
ſo
io già, riſpoſe il Signor Marcheſe, quello che
la
quiſtione poſſa richiedere o aſpettare dall’ in-
gegno
mio;
ſo bene, che io ho deſiderato ſempre
grandiſſimamente
di ſaperla;
e ſarei forſe in eſſa
proceduto
più innanzi, ſeguendo la ſcorta de li-
bri
propoſtimi dal Signor D.
Luigi Capece, ſe
non
mi ſoſſi incontrato troppo ſpeſſo in ſuppu-
tazioni
algebraiche faticoſiſſime, le quali a dir ve-
ro
mi ſpaventano;
non che io fuggiſſi la fatica
del
farle;
ma per lo poco uſo, che io vi ho,
temo
ſempre di farle inutilmente, e di incorre-
re
in alcuno di quegli errori, che quantunque
in
ſe ſteſſi piccioliſſimi, guaſtano ogni coſa, e
divengono
in tutta la ſupputazione grandiſſimi.
Se voi, diſſi io allora, temete tanto cotali erro-
ri
, ſarà difficile che vi incorriate, perchè il ti-
more
in tutte le coſe rende l’ uomo più dili-
gente
;
e ſiccome niuno può riprendervi del non
aver
voi molto uſo di calcolare, perciocchè l’ età
voſtra
, e gli altri voſtri ſtudj non vel comportano,
così
dovrà ognuno ſommamente
3814DELLA FORZA DE’ CORPI vi, ſe vorrete por diligenza a conſeguirlo. Seb-
bene
quanto alla quiſtione della forza viva io
ſon
d’ opinione, che voi temiate le ſupputazio-
ni
algebraiche più forſe che non biſogna;
per-
ciocchè
n’ ha molte, le quali ſi avvolgono in-
torno
a certi argomenti, che per poca attenzio-
ne
, che vi ſi ponga, poſſono facilmente ſvolger-
ſi
, e così ſciolti, e ſviluppati d’ ogni calcolo,
moſtrano
egualmente, ſe non anche meglio, la
forza
, e bellezza loro;
ma gli algebri ſti voglio-
no
veſtir d’ algebra ogni coſa.
La maggior
parte
poi delle ſupputazioni non ricerca molto
eſame
, perciocchè rade volte vengono in con-
troverſia
quelle conſeguenze, che ſi commettono
al
calcolo, e per lo più ſol ſi dubita di quegli
antecedenti
, onde il calcolo deriva;
i quali ſe
vi
parranno falſi, potete diſprezzare il calcolo;
e ſe vi parranno veri, potete fidarvene, e con-
tentarvi
della diligenza, che altri in calcolare
hanno
poſta;
come un gran Signore, il qual
contento
di aver veduto i capi di ciò, che dar
dee
et avere, quanto al calcolarne le ſomme s’
affida
al computiſta.
Ne dico io ciò per diſto-
gliervi
da queſte ſupputazioni;
che è ben fatto
il
farle;
ma perchè quelle ſupputazioni non di-
ſtolgano
voi dalla quiſtione.
Se queſto è, che
voi
dite, diſſe allora il Signor Marcheſe, e ſe
l’
andar dietro a tutti quei lunghi calcoli non
è
così neceſſario;
perchè non potremmo noi qui
ora
entrare nella quiſtione, ſpiegandomi voi,
3915LIBRO I. coſa ſia quella, che chiamano forza viva de cor-
pi
, e dichiarandomi l’ opinion voſtra?
Noi ſia-
mo
in luogo, in cui ci è lecito di eſſere ozio-
ſi
quanto vogliamo, ſenza temere, che alcuno
ci
diſtorni;
e voi già la ricordanza di Pitago-
ra
invita a filoſofare, il che non potete far me-
glio
che in queſta quiſtione, ſe ella è così no-
bile
, come voi dite.
Allo ſteſſo ragionamento,
riſpoſi
io allora, mi ha incitato più volte la Si-
gnora
Principeſſa;
con la quale però io non ,
mai
voluto entrare in tal materia, temendo ſem-
pre
di non potere ſoddisfare ad altri in un’ ar-
gomento
, in cui poſſo appena ſoddisfare a me
medeſimo
.
E tal ragione valendomi pur anche
ora
, parmi di aver fatto abbaſtanza, avendovi
eccita@o
a veder per voi ſteſſo la quiſtione;
ne
altro
abbiſogna all’ ingegno voſtro.
lo non cre-
deva
, diſſe allora il Signor Marcheſe, che aven-
domi
voi invitato ad una ſi celebre controverſia,
foſte
poi così duro, ehe non voleſte moſtrarmene
almen
l’ ingreſſo, aprendomi, ſe non altro, la
diffinizion
della coſa, di cui ſi diſputa;
che que-
ſto
è per così dire invitarmi in caſa, e tener tut-
tavia
l’ uſcio chiuſo Che diremo noi, riſpoſi io
allora
, alla Signora Principeſſa, che non ha mai
potuto
trarmi in una tal controverſia?
nella qua-
le
ſe io entraſſi ora, temerei di offenderla, ne ſa-
prei
cui dare la colpa del mio errore.
Allora il
Signor
Marcheſe, ne daremo, diſſe, la colpa a
Pitagora
, che vi ha invitato a filoſofare;
e
4016DELLA FORZA DE’ CORPI certo, che ella in grazia di tanto uomo vi per-
donerà
.
Oltre che ſpiegandomi voi la diffini-
zione
della forza viva, non ſarà già queſto un’
entrare
nella quiſtione;
e ſe trattivi poi dal di-
ſcorſo
pur vientreremo, la colpa ſarà della diffini-
zione
ſteſſa, che vi ci avrà condotti, non voſtra.
Allora ſorridendo, e non ſapete voi, diſſi, che
la
diſſinizione della forza viva è una quiſtione
eſſa
pure?
perciocchè alcuni la diffiniſcono di
un
modo, et altri di un’ altro, et ha in ciò una
ſomma
varietà et incoſtanza?
E tal varietà anco-
ra
, diſſe il Signor Marcheſe, mi ha ſempre gran-
demente
ſpaventato;
parendomi quaſi impoſſibi-
le
, che io doveſſi intendere una quiſtione, nella
quale
quegl’ iſteſſi, che diſputano, ſeguendo
gli
uni una diffinizione, gli altri un’ altra, non
poſſono
quaſi intenderſi tra loro.
Anzi per que-
ſto
, diſſi io allora, m’ è ſempre paruto, che la
quiſtione
doveſſe eſſer più facile;
perchè ſe noi
riceveremo
da ciaſcuno ſenza contraſto la
diffinizione
, ch’ ei ci propone, e ſaremo conten-
ti
di nominar per allora forza viva quello, che
a
lui è piacciuto di così nominare, noi trovere-
mo
bene ſpeſſo, che le ragioni dell’ uno non ſo-
no
tanto contrarie alle ragioni dell’ altro, ben-
chè
da prima pareſſero contrariiſſime, e molte vol-
te
le troveremo concordi in quello, in che pare-
vano
maggiormente diſcordare;
reſtando poi ſolo
da
vedere, qual ſia quello, che abbia meglio dif-
finita
la forza viva, e inteſo per un tal
4117LIBRO I. quello che dovea intenderſi, la qual quiſtione è
poi
più facile.
E ſeguendo voi un tal ordine,
troverete
anche alcuni, ſecondo la diffinizion de
quali
tutta la controverſia della forza viva è tan-
to
ſpedita, e breve, che nulla più.
lo vorrei ſen-
tire
, diſſe il Signor Marcheſe, queſta diffinizio-
ne
così comoda.
Eccovi; riſpoſi io allora: ſono
alcuni
, i quali così definiſcono la forza viva,
che
per eſſa non altro vogliono, che debba in-
tenderſi
, ſe non una potenza o forza, o qualità,
o
virtù, comunque chiamar ſi voglia, la qual pro-
duce
ne corpi il movimento;
e queſti levano via
la
quiſtione così preſto, che quaſi non le laſcia-
no
tempo di comparire.
Come? diſſe il Signor
Marcheſe
.
Non è ella, ripigliai io, tutta la qui-
ſtione
intorno alla forza viva poſta in queſto, che
alcuni
per miſurar giuſtamente una tal forza, vo-
gliono
, che ſi moltiplichi la velocità del corpo per
tutte
le parti della materia, che compone eſſo corpo,
cui
chiamano maſſa, e penſano, che il prodotto
di
una tal moltiplicazione ſia la giuſta miſura del-
la
forza viva;
ed altri vogliono, che ad aver tal
mi
ſura non la velocità, ma il quadrato di eſſa, s’
abbia
a moltiplicar per la maſſa?
così che ſe la
maſſa
del corpo, che ſi move, ſarà 2.
la veloci-
3, quelli eſtimeranno la forza viva eſſer 6, per-
ciocchè
moltiplicando 3 per 2 ſi produce 6, e
queſti
altri la ſtimeranno eſſere 18, perciocchè fac-
cendo
il quadrato della velocità 3.
ne vien 9,
e
9 moltiplicato per 2 fa 18.
A queſto
4218DELLA FORZA DE’ CORPI che ſi riduca la quiſtion tutta. Così è, diſſe il
Signor
Marcheſe.
Ora, ſoggiunſi io, ſe la forza
viva
altro non è, che quella potenza, la qual
produce
ne corpi il movimento, chi è, che non
vegga
eſſer lei la cagione del movimento, e il mo-
vimento
l’ effetto di lei?
poichè dunque la cagio-
ne
è fempre eguale all’ effetto, e perciò poſſono
mifurarſi
amendue con una ſteſſa miſura, ne vie-
ne
che la forza viva, che è la cagione del movi-
mento
, debba miſurarſt moltiplicando la veloci-
per la maſſa;
poichè chi è, che non miſuri
il
movimento per tal modo?
Tutto ciò mi par
chiaro
, diſſe allora il Signor Marcheſe, ſe non
che
io trovo una certa nebbia di oſcurità in un luo-
go
;
et è, dove dite, che la cagione è ſempre e-
guale
all’ effetto.
Il dipintore fa una pittura, et
è
cagione di eſſa.
Diremo noi, che egli ſia egua-
le
alla pittura, che fa?
Io vorrei dunque ſapere,
di
qual modo ciò debba intenderſi.
Allora ſopra-
ſtetti
alquanto, poi ripigliai.
La cagione non è,
ne
ſi chiama cagione, ſe non in quanto agiſce,
et
agendo produce l’ effetto;
ne altro quì ora
nella
cagion ſi conſidera, ſe non tale azione;
la
quale
azione egualmente appartiene e alla cagio-
ne
da cui procede, e all’ effetto, in cui ſi termi-
na
;
ſebbene in quanto appartiene all’ effetto, an-
zi
paſſione, che azione ſuol da filoſoſi nomi-
narſi
.
Ora queſta azione procedente dalla cauſa,
ſi
dice eſſere ſempre eguale all’ effetto, eſtenden-
doſi
per tutto , dove ſi eſtende l’ effetto, e
4319LIBRO I. più. Il che è chiaro, poichè ſe foſſe alcuna par-
te
dell’ effetto, a cui l’ azion della cauſa non
perveniſſe
, quella parte non ſarebbe effetto, al-
meno
di una tal cauſa.
Che ſe l’ azion della
cauſa
ſi eſtendeſſe più dell’ effetto, ſarebbe una
parte
dell’ azione, la quale non produrrebbe nul-
la
, ciò che è impoſſibile, poichè tendendo l’ azio-
ne
di natura ſua a produr l’ effetto, dee pure ne-
ceſſariamente
produrlo, ſalvo ſe egli non foſſe da
altra
cauſa per qualche altra azione impedito;
il
che
ora non ſupponghiamo.
Voi vedete dunque,
come
l’ azione è ſempre eguale all’ effetto;
e pe-
diceſi, che ad’ eſſo è ſempre eguale ancor la
cagione
;
perciocchè in queſta altro non ſi confi-
dera
ora, ſe non l’ azione.
E ſe voi nel dipinto-
re
altro non conſidererete ſe non l’ azion del
dipingere
, voi troverete queſta egualiſſima alla pit-
tura
, che egli fa;
e così in tutte le altre cauſe;
le quali talvolta paion maggiori dei loro effetti,
perchè
noi non conſideriamo in loro ſolamente l’
azione
con cui gli producono, ma qualche altra
coſa
di più.
Così dunque, diſſe allora il Signor
Marcheſe
, ſe per forza viva non altro intendia-
mo
, che una potenza, o virtù, la qual produ-
ce
il movimento;
non conoſcendofi in eſſa ne
conſiderandoſi
ſe non l’ azion del produrre, do-
vrà
eſſa dirſi eguale al movimento, e per conſe-
guente
proporzionale alla velocità moltiplicata
per
la maſſa.
Il perchè ſarebbe da deſiderarſi gran-
demente
, che per forza viva non altro
4420DELLA FORZA DE’ CORPI intenderſi, che una tal virtù; perchè così la qui-
ſtione
ſarebbe ſciolta di preſente.
Ma per qual
cagione
non ſarà egli lecito al fi@oſofo intendere
per
qualſivoglia nome qualſivoglia coſa?
Io non
credo
già, riſpoſi io allora, che debba ciò eſſer
lecito
;
ma egli è ben certo che chi deſvia un no-
me
dalla ſua prima ſignificazione trasferendolo ad
un’
altra, dee bene intendere, che egli non trat-
ta
ne ſcioglie la controverſia, che prima con tal
nome
era ſtata propoſta, ma ne propone una
nuova
;
e ſi ingannerebbe ſe egli credeſſe di aver
trattata
la quiſtion vecchia per eſſerſi ſervito del
vecchio
nome;
come io temo, che ſia avvenuto,
non
ha gran tempo in Bologna ad un’ ingegno-
ſiſſimo
matematico;
voglio dire il Padre Ricca-
ti
, il quale avendoſi finta nell’ animo certa qua-
lità
nuova, formandola, e diffinendola a modo
ſuo
, et avendovi compoſto ſopra con molto ſtu-
dio
undici belliſſimi dialoghi, ha creduto diaver
fatto
un libro ſopra la forza viva;
e ciò non per
altro
, ſe non perchè gli è piacciuto nominar for-
za
viva quella ſua qualità.
Secondo un tal diſcor-
ſo
, diſſe allora il Signor Marcheſe, potrebbono
i
filoſofi, che abbiamo detto, non aver ſciolta
la
quiſtione in niun modo, anzi non averla pu-
re
toccata;
e ciò ſarebbe, quando eſſi con quel-
la
loro diffinizione aveſſero diſtolto il nome di
forza
viva dalla ſua prima ſignificazione, traen-
dolo
ad un’ altra ad arbitrio loro.
E per entrar
nella
quiſtione ſicuramente, biſognerebbe
4521LIBRO I. qual ſentimento deſſero ad un tal nome quel-
li
, che furono i primi ad uſarlo, o a metter-
lo
in qualche ſplendore, i quali ſoli ebbero il
diritto
di dargli quella fignificazione, che
più
loro piaceva.
Ma queſti, cominciando
da
Leibnizio, e diſcendendo agli altri, che dopo
lui
vennero, ci hanno laſciato certe diffinizioni del-
la
forza viva, che io non ho mai potuto inten-
der
del tutto.
Benchè certo, diſſi io allora, per
trattar
la quiſtione, che quegli antichi propoſe-
ro
, biſognaſſe prendere il vocabolo di forza viva
in
quel ſentimento, che eſſi lo preſero;
non è
però
, che debbano traſcurarſi le altre quiſtioni,
che
poi ſon nate prendendo il vocabolo d’ altra
maniera
;
et è anche da vederſi la diffinizione del
Padre
Riccati;
perciocchè queſte quiſtioni ſon pur
quiſtioni
, cioè dubj, che ſi vogliono levar dall’
animo
ſempre che ſi poſſa, ne ſono forſe men bel-
le
di quella, che fecer quei primi.
De quali ſe
voi
non avete inteſo le diffinizioni, io non , s’
io
debba darne più toſto la colpa a voi, che a
loro
;
perciocchè anche a me è paruto, che poco
curaſſero
di ſpiegarle.
Gioanni Bernulli in quel
belli
ſſimo ragionamento, che egli eſpreſſamente
compoſe
per dichiarare, e mettere in un pieniſ-
ſimo
lume la vera nozione della forza viva, riſa-
lendo
d’una in altra idea, ſi ſerma in quella final-
mente
, che la forza viva dir ſi debba una cotal forza
ſoſtanziale
.
Io credo, che il voſtro maeſtro di Alca-
, il quale mi avete detto eſſere un ſottiliſſimo,
4622DELLA FORZA DE’ CORPI valoroſiſſimo Peripatetico, quantunque intenda la
forma
ſoſtanziale di Ariſtotele, non così leggiermen-
te
intenderebbe la forza ſoſtanziale di Bernulli.
Egli è ben vero però, che molte coſe ſono più
facili
a intenderſi, che a definirſi, di che poſſono
ſervir
come d’ eſempio il tempo, lo ſpazio, la
relazione
, la ſoſtanza, l’ accidente, e ſe volete
quella
iſteſſa forma ſoſtanziale, che avete impa-
rata
in Alcalà.
E per ciò 10 mi guardo aſſai vol-
te
d’ eſſer moleſto a quelli, i quali parendomi,
che
abbiano inteſo ottimamente la coſa, non l’
hanno
però ottimamente definita;
e in tal caſo
io
ſoglio più toſto ſeguire l’ intendimento loro,
che
le parole;
il quale intendimento ſi compren-
de
il più delle volte meglio per lo proſeguimen-
to
de i lor diſcorſi, che per alcuna accurata, e
giuſta
diffinizione.
E certo che quei primi, che
introduſſero
il nome di forza viva, e ne fece-
ro
tanto rumore, come anche quelli, che per lun-
go
tempo poi li ſeguirono, aſſai moſtrarono in.

tutti
i ragionamenti loro, che null’ altro per eſ-
ſo
intendevano, ſe non quella forza, che un cor-
po
, qualora è meſſo in movimento, di pro-
durre
ora un’ effetto, ora un’ altro;
e quindi è,
che
parendo loro, che queſti effetti ſeguiſſero ſem-
pre
la proporzione della maſſa moltiplicata per lo
quadrato
della velocità, vollero, che anche la for-
za
viva ſi miſuraſſe all’ iſteſſo modo.
Il perchè
tenendo
io dietro a i lor diſcorſi, non molto ho
curato
le loro diffinizioni;
le quali,
4723LIBRO I. ſieno, ſe ſono conſentanee ai diſeorſi medeſimi,
come
eſſer debbono, biſogna pure, che ſi riduca-
no
tutte in una, cioè che la ſorza viva ſia quel-
la
forza, che ha un corpo, allorchè è moſſo, di
produrre
o un’ effetto, o un’ altro.
Biſogna cer-
to
, diſſe allora il Signor Marcheſe, che così in-
tendeſſero
la forza viva;
altramente non l’ av-
rebbono
miſurata dagli effetti.
E ſe ciò è, ben
ſi
vede che ſecondo loro, eſſendo la forza viva
una
forza del corpo meſſo già in movimento,
dee
ſopravvenire al movimento, non produrlo;
e
quelli
che hanno chiamato forza viva la forza
producitrice
del movimento, hanno abuſato del
nome
, e ſervendoſi della ſteſſa voce hanno fatto
un’
altra quiſtione.
Del qual’ errore, ſoggiunſi
io
, non ſon forſe del tutto eſenti i noſtri Carte-
ſiani
, i quali dovevano per forza viva intender
non
quello, che lor piaceva, cioè la potenza pro-
ducitrice
del movimento, ma quello, che vo-
levano
i Leibniziani.
Ma eſſi intendendo quello,
che
piaceva loro, trovarono la quiſtion più faci-
le
;
e quella facilità gli fece errar volentieri. Ne
dovrebbe
però, diſſe allora il Signor Marcheſe,
eſſer
gran fatto difficile ſciogliere la quiſtion lo-
ro
anche a quegli altri, che vogliono la forza vi-
va
eſſere una forza, che ha il corpo moſſo di pro-
durre
varj effetti;
i quali effetti ſono, ſe io non
m’
inganno, di rompere per eſempio un’ altro
corpo
, in cui quello, che è moſſo, vada a per-
cuotere
, o di piegarlo, o di ſchiacciarlo, o
4824DELLA FORZA DE’ CORPI aprirlo, o di chiuderlo, o di alzarlo, o che ſo
io
;
poichè ſe troveraſſi per eſperienza, che tali
effetti
ſieno proporzionali alla velocità del cor-
po
, biſognerà ben dire, che quella forza, che gli
produce
, ſia proporzionale eſſa pure alla velocità;
e ſe quelli ſi troveranno proporzionali al quadra-
to
della velocità, dovrà eſſere proporzionale al-
lo
ſteſſo quadrato ancor la forza.
Io laſcio ora
da
parte la maſſa, piacendomi, che ella ſi pren-
da
per tutto e in tutti gli eſperimenti ſempre egua-
le
, così che per riſpetto di eſſa non mai debba
cangiarſi
la proporzione.
Par dunque, che tutta
la
quiſtione voglia commetterſi all’ eſperienza,
per
cui ſi vegga, qual ſia la grandezza di ciaſcun’
effetto
, e quindi miſuriſi la grandezza della for-
za
;
in tanto che gli eſperimentatori, che ſi han-
no
oggimai uſurpata quaſi tutta la filoſofia, ſi
uſurperanno
ancora queſta controverſia.
Io non
credo
però, riſpoſi io allora, che i metafiſici la
laſcieran
loro godere aſſai tranquillamente.
Co-
me
ciò?
riſpoſe il Signor Marcheſe. Perchè, diſſi
io
, ſe noi non avremo dell’ effetto ſe non quel-
la
idea, che l’ eſperimentatore ci moſtra, non
ne
avremo che una idea confuſiſſima, e bene
ſpeſſo
metteremo a luogo di effetto ciò, che non
è
;
e vorranno i metafiſici ſvolgere eſſi et illuſtrar
queſta
idea, e dichiarare, qual ſia vero effetto,
e
qual , moſtrando in che s’ adopri l’ azion
della
cauſa, e in che non s’ adopri.
Ne per mio
avviſo
avranno il torto;
richiedendoſi a ciò un
4925LIBRO I. niſſimo intendimento, il qual può mancare all
eſprimentatore
, che poco della ragione, e quaſi
ſolo
ſi ſerve degli occhi e della niano.
Io non
avrei
creduto, diſſe allora il Signor Marcheſe,
che
doveſſe eſſere tanto difficile il conoſcer l’ ef-
fetto
di una cauſa;
potendoſi, ſecondo che a me
pare
, facilmente avvertire, che coſa ſia quello,
che
ſegue poſta l’ azion della cauſa, e che non
ſeguirebbe
non poſta quella tale azione.
Voi di-
reſte
vero, riſpoſi io, ſe egli baſtaſſe avvertir ciò;
ma a mio giudizio non baſta; poichè come l’ ef-
fetto
ſi pon dalla cauſa, così toſto molte proprie-
, e modi, e qualltà, e relazioni, et affezioni lo ſe-
guono
, le quali dai più ſemplici ſi prendono tal-
volta
come effetti, ne però debbono dirſi effetti,
ne
ſono;
perciocchè l’ azion della cauſa non ha
in
eſſe parte alcuna, ma l’ effetto, così come è
prodotto
, ſe le trae dietro egli ſteſſo da ſe e per
natura
ſua.
Un’ artefice commette inſieme tre li-
nee
, ponendole di maniera, che chiudano uno
ſpazio
:
qual direte voi, che ſia l’ effetto dell’ a-
zione
di quell’ artefice?
La poſizione, diſſe il Si-
gnor
Marcheſe, di quelle tre linee.
Nulla più?
domanda’
io;
riſpoſe il Signor Marcheſe, null’
altro
;
certo a me pare che l’ artefice null’ altro
faccia
.
Ma pure, ripiglia’ io, voi vedete, che eſ.
ſendo
quelle tre linee poſte in quel tal modo, ne
ſeguon
tre angoli, e queſti eguali a due angoli
retti
.
Non vi par dunque, che l’ artefice oltre
il
produrre la poſizion delle linee, debba
5026DELLA FORZA DE’ CORPI produrre gli angoli, e quella uguaglianza, che
hanno
ai due retti, così che impiegando una par-
te
dell’ azion ſua a produrre la poſizion delle li-
nee
, un’ altra parte debba impiegarne a produr
gli
angoli, et un’ altra a produr l’ uguaglianza?
A me non par già così, diſſe allora il Signor Mar-
cheſe
;
anzi io credo, che tutta l’ azion dell’ ar-
tefice
ſi adopri nel produrre la poſizion delle li-
nee
, e che queſta ſola ſia il ſuo effetto.
Ben è
vero
, che queſta poſizione ſi trae poi dietro gli
angoli
, e l’ uguaglianza, che eſſi hanno a due
retti
, ſiccome anche tutte quelle altre innumera-
bili
proprietà, che neceſſariamente ad una tal po-
ſizione
ſi convengono.
Ma queſte ſe le fa ella,
per
così dire, da fe, ſenza aſpettarle dall’ artefi-
ce
;
come l’ albero ſi fa egli da ſe le ſue frondi
e
le ſue foglie ſenza aſpettarle dall’ agricoltore,
il
qual non fa altro, che porre il ſeme.
E lo ſteſ-
ſo
parmi, che debba dirſi di tutte quelle relazio-
ni
e proprietà, che neceſſariamente accompagna-
no
la natura e l’ eſſenza dell’ effetto;
poichè parte-
cipandoſi
all’ effetto quella tale eſſenza, vi porta
ſeco
ella ſteſſa tutte le ſue perfezioni, ne vuol rice-
verle
da alcuno.
E lo ſteſſo anche vuol dirſi, ſog-
giunſi
io allora, di certe altre relazioni, che i
filoſofi
chiamano eſtrinſeche, e che ſi contengono
non
nell’ eſſenza di una coſa ſola, ma nell’ in-
contro
e nell’ accoppiamento di molte;
percioc-
chè
queſto incontro e queſto accoppiamento ſe
le
trae dietro da ſe ſteſſo, e di natura ſua.
5127LIBRO I. uno fa bianco un muro, che altro produce
egli
, ſe non quella bianchezza?
e pure oltre al
fare
quel muro bianco, lo fa anche ſimile a tutti
gli
altri muri che ſon bianchi al mondo.
Diremo
noi
dunque, che egli produca ancora quella ſomi-
glianza
, e che avendo una forza, con cui produr-
re
la bianchezza, debba averne anche un’ altra,
con
cui produrre la ſomiglianza?
Non già; ma
producendo
egli la bianchezza, et incontrandoſi
queſta
in altre bianchezze di lei compagne, ne
riſulta
la ſomiglianza ſpontaneamente, per così
dire
, e da ſe ſteſſa.
E così pur fanno tutte le al-
tre
relázioni, che allargandoſi e ſpandendoſi per
l’
univerſo abbracciano tutte le coſe, e le tengo-
no
per certo maraviglioſo modo in comunione
e
in ſocietà.
Voi potete vedere, che per poco,
che
un corpo ſi mova ſcorrendo una linea, non
ſolamente
ſcorre quella tal linea, ma perde le re-
lazioni
di diſtanza, che avea verſo tutti i punti
dell’
interminabile ſpazio, e ne acquiſta di nuo-
ve
;
e ciò faccendo da quanti corpi ſi allontana, e a
quanti
ſi accoſta, a qual più e a qual meno, ſe-
condo
la natura del movimento ſuo! così che
non
è parte alcuna dell’ univerſo, che non can-
gi
diſtanza riſpetto a lui cangiandola egli riſpetto
a
tutte.
è per queſto da dire, che quella cau-
ſa
, la qual move il corpo, altro faccia, che mo-
verlo
per una certa linea;
benchè da un tal mo-
vimento
riſultin tutte quelle mutazioni di diſtan-
za
, che abbiamo detto.
Dunque, diſſe allora
5228DELLA FORZA DE’ CORPI Signor Marcheſe, queſte mutazioni, che van ſe-
guendo
nel movimento di un corpo, diremo noi,
che
non ſieno prodotte da cauſa niuna?
Se noi
vogliamo
parlare ſecondo l uſo del popolo, ri-
ſpoſi
io, noi diremo, che ſon prodotte da quella
cauſa
, la qual produce il movimento, perciocchè
producendo
il movimento, che le trae ſeco, fa
in
qualche modo, che eſſe ſieno;
ma non per
queſto
però diremo, che l’ azion della cauſa in
altro
ſi termini che nel movimento ſolo.
Laonde
queſte
relazioni di diſtanza, che van naſcendo per
lo
movimento de corpi, e ſuccedendoſi le une
alle
altre, come ancora tutti gli altri riſpetti di
ſomiglianza
, di diſſomiglianza, di egualità, di
ineguali
, e che ſo io, che van riſultando ne cor-
pi
, non ſono propriamente effetti, ma aggiunti
e
proprietà degli eff@tti.
E lo ſteſſo è da dire ge-
neralmente
di tutti gli attributi eſsenziali, e neceſ-
ſarj
, che l’ effetto riceve non da quella partico-
lar
cauſa, che lo produce, ma da quella eſſenza
eterna
et immutabile, che a lui ſi partecipa, e che
gli
ha da ſe.
Voi dite vero, diſſe allora il Signor
Marcheſe
, che gli eſperimentatori non avranno
tanta
ſottigliezza;
ma io temo, che i metafiſici,
che
l’ hanno, non ſaranno gran ſatto aſcoltati;
i
quali
però io vorrei ben ſapere, con tanta ſottigliez.

za
come miſurino la forza viva.
I più di loro e a
mio
giudizio i più ſottili, non la miſurano punto,
riſpoſi
io;
più toſto la levano via del tutto, e
la
rigettan da corpi come coſa inutile;
la
5329LIBRO I. opinione io ſeguirei volentieri, ſe voleſſi ſeguir-
ne
alcuna.
Queſto è, diſſe il Signor Marcheſe,
levar
via la quiſtione ſaccendo naſcerne un’ altra;
e ciò è, ſe ſia pure ne corpi, o non ſia veruna
forza
viva.
Intorno a che ſe voi volete fuggit tut-
te
le opinioni, moſtra peròche quella, che avete
ora
eſpoſta, vi abbia invaghito, e quaſi preſo, avendo
detto
, che la ſeguireſte volentieri.
Io vi prego
dirmi
, perchè ſeguireſte quella opinione, benchè
non
vogliate ſeguirla.
Voi volete pure, riſpoſi
io
allora, trarmi in una materia, ove io entro ſem-
pre
con diſpiacere;
avendone oramai udito diſpu-
tar
tante volte, che ne ſono ſtanco;
pure niente
è
, che poſſa tanto diſpiacermi, quanto il negarvi
coſa
, che a voi piaccia.
Riſponderò dunque bre-
vemente
alla voſtra dimanda, e come potrò.
Ciò
detto
ſopraſtetti alquanto, indi ſeguitai.
Voi ſape-
te
, Signor Marcheſe, che laſciando da parte i Pe-
ripatetici
, che compoſero il mondo, e l’ ador-
narono
di tante qualità, e forme, furono antica-
mente
due illuſtri filoſoſi Democrito et Epicu-
ro
, i quali avvifarono, tutto l’ univerſo non-
altro
eſſere, che un numero grandiſſimo di parti-
celle
, le quali ſecondo le varie figure loro, e i
varj
movimenti componeſſero tutte le coſe.
E in
quell’
opinione tanto innanzi procedevano, che
non
che le qualità, che appariſcon ne’ corpi, co-
me
la luce, i colori, il ſuono;
ma anche i pen-
fieri
dell’ animo componevano di quelle lor par-
@icelle
, et anche l’ animo iſteſſo;
il che
5430DELLA FORZA DE’ CORPI te era da ridere; ne è da maravigliarſi, che quel-
la
loro filoſofia ſia ſtata per molti ſecoli diſprez-
zata
.
Ultimamente Carteſio adoprandovi maggio-
re
ſtudio e maggiore ingegno, l’ ha giudicata
più
toſto degna di emendazione;
ſebbene di tan-
to
l’ ha mutata, e corretta, che ha fatto più to-
fto
una filoſofia nuova, che emendato un’ anti-
ca
;
imperocchè laſciando all’ animo la bellezza,
e
dignità dell’ eſſer ſuo incorporeo, ha inoltre
levato
a corpi ſteſſi tutte quelle qualità, che non
poſſon
conſiſtere in movimento o diſpoſizione di
particelle
, ſoſtituendo in vece loro altrettante appa-
renze
, che la natura ſecondo il tempo, el’ occaſio-
ne
va formando negli animi noſtri o per uſo, o per
ſollazzo
.
E ſecondo l’ opinione di queſt’ uomo
grandiſſimo
non altro reſta ne corpi, ſe non movi-
mento
, e diſpoſizione di particelle, le quali aven-
do
certe ſigure, e cangiando le lor diſtanze in va-
rie
guiſe, e talor ritenendole, compongono le
tanto
vaghe, e dilettoſe forme dell’ univerſo;
il
qual
però ſe noi ſpogliaſſimo di tutte quelle appa-
renze
, che l’animo noſtro gli aggiunge, troverem-
mo
non altro eſſere, che una regolatiſſima diſpo-
ſizione
, e agitazione di particelle.
Neuton, che
ha
conturbato la filoſofia di Carteſio, non ſi è
però
allontanato da queſta opinione;
e ſolamen-
te
a quelle cauſe, che producono il movimento
nella
materia, e che Democrito et Epicuro, e
Carteſio
avean notate, ne ha aggiunto un’ altra,
che
è la forza attrattiva, per cui le parti della
5531LIBRO I. teria, benchè diſgiunte tra loro, e per qualunque
ſpazio
lontane, pur ſi ſentono, per così dire, l’
une
l’ altre, e ſi invitano, e vengonſi incontro,
ſenza
che alcun’ altro corpo ve le urti o le ſpinga.
I Peripatetici non avrebbono abborrito queſta
forza
invitatrice dei corpi al movimento.
Ma
troppe
altre qualità immaginavano, che i Neuto-
niani
rigettano, volendo, che non ſia nella natu-
ra
ſe non quell’ una ſola, che eſſi han ritrova-
ta
.
Io non ardiſco di accoſtarmi a veruno di que-
ſti
filoſofi, perchè a qualunque io mi accoſtaſſi,
troppi
ſarebbon quelli, co’ quali mi biſognereb-
be
contendere.
Ma ſe io crederò per ora, che il
mondo
conſiſta tutto in particelle;
ne altro faccia
la
natura ſe non che moverle et agitarle, e col-
locarle
, e diſporle in varie guiſe, io ſeguirò un’
opinione
, della quale non potranno dolerſi gli
amatori
della forza viva, poichè, come veggo, la
ſeguono
eſſi pure.
Io dunque mi ſono aſſai volte
meco
ſteſſo maravigliato, come riducendo eſſi tutti
glieffetti
della natura a certi movimenti, e diſpoſi-
zioni
di particelle, non abbiano avvertito, che a
qualunque
effetto trè coſe baſtar debbono ſenza
più
;
e queſte ſono prima le potenze, che fanno
il
movimento, poi quelle, che lo diſtruggono,
e
in terzo luogo l’ inerzia, per la quale il corpo,
quanto
è in lui, ſi mantien ſempre in quello ſta-
to
o di quiete, o di movimento, in cui le po-
tenze
lo hanno laſciato.
Le quali tre coſe eſſen-
do
per comune conſentimento di tutti i
5632DELLA FORZA DE’ CORPI concedu@e a corpi, ſe baſtar poſſono a qualunque
effetto
, io non per qual ragione vogliaſi loro
aggiungere
quella non ſo qual forza, che ſoprav-
viene
al movimento, e chiamaſi forza viva.
E co-
me
le tre coſe dette non baſterebbono?
Che al-
tro
ſi ſa egli mai nella natura, ſe non movere cer-
te
particelle, e diſtribuirle, e fermarle, così che
tengan
tra loro certe diſtanze, e certi intervalli?
e
a
tutto queſto che altro ricercaſi ſe non che alcuna
potenza
ecciti in loro il movimento, et alcun’
altra
lo eſtingua, e ſappiano eſſe conſervarſi poi
da
lor medeſime in quello ſtato, in cui furono
poſte
?
Nel che parmi, che alcuni proponendo tal
volta
certi efferti, a miſurar la forza, che gli ha
prodotti
, ſi abuſino degli errori volgari, e dimen-
ticatiſi
dei principj di quella ſteſſa filoſofia, che
proſeſl
ano, non pongan mente, che ogni effetto,
anche
ſecondo loro, ſi riduce a un movimento,
e
ad una diſtribuzione di particelle.
Eccovi che
una
palla, cadendo qualche materia molle, vi
forma
un cavo;
prendono queſto cavo, come l’
effetto
prodotto da quella palla, e con eſſo ne
miſuran
la forza.
Ma che è mai queſto cavo, ſe
non
uno ſpazio, in cui nulla è di quella materia
molle
, che prima v’ era?
or chi dirà, che quel-
la
palla abbia prodotto queſto ſpazio o queſto
nulla
?
Qui eſſendomi fermato un poco, come ſe
aveſſi
aſpettato riſpoſta;
io non direi già, diſſe
ſubito
il Signor Marcheſe, che quella palla ab-
bia
prodotto un tale ſpazio;
direi più toſto,
5733LIBRO I. ella ha rimoſſo quella materia molle, che lo em-
pieva
, onde ne è riſultata quella vacuità;
ne quel-
la
vacuità è però effetto di modo alcuno.
E la
materia
, riſpoſi io allora, che la palla ha rimoſ-
ſo
, è ella l’ effetto della palla?
Non già, riſpo-
ſe
il Signor Marcheſe;
poichè la palla non pro-
duce
quella materia, ma la rimove.
Tutto quel-
lo
, che fa la palla, ripigliai io, non è altro dunque
ſe
non movere le particelle di quella materia;
le
quali
avendo ricevuto quel movimento, lo av-
rebbono
per l’ inerzia loro conſervato ſempre, ſe
non
aveſſero per via incontrato alcune potenze,
che
glel’ hanno tolto e diſtrutto;
perchè ferman-
doſi
e ritenendo poi quelle medeſime diſtanze,
che
avevano ultimamente acquiſtate, ne è riſul-
tata
la vacuità.
Nel che vedete, che la palla al-
tro
non fa che eccitare un movimento;
il quale
potrebbe
eſſere quanto ſi voglia grande, e tutta-
via
riſultarne quel cavo, che ne riſulta, ſolo che
le
potenze, che debbono un tal movimento di-
ſtruggere
, foſſero cosi pronte, e di tal maniera
diſpoſte
, che fermaſſero le particelle in quei ſiti
medeſimi
.
E come di queſto, così, cred’ io, po-
trete
dire di qualunque altro effetto, avendo ſem-
pre
in mente, che eſſo niente più ſia, che un mo-
vimento
, e una diſtribuzione di particelle, ſecon-
do
l’ opinion di Carteſio non diſapprovata dagli
altri
moderni.
Ma come? diſſe allora il Signor
Marcheſe
;
cadendo una palla in materia molle,
vi
ſi forma un cavo, il qual prima non era.
5834DELLA FORZA DE’ CORPI perchè non mi ſarà egli lecito di prendere que-
ſto
cavo, come un’ effetto prodotto dalla palla,
e
attribuire per ciò alla palla una forza propor-
zionale
alla grandezza di eſſo?
Se voi volete, ri-
ſpoſi
io allora, fingervi nell’ animo effetti e for-
ze
ad arbitrio voſtro, io non vel contendo.
Vedete
pure
, ſe i Leibniziani, che amano la forza viva,
vorranno
concedervi ſimil licenza.
Egli certo, ri-
ſpoſe
il Signor Marcheſe, me la concedeva quel
dotto
ingegnero, che io conobbi in Malega, il
qual
diſputava aſſai ſpeſſo della forza viva, e non
ſapeva
in neſſun luogo aſtenerſene.
E mi ricorda
di
averlo udito parlar molte volte di quel cavo,
di
cui parliamo ora;
et egli certo il prendeva, co-
me
un’ effetto della palla;
e ſoleva anche dire di
un
ſaſſo, il qual, gittato all’ in , ſale per un
certo
ſpazio e non più oltre;
e chi negherà, di-
ceva
egli, che tal ſalita non ſia un’ effetto di qual-
che
forza al ſaſſo comunicata, la qual per ciò deb-
ba
miſurarſi da quello ſpazio, miſurandoſi cer-
tamente
da quello ſpazio la ſalita?
E avrebbe an-
che
potuto dire, riſpoſi io allora, che il ſaſſo git-
tato
ſcorre per un certo tempo, e non più;
e
prendendo
lo ſcorrere per quel tal tempo e non
più
, come un’ effetto, attribuire al ſaſſo una for-
za
, che doveſſe miſurarſi dal tempo.
E per tal
modo
avrebbe immaginate nel ſaſſo due forze
molto
tra loro diverſe, l’ una pioporzionale al-
lo
ſpazio, e l’ altra al tempo.
Ne io nego, che
poſſa
ognuno prendere, come effetto,
5935LIBRO I. che a lui piaccia, fingendoſi nell’ animo una qual-
che
forza, che l’ abbia prodotto, la qual cer-
to
dovrà ſempre eſſere proporzionale ad eſſo.
E
voi
potete, ſe vi aggrada, prendere come un’ ef-
ſetto
anche la vacuità, che la palla, cadendo nel-
la
materia molle, vi ha laſciato, e però fingervi
nella
palla una forza a quella vacuità proporzio-
nale
.
Ma come l’ effetto, che voi vi proponete
nella
voſtra immaginazione, non è veramente ef-
fetto
nella natura, così la forza, che lo produce,
non
veramente nella natura, ma ſarà ſolo nella
voſtra
immaginazione.
Il che non ſo, ſe quel vo-
ſtro
ingegnere vi aveſſe conceduto.
Vedete, quan-
ti
effetti potete mai immaginarvi nella caduta di
quella
palla, di cui parliamo! perciocchè ella in-
duce
un cavo nella materia molle, et anche vi
genera
una ſuperſicie concava, e comprimendo
la
materia ſteſſa, la rende più denſa;
e ſe voi pren-
derete
ognuna di queſte coſe come un’ effetto,
vi
biſognerà immaginar nella palla altrettante for-
ze
, e tutte tra loro diverſe;
perciocchè la forza,
con
cui la palla produce il cavo, dovrà eſſere pro-
porzionale
alla grandezza del cavo;
e la forza,
con
cui produce la ſuperſicie, dovrà eſſer propor-
zionale
alla ſuperſicie;
e quella, con cui produ-
ce
la denſità, dovrà eſſere alla denſità proporzio-
nale
;
e voi ſapete quanto queſte proporzioni, e
miſure
ſieno lontane tra loro e diverſe.
Laonde
aſſai
chiaramente ſi vede, che prendendo l’ effet-
to
ad arbitrio, e chiamandoſi forza viva quella.
6036DELLA FORZA DE’ CORPI forza, che lo produce, potrà queſta eſſere di qual-
ſivoglia
miſura, ne ſarà più da cercare qual pro-
porzione
determinata ella ſegua, potendo ſeguir-
le
tutte.
Il che certamente i Leibniziani non vi
concederanno
.
Volendo dunque ſtabilire la pro-
porzione
, e la miſura della forza viva, non biſo-
gna
prender l’ effetto ad’ arbitrio.
del popolo, ne
degli
eſperimentatori, che poco dal popolo ſi al-
lontanano
;
ma vedere qual ſia l’ effetto vero, che
veramente
produceſi nella natura, e miſurarla da
eſſo
;
il quale ſecondo l’ opinione dei moderni tut-
ti
ſi riduce ſempre a movimento, e diſpoſizione
di
particelle.
A molto poco, riſpoſe quivi il Si-
gnor
Marcheſe, riduconſi gli effetti della natura
ſecondo
voi.
Pure anehe in ciò ſi conoſce l’ in-
finita
ſagacità di eſſa, che ſappia con così poco
formar
tanti, e tanto vaghi, e maraviglioſi aſpet-
ti
, che tutto ’l ci ſi preſentano nell’ univerſo-
Ma
giacchè voi avete detto, che il carico, per co-
dire, e la procurazion d’ogni coſa è ſtata da-
ta
a due potenze, l’ una delle quali produce il
movimento
, e l’ altra lo diſtrugge;
io vorrei, pri-
ma
di paſſar più avanti, conoſcere queſte due
procuratrici
della natura, e ſaper quali ſieno, e
come
operino;
et egli ſi appartiene alla corteſia
voſtra
, avendomele nominate più volte, il farme-
le
ancor vedere.
Se voi voleſte, riſpoſi io allo-
ra
, vederle ſcoperte, e quali in ſe ſono, io temo
di
non poter ſoddisfarvi;
perchè eſſe non voglio-
no
eſſer vedute, e ſi ſtanno continuamente
6137LIBRO I. ſcoſte. Di vero chi è itato mai, che intender poſ-
ſa
, qual coſa ſieno in lor medeſime la gravità,
l’
elaſticità, ed altre tali cagioni movimento,
e
conoſcer l’ intrinſeca forma loro?
Ariſtotele,
che
impiegò quaſi tutta la ſua fiſica a voler ſco-
prire
, qual foſſe la prima cagion del moto,
poco
altro ſeppe dirne, ſe non che ella doveſſe
eſſer
χκίνητον τὶ κχὶ ὰὶδιον, un non ſo che immobile
e
ſempite@@o;
il che non baſtando a ſpiegar la na-
tura
della coſa, baſtò a moſtrare fin dove giun-
ger
poteſſe uno de’ maggiori ingegni di Grecia.
Non biſogna dunque pretendere di conoſcere con
chiarezza
, e diſtinzione queſte potenze, che pro-
ducono
il movimento, o lo diſtruggono;
ma con-
tentarſi
di averne un’ idea confuſa, e diſtinguer-
le
ſol per gli effetti.
Io vi dirò bene un coſtume,
che
ell’ hanno quaſi tutte, o più toſto tutte, da
cui
, per quanto ſi dice, mai non partono;
ed è,
che
mai non produccno un movimento grandiſ-
ſimo
tutto ad un tempo;
ma dando al corpo pri-
ma
un piccoliſſimo impulſo, gli danno, ove pe-
impedito non ſia, un moto piccoliſſimo;
cui
poſcia
accreſcono con un’ altro impulſo, e poi
con
un’ altro, e poi con un’ altro, finchè lo ri-
ducono
ad una inſigne grandezza;
e la potenza è
molte
volte così ſollecita, e pronta in dar tali
impulſi
, che in poco di tempo riduce il moto ad
una
grandezza maraviglioſa.
Il che però non ſa-
rebbe
vero, ſe il corpo non conſervaſſe tutti i
movimenti
, che di mano in mano ha ricevuti.
6238DELLA FORZA DE’ CORPI Biſogna dunque, che anche dopo l’ impulſo re-
ſti
, e duri nel corpo il movimento, che eſſo ha
prodotto
.
E qui potete conoſcere l’ utilità dell’
inerzia
.
E potete anche comprendere, che ogni
movimento
è proporzionale alla ſomma di tutti
gl’
impulſi, che l’ han prodotto, eſſendo che ogni
impulſo
produce un movimento a lui ſteſſo pro-
porzionale
.
Voi avete detto, ripigliò quívi il Si-
gnor
Marcheſe, che la potenza col piccoliſſimo
ſuo
impulſo produce nel corpo un movimento
piccoliſſimo
, ove egli non fia impedito.
Come
potrebbe
egli eſlere impedito?
e che ne avverreb-
be
, ſe foſſe?
Potrebbe eſſere impedito, riſpoſi io,
per
qualche reſiſtenza, cioè a dire per qualche
potenza
, che lo diſtruggeſſe, così che nel tempo
ſteſſo
che l’ una potenza con l’ impulſo ſuo de-
termina
il corpo a moverſi, un’ altra potenza lo
determinaſſe
con egual determinazione a non mo-
verſi
;
e allora il corpo ricevendo continvamente
gl’
impulſi di quella prima potenza, premerebbe
continuamente
, tenendoſi ſempre pronto a moverſi
ſolo
che la potenza contraria ſi levaſſe.
Siccome
noi
veggiamo in un ſaſſo, il quale, eſſendo po-
ſto
ſopra una tavola, è ſtimolato continuamen-
te
dalla ſua gravità a moverſi all’ in giù, ne pe-
ſi move, perchè l’ immobilità, e l’ impenetra-
bilità
della tavola non gliel conſentono.
ceſſa
per
ciò la gravità di ſtimolarlo co’ ſuoi impulſi;
onde egli preme continvamente la tavola, et è
prcſto
di cadere ſol che la tavola ſi levi via.
6339LIBRO I. onde ſi vede, che la gravità, quanto a ſe, così
agiſce
nel ſaſſo, qualor’ ſta fermo, come agireb-
be
ſe egli cadeſſe, ſtimolandolo ſempre con gli
ſteſſi
impulſi;
ſe non che, ſtando egli fermo, ogni
impulſo
della gravità paſſa in iſtante, ne laſcia
dopo
ſe movimento alcuno, laddove cadendo,
paſſa
bensi ogni impulſo, ma laſcia dopo di ſe
quel
movimento, che ha prodotto;
il qual mo-
vimento
, reſtandoſi nel corpo, ſi uniſce poi con
gli
altri, che vanno per gli altri impulſi ſoprav-
venendo
.
Eper ciò la preſſione, che oſſerviamo
nel
ſaſſo, qualor ſta fermo, è ſempre l’ effetto
d’
un’ impulſo ſolo, la dove il movimento, che
egli
acquiſta cadendo, è l’ effetto di molti.
E
ſappiate
, che ſono ſtati molti filoſofi, a quali è
piacciuto
quando la potenza ſi adopra ſolo nel
premere
ſenza produrre movimento niuno, chia-
marla
forza morta.
Se così è, diſſe ſubito il Si-
gnor
Marcheſe, parea ben conveniente chiamar
forza
viva la potenza, qualor produce il movi-
mento
.
Queſto hanno voluto fare i Carteſiani,
riſpoſi
io allora;
e perciò non ſono ſtati aſſai be-
ne
inteſi dai Leibniziani, i quali ſi avevano già
uſurpato
il nome di forza viva, e datogli altra
ſignificazione
.
Ma laſciando queſto da parte, e
tornando
al propoſito, io dico eſſere coſtume del-
le
potenze, qualor producono il movimento, pro-
durlo
a poco a poco per mezzo di varj piccoliſ-
ſimi
impulſi.
E così m’ immagino, diſſe il Signor
Marcheſe
, che anche le potenze, che lo
6440DELLA FORZA DE’ CORPI gono, lo diſtruggano a poco a poco; ne mai e-
ſtinguano
un movimento grandiſſimo tutto ad un
tratto
.
Tanto più, riſpoſi io, che tra le potenze,
che
diſtruggono il movimento, vogliono nume-
rarſi
ancor quelle, che lo producono;
e queſte
lo
diſtruggono con quei medeſimi impulſi, con
cui
lo produrrebbono, ſe non trovaſſer nel cor-
po
un movimento contrario, cui debbon diſtrug-
gere
.
Un ſaſſo avendo ricevuto un movimento,
che
lo porta all’ in , lo perde a poco a poco;
ne ciò gl’ interviene per altro, ſe non perchè gl’
impulſi
continvi, che egli riceve dalla gravità,
e
che lo ſpingono all’ ingiù, vanno eſtinguendo
prima
una parte del movimento, che egli , e
poi
un’ altra, e poi un’ altra, finchè l’ hanno eſtin-
to
tutto;
e intanto il ſaſſo ſegue tuttavia di mo-
verſi
all’ in con quella parte di movimento,
che
gli reſta, e che l’ inerzia gli va pur conſer-
vando
fin che può perciocchè l’ inerzia accom-
pagna
il corpo per tutto, o vada egli acquiſtan-
do
il movimento o perdendolo.
Queſta inerzia,
diſſe
allora il Signor Marcheſe, che moſtra aver
tanta
parte nel movimento de corpi, a me par
tuttavia
(non ſo s’ io m’ inganni) che abbia pur
poca
azione;
imperocchè niuno accidente ne di
movimento
ne di quiete produce nel corpo, ma
ſolo
gli laſcia aver quello, che le potenze vi
hanno
prodotto.
Anzi niuna azione, riſpoſi, ſe
le
ſuole attribuire:
e quindi è, che io non l’ ho
poſta
tra le potenze.
E ſappiate, che
6541LIBRO I. Bernulli uomo nelle matematiche ſcienze, quant’
altri
mai foſſe, ſottile, e profondo, vuol ſimil-
mente
, che nel moto equabile niuna azione ſi
adopri
, per queſto appunto, che movendoſi un
corpo
equabilmente, niuno accidente nuovo in
lui
produceſi.
Pure quantunque non ſia azion
niuna
nell’ inerzia, e’ ci biſogna però intender ne
corpi
una proprietà, per cui ſi conſervino in quel-
lo
ſtato, in cui dalle potenze furono poſti;
il che
ſe
non foſſe, niuno effetto ci rimarrebbe delle
potenze
.
Avendo io fin qui detto, ſtette un po-
co
penſoſo il Signor Marcheſe, poi ripigliò.
Il
conſervare
mi par pure, che ſia un’ agire;
or ſe
dunque
l’ inerzia conſerva il movimento e la
quiete
ne corpi, come può dirſi, che ella non ab-
bia
azion niuna, e non agiſca?
Io credo, riſpo-
ſi
, che il conſervar le coſe ſia un’ agire non men
che
il produrle;
ma credo ancora, che il conſer-
varle
altro non ſia, che l’ azion di Dio, il quale
ſiccome
nel produr le forme dei corpi vuol ſer-
virſi
delle potenze create, e agir con loro, così
nel
conſervarle vuole agir da ſe ſolo.
E quindi
è
, che a quella tal’ inerzia, che noi vogliamo pur
concepire
, come una qualità de corpi, non reſta
da
far nulla;
e ſi riman ſenza azione. Ma che
giova
entrare ora in tante ſottigliezze, e così po-
co
neceſſarie al propoſito noſtro?
per cui baſta
ſapere
, che tutti gli effetti della natura ſi opera-
no
per alcune potenze, che producon ne corpi la
velocità
, la qual poi ſi conſerva in eſſi, che
6642DELLA FORZA DE’ CORPI ne ſia la cagione, finchè venga per l’ azione di
altre
potenze a diſtruggerſi;
e per ciò non avervi
parte
alcuna quella forza viva, che vorrebbe oggi
introdurſi
nel mondo e ſignoreggiare tutte le coſe.
Et io potrei faciliſſimamente dimoſtrarvi una tal
verità
, ſcorrendo ad uno ad uno tutti gli effetti
della gravità, come degli elaſtri;
da cui ſo-
gliono
principalmente trarſi gli argomenti a di-
moſtrare
la forza viva.
Ma voi potete far que-
ſto
cammino facilmente per voi ſteſſo, ne vorre.

te
darmi fatica ſenza biſogno - Voi giudicate di
me
, diſſe allora il Signor Marcheſe, troppo gen-
tilmente
;
ma ſappiate però, che ſe volete ch’ io
ſcorra
gli effetti o della gravità, o degli elaſtri,
io
deſidero in queſto cammino non andar ſolo;

e
voglio che almeno per qualche tratto di ſtrada
voi
mi accompagniate.
Che s’ egli mi è facile,
come
dite, trovar la via per me medeſimo, mol-
to
più mi dovrà eſſer facile, eſſendomi da voi mo-
ſtrata
.
Ma prima di entrare in cammino, vi pre-
go
levarmi un dubbio, il qual mi è nato per le
ultime
voſtre parole.
Quale? diſſi io. Voi avete
detto
, riſpoſe il Signor Marcheſe, che le potenze
producono
la velocità, la qual poi ſi conſerva, fin-
chè
ſia diſtrutta da altre potenze.
Or non s’ era
egli
ſempre detto, che le potenze producono il
movimento
?
e come dite ora, che producono la
velocità
?
E che altro è il movimento, riſpoſi io,
ſe
non la velocità?
Come? diſſe il Signor Mar-
cheſe
;
non ho io ſempre udito dire, che il
6743LIBRO I. vimento è la maſſa del corpo moltiplicata per la
velocità
?
Si certo; riſpoſi; cioè la velocità mol-
tiplicata
per la maſſa.
Veriſſimo, diſſe il Signor
Marcheſe
.
Cioè, ripigliai io, la velocità preſa
tante
volte, quante ſono le parti, ovvero gli
elementi
della maſſa, così che ſe le parti della maſ-
ſa
ſon due, il movimento ſarà la velocità preſa due
volte
;
ſe le parti della maſſa ſon cinque, o dieci,
o
venti, il movimento ſarà la veloci preſa cin-
que
, o dieci, o venti volte.
Non è egli così? Co-
par, che ſia, riſpoſe il Signor Marcheſe.
Dun-
que
il movimento, ſoggiunſi io, non è altro che
la
velocità, la qual ſi prende più volte o meno;
ma quantunque volte ſi prenda, non è mai altro,
che
velocità.
Ma non ſi dice egli talvolta, ripi-
gliò
allora il Signor Marcheſe, che avendo due
corpi
lo ſteſſo movimento non hanno però la ve-
locità
ſteſſa?
Et io dico, riſpoſi, che avendo lo
ſteſſo
movimento, avranno anche ſempre la ſteſ-
ſa
velocità.
Che è queſto che voi dite? riſpoſe il
Signor
Marcheſe.
Se un corpo avrà maſſa 1, ve-
locità
2, et un’ altro maſſa 2, velocità 1;
avran-
no
pure amendue lo ſteſſo movimento;
e però il
primo
avrà due gradi di veloeità, il ſecondo ne
avrà
uno.
Egli è il vero, riſpoſi io, che il lecon-
do
avrà un grado di velocità, ma eſſendo la maſ-
ſa
compoſta di due parti (che per queſto l’ave-
te
detta 2] ſarà ripetuto in ognuna di eſſe par-
ti
, e così ſarà non un grado ſolo di velocità, ma
due
.
E la cauſa, che avrà moſſo i due corpi,
6844DELLA FORZA DE’ CORPI aver prodotto due gradi di velocità così nel
primo
, come nel ſecondo;
ſe non che nel ſecon-
do
queſti due gradi di velocità ſi diſtribuiranno
alle
due parti della maſſa, toccandone uno a cia-
ſcuna
;
nel primo ſtaranno raccolti amendue nel-
la
ſteſſa maſſa 1.
Intendo, diſſe allora il Signor
Marcheſe
, che nel ſecondo corpo ſono due gra-
di
di velocità;
ma ſi dice eſſervene un folo, non
penſandoſi
al numero delle parti, onde la maſſa
è
compoſta.
Ne è neceſſario ſempre il penſarvi,
riſpoſi
io.
Vedete, diſſe il Signor Marcheſe, quanto
piccola
coſa mi avea conturbato.
E vorrete voi
laſciarmi
entrar ſolo, e ſenza accompagnarmi,
nella
conſiderazione di quegli effetti, che la gravità e
l’
elaſticità producono?
i quali quanto dovranno
eſſere
di ciò, che fino ad ora abbiamo detto, più
difficili
! Voi, diſſi, gli fate difficili col temerli;
ma
molto
ſacili comincieranno ad eſſervi, ſe credere-
te
, che lo ſieno.
E così interviene di tutte le coſe.
Di fatti qual coſa più facile, che intendere, per
quanto
appartiene al caſo noſtro, la gravità?
la
quaIe
avrete compreſo abbaſtanza, qualora in-
tendiate
una potenza, la qual riſegga nel corpo e
non
ceſſi mai di ſtimolarlo con altri ed altri impul-
ſi
;
così veramente, che queſti impulſi ſieno tutti
tra
loro eguali, e diſtanti ſempre l’ uno dall’ altro
dello
ſteſſo intervallo di tempo;
il qual interval-
lo
voi potete fingervelo di qualunque picciolezza
a
piacer voſtro;
anche infinita, ſe vi aggrada. In-
teſa
per tal modo la gravi, comprenderete
6945LIBRO I. germente, che tanto maggiore ſarà il numero de-
gl’
impulſi, quanto il tempo ſarà più lungo;
e
perciocchè
la velocità, che il corpo acquiſta in
cadendo
, è anch’ eſſa tanto maggiore quanto mag-
giore
è il numero degl’ impulſi, che nel tempo
della
caduta l’ hanno prodotta, vedete ſubito, la
velocità
dovere eſſere tanto maggiore, quanto più
lungo
è ſtato il tempo della caduta, ci dover’
eſſere
proporzionale al tempo.
Ed eccovi quella
legge
di gravità tanto illuſtre e famoſa, che chia-
mano
legge del tempo.
E con pochiſſima fatica,
ſe
aveſſi penna, e calamajo, potrei dimoſtrarvi
anche
l’ altra, che chiamano legge dello ſpazio.
E queſte ſono le leggi principaliſſime, onde i
meccanici
hanno poi raccolte tutte le altre, e fat-
tone
i volumi.
Dicendo io queſte ultime parole, il
Signor
Marcheſe ebbe toſto tratto fuori una pen-
na
, e un picciolo calamajo, che ſempre avea ſe-
co
, con un foglio di carta;
ed ecco, diſſe, chc
altro
più non vi manca, ſe non che vogliate ſo-
ſtenere
quella pochiſſima fatica, che avete det-
to
;
la quale ſe è tanto poca, non dovrete negar
di
prenderla per amor mio;
perchè ſebbene io ho
udito
dire di queſte leggi altre volte, mi piace
però
di udirne anche ora da voi, maſſimamente
per
vedere, ſe eſſe laſcino alcun luogo alla for-
za
viva.
Ma perchè non ci ſederemo noi ſotto
quell’
albero, il qual pare, che ci inviti con l’
ombra
?
E qui moſtrommi con la mano un belliſ-
ſimo
, e frondoſo albero, che poco lungi era;
7046DELLA FORZA DE’ CORPI al qual mirando, riſpoſi: come v. piace; e co-
minciai
accoſtarmivi.
Et egli ſeguendomi, queſt’
albero
, diſſe, mi torna alla memoria il plata-
no
famoſo di Socrate, il qual parve a Cicerone,
che
più che per l’ acqua, che lo irrigava, foſſe
creſciuto
per l’ orazion di Platone.
Ben dovrete,
riſpoſi
io allora, dimenticarvi di quel platano,
udendo
me.
Così dicendo, giunti a piè dell’ al-
bero
, mi poſi io prima a ſedere ſu l’ erba, indi
il
Signor Marcheſe vicin di me.
Et io preſa la
penna
in mano, diſegnai toſto ſopra il foglio,
che
egli mi recò, una figura, la quale chiamai
prima
, avviſando, che alcun’ altra doveſſe aggiun-
gerleſi
.
Indi guardando tutti e due nella medeſi-
ma
, io cominciai.
Fate ragione che il tempo, in
11F.I. cui cade un corpo, movendo dalla quiete, e ve-
nendo
giù liberamente, ſia la linea AB, la qual
diviſa
nelle parti Ab, bd, df&
c. tutte tra loro egua-
li
, e di quella maggior piccolezza, che a voi pia-
cerà
, ſaranno queſte i piccioliſſimi interválli, ov-
vero
tempe@ti, di cui tutto il tempo AB ſi com-
pone
.
Riceva ora il corpo ſul principio del tem-
petto
Ab un’ impulſo dalla gravità;
et eſſendo
libero
e ſpedito a moverſi, ne acquiſti una pic-
coliſſima
velocità, e ſia queſta eſpreſſa per la li-
nea
Ar.
Egli è certo, che ritenendo il corpo, e
conſervando
per tutto il tempetto Ab la velocità
acquiſtata
Ar;
ſe noi faremo il rettangolo br, po-
tremo
far ragione, che queſto rettangolo br ſia lo
ſpazietto
, che il corpo verrà ſcorrendo nel
7147LIBRO I. po Ab; che ben ſapete, lo ſpazio, che un corpo
ſcorre
, eſsere la velocità moltiplicata per lo tem-
po
.
Così è, diſse il Signor Marcheſe, poichè eſ-
ſendo
s lo ſpazio, il tempo t, la velocità ſarà {s/t}
che
moltiplicata per t rende s.
E per ciò, ripigliai
io
, il rettangoletto br, che pur ſi fa moltiplican-
do
la velocità Ar per lo tempetto Ab, eſprime-
lo ſpazio ſcorſo in eſso tempetto Ab- Vedete
dunque
, che come il corpo ſarà caduto per lo
piccoliſsimo
tempo Ab, la velocità, che egli av-
, ſarà bc eguale ad Ar, e lo ſpazio fcorſo ſarà
il
rettangoletto br.
Ma, ſcorſo lo ſpazio br, ri-
ceverà
il corpo ſul principio del tempetto bd un’
altro
impulſo dalla gravità eguale a quel primo,
laonde
ritenendo la velocità bc, che già avea, ne
acquiſterà
un’ altra ct ad eſsa eguale;
e verrà nell’
intervallo
bd a ſcorrere con la velocità bt un’ al-
tro
ſpazietto, che ſarà il rettangolo dt.
E qui
pur
vedete, che eſsendo il corpo caduto per lo
piccioliſſimo
tempo Ad, la velocità, che egli
avrà
, ſarà de eguale a bt;
e lo ſpazio ſcorſo
ſarà
la ſomma de due rettangoli br, dt.
E ſe
all’
iſteſso modo proſeguirete, faccendo a cia-
ſcun
tempetto il ſuo rettangolo corriſpondente,
facilmente
ritroverete, che eſsendo il corpo
caduto
per qualſiſia aſſegnabil tempo Am, et
eſſendo
mo il rettangolo corriſpondente all’ ul-
timo
tempetto, la velocità del corpo ſarà mn
lato
del rettangolo mo, e lo ſpazio ſcorſo
7248DELLA FORZA DE’ CORPI la ſomma ditutti i rettangoli ad mn ſovrappoſti. Ne
men
facilmente troverete, che tutte le linee bc, de,
e
le altre fino ad mn, eſprimenti le velocità, an-
dranno
a terminarſi in una linea retta An, la qua-
le
chiuderà il triangolo Anm, e che queſto trian-
golo
non ſarà differente dalla ſomma dei deſcritti
rettangoli
, ſe non per li ſpazietti urc, cte &
c. , i
quali
eſſendo tutti inſieme d’ un’ eſtrema, et infi-
nita
piccolezza riſpetto a tutto il triangolo, e po-
tendo
per ciò traſcurarſi et averſi per nulla;
potrà
anche
dirſi il triangolo Anm eſſere eguale alla ſom-
ma
dei deſcritti rettangoli, et eſprimere lo ſpazio
ſcorſo
ne più ne meno.
E per l’ iſteſſa ragione ſe
voi
condurrete una linea BC parallela ad mn, la
qual
tagli la linea An prodotta fino in C, voi tro-
verete
, che come il corpo ſarà caduto per tutto
il
tempo AB, la velocità, che egli avrà, ſarà
BC
, e lo ſpazio ſcorſo ſarà il triangolo ACB.
Sono io ſtato fin qui aſſai chiaro, o deſiderate,
che
io mi sforzi di eſſerlo anche più?
Niente
più
;
riſpoſe il Signor Marcheſe; e già veggo che
eſlendo
le due linee Am, AB proporzionali alle
due
mn, BC, et eſſendo quelle i tempi, e que-
ſte
le velocità, ne ſegue, che i tempi ſieno propor-
zionali
alle velocità, che è la legge, che avete det-
ta
, del tempo.
Or quale è quella, che dicevate del-
lo
ſpazio?
Queſta; riſpoſi, che gli ſpazj ſcorſi
ſono
proporzionali ai quadrati delle velocità.
Oh
queſto
ancora, diſſe il Signor Marcheſe, veggo
aſſai
bene;
perciocchè gli ſpazj ſcorſi ſono i
7349LIBRO I.Anm, ACB; e queſti appunto ſono proporziona-
li
ai quadrati delle linee mn, BC.
Voi, diſſi io al-
lora
, avete inteſo le due precipue leggi della gra-
vità
, da cui ſi derivano tutte le altre.
Or vi par’
egli
, che v’ abbia alcuna parte la forza viva?
A
me
par, diſſe il Signor Marcheſe, che la potenza
producitrice
del movimento, e l’ inerzia vi faccia-
no
ogni coſa;
poichè ſe la gravità nel principio d’
ogni
tempetto produce un picciolo movimento, e
l’
inerzia poi lo conſerva, ſeguir ne dee tutto quel-
lo
, che abbiamo detto;
ne potrebbe introdurviſi
veruna
altra forza ſe non per corteſia.
Sebbene io
ho
ſentito dire, che i Leibniziani, introduttori
della
forza viva, non tanto ſi fermano a conſide-
rare
il corpo, allorchè cade, ma molto più, quan-
do
ſale, dicendo che ſe egli venga ſpinto all’ insù
con
quella velocità, che avea, cadendo, acquiſ-
tata
, riconduceſi alla ſteſſa altezza nello ſteſſo tem-
po
.
Ma prima che noi entriamo a dir di ciò, pia-
cemi
intender da voi alcune coſe intorno la ca-
duta
, non perchè io non ne abbia inteſo quanto
era
d’ uopo al propoſito noſtro, ma perchè deſi-
dero
intenderne anche più.
E ſe noi ci allonta-
niamo
alcun poco dalla quiſtione della forza vi-
va
, ciò che è a noi?
potremo ritornarvi, come
vorremo
.
Ne è neceſſario, riſpoſi io, che il vo
gliamo
;
perchè già ne abbiamo detto, quanto a
voi
può baſtare, e dee.
Di queſto anche, riſpo.
ſe il Signor Marcheſe, diremo poi. Intanto io vi
prego
levarmi un dubio.
Voi avete detto,
7450DELLA FORZA DE’ CORPI la gravità ſul principio di ciaſcun tempetto da.
al corpo un certo impulſo, faccendo poi ragione,
che
in tutto quel tempetto non glie ne dia verun’
altro
;
con che venite a rendere l’ azione della
gravità
non già perpetua, e continvata, come ve-
ramente
è, ma diſcontinvata ed interrotta per va-
rj
intervalli.
Io non dubito, che queſta non ſia.
una
di quelle ſuppoſizioni falſe, che ben uſando-
le
ne conducono al vero;
e così voi ne avete
comodiſſimamente
dedotte le leggi della gravità.

Ma
perchè non potremmo noi dedurre le iſteſſe
leggi
dall’ azione o vero dall’ impulſo perpetuo
e
continvato, e non aver tanto obbligo alla fal-
ſità
?
E come vorreſte voi, riſpoſi io, dalla con-
tinvazione
non mai interrotta dell’ impulſo de-
durre
, che le velocità doveſſero eſſere proporzio-
nali
a i tempi?
Perchè parmi, riſpoſe il Signor
Marcheſe
, che eſſendo l’ impulſo ſempre eguale,
come
è, ſe farà anche continvato per tutto il tem-
po
, dovrà la ſomma degl’ impulſi eſſere tanto
maggiore
, quanto maggiore ſarà il tempo;
e poi-
chè
la velocità è proporzionale alla ſomma degl’
impulſi
, dovrà eſſere ſimilmente proporzionale
al
tempo.
Dimoſtrata così la legge del tempo,
non
ſarà forſe difficile dimoſtrare poi anche l’ al-
tra
dello ſpazio.
Io vorrei, diſſi allora, che voi
mi
ſpiegaſte diligentemente quello, che vogliate
intendere
, qualor dite:
la ſomma degl’ impulſi;
o
più toſto quali intendiate che ſieno queſti im-
pulſi
ad uno ad uno, di cui raccogliete la
7551LIBRO I. ma. Ma quali intendete voi che ſieno, riſpoſe
allora
il Signor Marcheſe, voi che gli diſgiunge-
te
l’ un dall’ altro con quegl’ intervalli così ſtra-
namente
piccoli?
Io intendo, riſpoſi, che ſieno i-
ſtantanei
.
Or bene, diſſe il Signor Marcheſe, fa-
te
dunque ragione, che io intenda quello ſteſſo;
ſe non che voi tra l’ uno, e l’ altro impulſo frap-
ponete
alcun tempetto, io non ne frappongo niu-
no
;
e voglio, che ad ogni punto di tempo cor-
riſponda
un impulſo, così che tanti ſieno gl’ im-
pulſi
, quanti ſono i punti del tempo;
il che po-
ſto
biſognerà pur dire, che quanto è maggiore
il
tempo, tanto debba eſſer maggiore la ſomma
degl’
impulſi, e tanto anche maggiore la veloci-
tà-
Ma non vi accorgete voi, Signor Marcheſe,
riſpoſi
io allora, che in coteſto diſcorſo voi pre-
ſupponete
, che il tempo ſia compoſto di tanti
punti
, il che è impoſſibile;
e che l’ impulſo con-
tinvato
della gravità ſia compoſto eſſo pure di
tanti
impulſi iſtantanei, il che è impoſſibile egual-
mente
, perciocchè il continvo non può compor-
ſi
di coſe non continve?
Il che veggiamo anche
nelle
Jinee, le quali, ſe vogliamo comporle di
punti
, in quanti errori non ci inducono! Chi è,
che
non poſſa in un quadrato trovar tanti pun-
ti
nell’ lato, quanti ne trova nella diagonale, ſo-
lo
che per ogni punto della diagonale conduca
una
linea perpendicolare al lato?
di che ſe uno
raccoglieſſe
, che la diagonale et il lato doveſſero
eſſere
tra loro eguali, come quelli, che ſi compon-
7652Della forza de’ corpi gono d’ un’ egual numero di punti, incorrereb-
be
in un’ errore grandiſſimo.
Ne è meno peri-
coloſo
il voſtro argomento, in cui riſolven-
do
il tempo in tanti punti, e l’ impulſo della
gravità
, che pur volete eſſer continvo, in tanti
impulſi
iſtantanei, volete quello eſſere eguale ov-
vero
proporzionale a queſto, poichè quanti pun-
ti
trovate in quello, tanti impulſi iſtantanei tro-
vate
in queſto.
Ma laſciando da parte ogni ſotti-
lità
, io vi domando:
qualora un corpo cade per
qualche
tempo, e cadendo ſcorre un qualche
ſpazio
, l’ azione della gravità, cioè l’ impulſo,
ſiccome
è continvata per tutto quel tempo, non
è
ella altresì continvata per tutto quello ſpazio?
ne però dirà alcuno, che ſia ella proporzionale
allo
ſpazio, ne che produca velocità allo ſpazio
proporzionale
.
Come dunque l’ impulſo, eſſen-
do
continvato per lo ſpazio, non produce però
una
velocità proporzionale allo ſpazio;
perchè
non
potrebbe eſſere continvato per lo tempo, e
non
produrre per ciò una velocità proporzionale
al
tempo?
onde ſi vede, quanto poco vaglia la.
continvazione
a dimoſtrare una tal legge.
La qual
però
ſi raccoglierebbe beniſſimo, ſupponendo,
che
l’ azione della gravità foſſe non già continva,
ma
interrotta per alcuni piccoliſſimi, et inſenſi-
bili
intervalli, come ſopra ho detto.
Noi dunque,
diſſe
allora il Signor Marcheſe, dovremo la co-
noſcenza
delle leggi della gravità ad una ſuppo-
ſizion
falſa.
Anzi la dovremo, riſpoſi io, all’
7753Libro I. ſperienza, la quale ha poi fatto luogo alla ſuppoſi-
zione
;
perciocchè l’ eſperienza ci ha inſegnato,
che
i corpi cadendo per alcun tempo ſenſibile ac-
quiſtano
ſempre una velocità proporzionale ad
eſſo
tempo;
è poi venuta la ſuppoſizione a ren-
der
ragione di ciò, che l’ eſperienza ci aveva in-
ſegnato
ſenza ragione.
La qual ſuppoſizione ſe
nulla
ha in ſe di aſſurdo, ſe è comodiſſima, ſe
conſentanea
all’ eſperienza ſteſſa, io non ſo già,
perchè
voi vi abbiate fitto nell’ animo, che debba
a
tutti i modi eſſer falſa.
Oh diremo noi, riſpo-
ſe
allora il Signor Marcheſe, che l’ azione della
gravità
ſia realmente interrotta per alcuni inter-
valli
di tempo;
onde biſognerebbe anche dire,
che
i corpi per alcuni intervalli di tempo non
foſſero
attualmente gravi?
Io non veggo, riſpo-
ſi
allora, qual noja doveſſe recarne il dir ciò, qua-
lunque
volta foſſero quegl’ intervalli piccioliſſi-
mi
et inſenſibili.
Perciocchè, eſſendo tali, laſcie-
rebbono
parer continva l’ azione della gravità,
quantunque
non foſſe;
e dove paja continva, che
fa
per gli uomini, che lo ſia?
i quali veggono il
mondo
non già tale, quale egli è, ma quale ap-
pariſce
, e ſe ne contentano.
Credete voi ciò, ri-
ſpoſe
allora il Signor Marcheſe, o fate viſta?
per-
chè
io ho pur ſempre udito dire, che l’azione del-
la
gravità ne corpi ſia continva.
Et io pure, ri-
ſpoſi
ſorridendo, il dirò perchè continve ſoglion
dirſi
tutte le coſe, che ſono tali, o pajono;
ma
il
filoſofo non dee laſciarſi portare dall’ uſo
7854Della forza de’ corpi parlar comune, ne aver per continve tutte le co-
ſe
, che il volgo dice eſſer tali.
Vedete, quante
n’
ha in natura, le quali per la piccolezza, e in-
ſenſibilità
de frappoſti intervalli moſtran’ eſſer con-
tinve
, e non ſono.
L oro, l’ argento, il ferro,
il
marmo, il vetro, il legno pajon continvi;
e
pure
da quanti fori, da quanti canali non ſono
interrotti
, e quanti naſcondigli non contengono?
il che potete ſimilmente credere di tutti gli altri
corpi
.
E ſe dalle ſoſtanze voi paſſerete alle azio-
ni
, quante ne troverete, a cui la natura ha frap-
poſto
infinite breviſſime ceſſazioni, e ripoſi, che
ſono
per così dire i loro pori?
ma eſſendo quel-
le
ceſſazioni tanto brevi, et inſenſibili, laſciano
parer
continve le azioni.
Credete voi, che ſia
continvo
il riſplender del ſole?
il quale ſe cac-
cia
da ſe la luce vibrandoſi, come alcuni voglio-
no
, così che nel fine di ciaſcuna vibrazione get-
ti
un raggio;
biſogna ben dire, che queſto gitta-
re
non ſia continvo, ma fatta una vibrazione ceſ-
ſi
, finchè un’ altra ne ſucceda;
pure eſſendo que
gl’
intervalli breviſſimi, ci par che la luce ſi par-
ta
dal ſole continvamente.
Già il ſuono, che ſi
produce
da corpi, i quali ſcuotendoſi nelle loro
parti
e vibrandoſi, vanno ſcuotendo l’ aria, e
vibrandola
ſimilmente, non potrebbe produrſi ne
continvarſi
ſenza molte interruzioni.
E lo ſteſſo
può
dirſi di tutte le azioni, che ſi fanno per via
di
molte percoſſe ſuccedentiſi l’ una all’ altra, co-
me
il riſcaldare, che fa per le ſpeſſiſſime
7955Libro I. coſſe, che riceve il corpo dalle particelle del fuo-
co
.
Io non finirei mai, ſe voleſſi recarvi tutti
gl’
eſempj di quelle azioni, che, parendo continve,
non
ſono, e intanto ci pajono, perchè la natura
ſopraſsedendo
di tanto in tanto dall’ agire, e qua-
ſi
ripoſandoſi, vuole che noi ſentiamo la ſua azio-
ne
, e non ci accorgiamo del ſuo ozio.
E ſappia-
te
, che io conoſciuto, non ha gran tempo,
in
Roma un’ valoroſo uomo, e dotato di acu-
tiſſimo
ingegno, e di profonda ſcienza, il quale
levava
via ogni continvazione del corpo, volen-
do
, che la materia, ond’ egli è compoſto, con-
ſiſteſſe
in una moltitudine innumerabile di punti
matematici
, i quali, eſſendo tutti l’ un dall’ al-
tro
diſgiunti, et ora traendoſi l’ un l’ altro, et
ora
cacciandoſi in varie guiſe, produceſſero tutti
gli
aſpetti dell’ univerſo.
E con queſta ſuppoſi-
zione
ſpiegava tante coſe, e tanto felicemente,
che
la facea parer quaſi vera.
Che ſe a un così
gran
filoſofo è piaciuto, che la materia, la qual
pure
ſi tien da tutti per continva, altro non ſia,
che
molti punti matematici diſgiunti tra loro,
e
ſeparati, perchè non potrà egli piacere a noi,
che
l’ azione d’ alcuna potenza, quantunque paja
continva
, altro però non ſia, che molte azioni
iſtantanee
, diſgiunte altresì, e ſeparate tra loro?
e ſolamente ſia nella natura perfettamente contin-
vo
il tempo e lo ſpazio, i quali ſe non foſſer con-
tinvi
, non potrebbono le altre coſe eſſere inter-
rotte
?
Avendo io fin qui detto, e ſopraſtando
8056DELLA FORZA DE’ CORPI quanto, voi dunque volete, diſſe il Signor Mar-
cheſe
, che l’ azione della gravità ſia veramente
interrotta
per alcuni piccioli intervalli.
Io non
voglio
già queſto io, riſpoſi allora.
Dico ſola-
mente
, che non ha alcuna ragione di crederla
più
toſto continvata, che interrotta;
e dico, che
ſe
la crediamo interrotta, come l’ ho preſuppoſta
io
, potremo render ragione delle leggi della gra-
vità
;
ſe la crediamo continvata, non potremo;
perciocchè dalla continuazione non può racco-
glierſi
nulla.
Ma quelli, che l’ hanno per con-
tinvata
, diſſe allora il Signor Marcheſe, come am-
metteranno
quelle leggi?
Le ammetteranno, riſ-
poſi
allora, indottivi dall’ eſperienza, non dalla
ragione
;
ne le potranno far valere ſe non in quel-
le
potenze, in cui l’ eſperienza le abbia manife-
ſtate
.
Ma voi avevate, ſe non m’ inganno, altre
coſe
da domandarmi.
Niente da domandarvi; riſ-
poſe
il Signor Marcheſe;
ho bene alcune coſe,
che
deſidero dirvi, le quali mi paſſavan teſtè per
l’
animo, mentre voi mi ſpiegavate le leggi del-
la
gravità;
e benchè io non mi conſidi di dover
dirle
con chiarezza, e con ordine, pur vi pre-
go
di aſcoltarle.
Per qualunque modo, riſpoſi
io
, voi le diciate, non potranno ſe non piacer-
mi
.
Et egli allora, non dubito, diſſe, che aven-
do
ogni corpo tanto maggior gravità, e riceven-
do
perciò tanto maggiore impulſo, e tanto mag-
gior
movimento, quanto ha più di maſſa, ne vie-
ne
, che ogni corpo ricever debba dalla
8157LIBRO I. ſua la ſteſſa velocità, dovendo così intervenire,
ovunque
il movimento ſia proporzionale alla maſ-
ſa
.
Io ſon dunque perſuaſo, che ogni corpo ri-
ceverà
dal primo impulſo della ſua gravità la ve-
locità
ſteſſa Ar, e così di mano in mano riceve-
dagli altri impulſi gli ſteſſi accreſcimenti di ve-
locità
ct, ex &
c. e così tutti i corpi cadranno
con
la velocità medeſima;
onde io veggo, che
rappreſentando
il triangolo ACB la caduta di un
grave
, rappreſenta quella di tutti.
Pure perchè
non
potrebbe eſſere o fingerſi un’ altro ordine di
corpi
, i quali aveſſero maggiore, o minor gra-
vità
, che queſti noſtri non hanno, quantunque
aveſſero
le iſteſſe maſſe?
Tali, ripigliai io, ſi cre-
de
che ſieno i corpi nellà luna, dove vuolſi, che
la
gravità ſia minore, che qui in terra;
in tanto
che
il medeſimo corpo, che qui in terra riceve
dalla
gravità un certo impulſo, et una certa ve-
locità
, nella luna riceverebbe un impulſo, et una
velocità
minore.
Di queſti corpi dunque, diſſe
il
Signor Marcheſe, che noi chiameremo lunari,
parmi
, che la caduta poſſa ſimilmente rappreſen-
tarſi
con un triangolo, come quella dei terreſtri.
Io non ne ho, diſſi, dubio alcuno. E parmi an-
che
, ripigliò il Signor Marcheſe, che ſe io vo-
leſſi
comparare la caduta di un corpo terreſtre
con
quella di uno lunare, mi converrebbe fare
due
triangoli, ne credo, che mal m’ apponeſſi, fac-
cendoli
di queſto modo.
Stia la velocità prima, che
riceve
il corpo terreſtre dalla ſua gravità,
8258DELLA FORZA DE’ CORPI velocità prima, che riceve il corpo lunare dalla
ſua
, come Ar ad Au, ovvero come bc a bs.
Io con-
durrei
la linea As, e prolungandola fino a tagliar
BC
in H, crederei, che il triangolo AHB rap-
preſenterebbe
la caduta del corpo lunare, così
come
il triangolo ACB rappreſenta quella del ter-
reſtre
;
e così ſtarebbe lo ſpazio ſcorſo dal corpo
terreſtre
nel tempo AB allo ſpazio ſcorſo dal cor-
po
lunare nello ſteſſo tempo, come il triangolo
ACB
al triangolo AHB;
e le velocità acquiſtate
ſarebbono
tra loro come BC, BH.
Io non cre-
do
, diſſi io allora, che voi vi diſcoſtiate punto
dal
vero.
E piacemi, che per mezzo della lu-
na
vi abbiate aperta la ſtrada a tutti gli altri pia-
neti
;
perciocchè ſe voi ſaprete, quanta ſia la gra-
vità
de corpi in ciaſcun di loro, di che diconſi
i
Neutoniani avere avuto qualche notizia;
voi
potrete
, come i corpi, che cadono nella luna,
così
chiamare ad eſame ancor quelli, che cado-
no
in giove, o in ſaturno, o in qualſiſia altro
pianeta
, e riconoſcere per mezzo di più trian-
goli
le varie maniere delle lor cadute.
Così ſe
due
corpi partano dalla quiete con le velocità Ar,
A
u, e ſia per eſempio Ar quattro volte maggio-
re
di Au;
voi potrete facilmente intendere, che
cadendo
amendue per lo ſteſſo tempo AB, l’ uno
dovrà
ſcorrere uno ſpazio quattro volte maggio-
re
, che l’ altro, et acquiſtare altresì una veloci-
quattro volte maggiore;
eſſendo manifeſto, che
il
triangolo ACB ſarà quattro volte maggiore
8359LIBRO I. triangolo AHB, e la linea BC altresì quattro vol-
te
maggiore della BH.
Parmi ancora, diſſe il Si-
gnor
Marcheſe, che ſe io prolungaſſi la linea AB
fino
in D, e conduceſſi DE parallela a BC, fin-
chè
tagliaſſe la AH in E;
e faceſſi tutto queſto
per
modo, che foſſe AD ad AB, come BC a DE.
eſſendo allora eguali i triangoli ACB, AED, po-
trei
dire, che il corpo lunare nel tempo AD ſcor-
re
quello ſpazio medeſimo, che il corpo terre-
ſtre
ſcorre nel tempo AB;
e acquiſta tuttavia ve-
locità
minore, eſſendo DE minore di BC.
Non
ſo
, ſe il mio ragionare vi paja aſſai giuſto.
Io
non
credo, riſpoſi, che la dialettica ſteſſa formar
lo
poteſſe più giuſtamente.
Ora, ripigliò il Signot
Marcheſe
, s’ egli è pur vero, che il corpo terre-
ſtre
, cacciato all’ insù da qualſiſia potenza con
la
velocità BC, dee ſalire per tutto lo ſpazio
ACB
, io non ſo, perchè il corpo lunare, cac-
ciato
all’ insù con la velocità DE, non doveſſe
ſalire
per lo ſpazio AED, cioè per eguale ſpazio;

onde
io traggo argomento, che la forza del ſali-
re
non debba miſurarſi dallo ſpazio ( laſcio ora
la
maſſa, che poſſiamo fingere eguale in amendue
i
corpi ) perciocchè ſe così foſſe, biſognerebbe
nel
noſtro caſo, che il corpo terreſtre, et il lu-
nare
ſcorrendo lo ſteſſo ſpazio, aveſſero la ſteſſa
forza
;
il che però non può eſſere, ſecondo la
ſentenza
di niun filoſoſo, eſſendo le maſſe egua-
li
, diſeguali le velocità.
Ma veggo bene di non
poter
ciò intendere baſtantemente, ſe voi
8460DELLA FORZA DE’ CORPI non mi ſpiegate, come il corpo terreſtre, eſſen-
do
cacciato all’ in con la velocità BC, che
egli
avrebbe acquiſtata cadendo perlo ſpazio ABC,
debba
ſalire per lo ſteſſo ſpazio, e non più.
Et io
veggo
, riſpoſi, che voi mi tentate;
perchè la coſa è
pur
facile, e per poca attenzione, ch’ altri vi
ponga
, non può non intenderſi toſtamente.
Impe-
rocchè
eſſendo il corpo cacciato all’ insù con la
velocità
BC, quale ſpazio ſcorrerà egli nel tempet-
to
Bk?
Lo ſpazio Bz, diſſe il Signor Marcheſe. Che
è
quello ſteſſo, ſoggiunſi io, che egli avrebbe ſcor-
ſo
nel fine della ſua caduta in un tempetto eguale a
B
k.
Ora finito il tempetto Bk, non riceverà il
corpo
dalla ſua gravità un’ impulſo, che ſpin-
gendolo
all’ ingiù diſtruggerà in eſſo una parti-
cella
di quella velocità, che egli ha?
E queſta
particella
non ſarà ella proporzionale all’ impulſo
ſteſso
?
Certo che ſi; riſpoſe il Signor Marcheſe,
e
ſarà lz, onde reſterà al corpo la velocità kl,
con
la quale dovrà ſcorrere nel tempetto ſeguen-
te
kb lo ſpazio ky, che è quello ſteſso, che caden-
do
avrebbe ſcorſo nel penultimo tempetto eguale
a
kb.
E così proſeguendo, ſoggiunſi io, voi tro-
verete
, che il corpo riſalendo all’ insù dee ſcor-
rere
tutti gli ſpazj, che già ſcorſe cadendo, e ne-
gl’
iſteſſi tempetti, fino in A;
dove poichè ſarà
giunto
, avrà perduta tutta la velocità BC;
e ſi
fermerebbe
quivi, ſe la gravità, che egli ritien
ſempre
, non lo ſtimolaſse di nuovo a diſcendere.
Et io non dubito, che per la ſteſsa ragione
8561LIBRO I. che i corpi nella luna, caduti eſsendo per qual-
che
ſpazio, ſe riſaliranno con quella velocità,
che
acquiſtaron cadendo, riſaliranno per lo ſteſ-
ſo
ſpazio, e non più.
E ſimilmente troverete av-
venire
in tutti gli altri pianeti, ſe vi piacerà di
andar
vagando per ciaſcuno.
E per venir , don-
de
i noſtri ragionamenti s’ incominciarono, po-
tete
anche facilmente conoſcere, che a far ſali-
re
un corpo, come abbiamo detto, non altro ri-
cercaſi
ſe non tre coſe ſole:
una potenza, che da
principio
produca in eſſo un movimento all’ in-
;
un’ altra potenza, che diſtrugga quel movi-
mento
a poco a poco;
el’ inerzia, che ne conſervi
gli
avanzi, finchè può.
Di che pare, che niun
luogo
v’ abbia quella forza viva, che i Leibni-
ziani
hanno voluto aggiungervi, e che miſuran-
dola
dallo ſpazio, voglion’ eſſere proporzionale
al
quadrato della velocità.
Così è, diſſe il Si-
gnor
Marcheſe;
e certo parmi, che quelle poten-
ze
, che avete detto, e l’ inerzia, baſtino a tut-
to
.
Pure che riſponderò io ad uno, il quale ar-
gomenti
di queſta maniera?
Se un corpo ſale ad’
una
certa altezza, biſogna pur dire, che abbia la
forza
di ſalirvi;
la qual forza dovrà pur miſurar-
ſi
dalla ſalita ſteſsa;
e miſurandoſi queſta dallo
ſpazio
, et eſsendo lo ſpazio proporzionale al qua-
drato
della velocità, par bene che dovrà eſsere
proporzionale
allo ſteſso quadrato anche la for-
za
.
Laſcio ſempre ſtare la maſsa, che certo do-
vrà
entrare in tal miſura, poichè, ſalendo
8662DELLA FORZA DE’ CORPI corpo, ſagliono egualmente tutte le parti di eſso,
e
quella forza, che lo fa ſalire, dee produrre
tante
ſalite, quante ſono eſse parti.
Ma tutto ciò
non
fa nulla al caſo noſtro, in cui vogliamo eſse-
re
ſempre eguale la maſsa.
E ciò poſto, come non
dovrà
aggiungerſi alle potenze, che avete det-
to
, et all’ inerzia un’ altra forza, che ſia pro-
porzionale
allo ſpazio, cioè al quadrato del-
la
velocità?
Voi dite beniſſimo, riſpoſi; per-
chè
ora a voi piace di prendere la ſalita come un’
effetto
;
e perciò dovete immaginar nel corpo una
forza
, che ſia ad eſſa porporzionale.
Ne io nego,
che
voi poſſiate prendere, come effetto, tutto che
volete
;
e così fingervi quante forze volete. Nego
bene
, che la ſalita del corpo ſia veramente un’
effetto
, e che debba eſſere al mondo una parti-
colar
forza deſtinata dalla natura a produr le ſa-
lite
.
E dico, che nel ſalire non ha altro effetto,
ſe
non che il movimento prodotto già da una
qualche
potenza, il quale eſſendo rivolto all’ in-
, chiamaſi per noi ſalita;
e ſi conſerva per l’
inerzia
, finchè ſia da una potenza contraria to-
talmente
diſtrutto;
ne altra forza vi ſi ricerca. E
quando
bene vi ſi ricercaſſe una particolar for-
za
, che produceſſe la ſalita, io non ſo anche,
perchè
ſe la voleſſero i Leibniziani miſurare col
quadrato
della velocità.
Oh diranno, riſpoſe il Si-
gnor
Marcheſe:
perchè quella forza ſi miſurerebbe
dalla
ſalita, e la ſalita ſi miſura dallo ſpazio, e lo ſpa-
zio
è proporzionale al quadrato della velocità.
8763LIBRO I. Si; riſpoſi, lo ſpazio è proporzionale al quadra-
to
della velocità, ſe i corpi, che noi paragonia-
mo
, ſieno gravi dello ſteſso genere di gravità,
come
ſe ſieno due corpi terreſtri, che ſagliano
all’
insù;
i quali veramente ſcorreranno ſpazj pro-
porzionali
ai quadrati di quelle velocità, con
cui
cominciarono a ſalire.
Non così, ſe foſser
diverſi
i generi delle gravità;
come ſe l’ un cor-
po
foſse terreſtre, e ſaliſse all’ insù qui in terra,
l’
altro foſſe lunare, e ſaliſse all’ in nella lu-
na
;
perchè voi troverete, che il corpo, che ſale
in
nella luna, avendo ricevuto da principio
una
certa velocità, ſcorre uno ſpazio aſsai mag-
giore
, che non ſcorrerebbe qui in terra, aven-
do
ricevuto la velocità medeſima;
laonde para-
gonando
la falita del corpo terreſtre con la ſali-
ta
del lunare, ſi troverà altra eſsere la proporzio-
ne
degli ſpazj, altra quella dei quadrati delle ve-
locità
.
Egli è male, diſse allora il Signor Marche-
ſe
, che per trovar queſto paragone, biſogni andar
nella
luna.
Potrebbe ritrovarſi lo ſteſso, riſpoſi io,
anche
quì in terra, chi voleſse ſeguir piuttoſto
la
verità, che le ipoteſi.
Perchè voi dovete ſape-
re
, che ſecondo le eſperienze di molti graviſſi-
mi
, e diligentiſſimi fiſici, gl’ iſteſſi corpi non
hanno
già la ſteſsa gravità per tutta la terra, ove
che
ſieno;
ma più ſi ſcoſtano dall’ equatore, e
più
l’ hanno grande;
per la qual coſa ſe due cor-
pi
ſagliono all’ insù, l’ uno più lontano all’ e-
quatore
, e l’ altro meno, non ſarà già vero,
8864DELLA FORZA DE’ CORPI gli ſpazj ſieno per eſsere proporzionali ai qua-
drati
delle velocità;
benchè ſarebbe vero, ſe la
gravità
, come ſuol ſupporſi, foſse la ſteſsa per
tutto
.
Di che par certamente, che volendo mi-
ſurar
la forza dalla ſalita, e dallo ſpazio, non
debba
per ciò ſempre miſurarſi dal quadrato del-
la
velocità.
Che è un’ argomento, che io ſentj
una
volta dire a un mio nipote, che argomenta-
va
contra l’ opinione di Leibnizio.
E’ egli quel-
lo
, diſse il Signor Marcheſe, che voi avete eſpo-
ſto
ne voſtri comentarj, e che io leſſi in Paler-
mo
, e mi ſdegnai meco ſteſso, parendomi allo-
ra
, che non mi ſodisfaceſse?
Non vi ſdegnate
per
queſto, riſpoſi io, con voi ſteſſo;
perchè è ſtato
anche
un valoroſo matematico, voglio dire il Padre
Riccati
, a cui quell’ argomento non è potuto
piacere
.
Se vi è caro, io vi racconterò la li-
te
, come è ſtata;
e tanto più volentieri il farò,
che
eſponendolavi verrò inſieme ad eſporvi, qua-
li
foſsero i principj ultimi, e qual l’ origine di
tutta
la quiſtione della forza viva;
che eſsendo
già
nata dall’ incomparabil Leibnizio parve poi,
che
ſi taceſse per lungo tempo, finchè eccitata,
e
commoſsa dall’ egregio Bernulli ſurſe di nuo-
vo
con più rumore.
Io avrò caro di udirne, diſ-
ſe
il Signor Marcheſe.
Sappiate dunque, ripi-
gliai
io, che Leibnizio aſsumeva, come un prin-
cipio
di meccanica da non dover dubitarſene, che
eguali
forze debbano avere due corpi, ſe l’ un
di
loro, avendo maſsa 4, poſsa ſalire all’
8965LIBRO I. 1; e l’ altro, avendo maſsa 1, poſsa ſalire all’
altezza
4;
miſurando così le forze dalla maſsa mol-
tiplicata
per lo ſpazio.
E quindi argomentava ſot-
tilmente
a queſto modo.
Se un corpo, la cui maſ-
ſa
ſia 4, cada dall’ altezza 1, acquiſta forza di
riſalire
ſpazio 1;
e ſe un’ altro corpo, la cui maſ-
ſa
ſia 1, cada dall’ altezza 4, acquiſta forza di
riſalire
ſpazio 4.
Avranno dunque queſti due
corpi
acquiſtate forze eguali nel lor cadere;
le
quali
forze però non ſarebbono eguali, ſe non
ſi
miſuraſsero moltiplicando le maſse per li qua-
drati
delle velocità;
biſogna dunque così miſu-
rarle
.
Per tal modo argomentava il Filoſofo acu-
tiſſimo
, e riprendeva con molta alterigia i Car-
teſiani
, che fino a quell’ ora avevano miſurato la
forza
d’ aìtra maniera;
ma eſſi per forza altro a.
vevano inteſo da quello, che intendeva egli. Di
quì
nacque la famoſa quiſtione;
della quale ra-
gionando
meco un giorno Euſtachio mio nipote
dicea
, che ſecondo quel principio di meccanica,
che
aſſumeva Leibnizio, la concluſione procede-
va
beniſſimo nella ſuppoſizione della noſtra comu-
ne
gravità;
ma cangiandoſi la gravità, avrebbe
dovuto
cangiarſi ancora la concluſione.
Di fatti
ponghiamo
, che il corpo, che ha maſſa 4, e ſa-
le
all’ altezza 1, ſia dotato della gravità terreſtre;

l’
altro, che ha maſſa 1, e ſale all’ altezza 4, ſia
dotato
della lunare:
ſecondo il principio, che
Leibnizio
aſſumeva, dovranno amendue i corpi
avere
forze eguali;
ne però ſi troveranno
9066DELLA FORZA DE’ CORPI miſurandole dalle maſſe moltiplicate per li qua-
drati
delle loro velocità;
acciocchè dunque ſieno
eguali
le forze, come eſſer debbono ſecondo il
principio
di Leibnizio, dovranno miſurarſi d’ al-
tra
maniera.
E che oppone egli, diſſe allora il Si-
gnor
Marcheſe, a queſto argomento il Padre Ric-
cati
?
Niente altro, ripigliai io; ſe non che, qua-
lunque
velocità ſi acquiſti il corpo cadendo per
qualunque
genere di gravità, potrà pur ſempre
dirſi
, che la forza, che egli ha, ſia proporziona-
le
alla maſſa moltiplicata per lo quadrato della
acquiſtata
velocità.
Si, riſpoſe allora il Signor
Marcheſe
;
ma non potrà poi miſurarſi la forza
dalla
maſſa moltiplicata per lo ſpazio, come ri-
cerca
il principio, che Leibnizio aſſumeva.
Forſe
che
il Padre Riccati non vorrà aſſumerlo egli.
Se
non
vuole aſſumerlo egli, riſpoſi io allora, dovea
però
ſoffrire, che lo aſſumeſſe mio nipote argo-
mentando
contra Leibnizio, il qual lo aſſume.
E
ſe
quel principio non gli piaceva, dovea piuttoſto
ſgridarne
Leibnizio ſteſſo;
ma egli ha voluto ave-
re
un’ avverſario più debole, e s’ è rivolto contra
il
mio Euſtachio.
Vorrà forſe il Padre Riccati,
diſſe
allora il Signor Marcheſe, che la forza ſi mi-
ſuri
non veramente dallo ſpazio, ma dalla ſomma
di
quelle reſiſtenze, ovvero di quegl’ impulſi, che
il
corpo incontrâ ſalendo per lo ſpazio;
il che
pare
ancora e più ragionevole, e più vero.
Io non
ſo
;
diſſi. Ma certo ſe Leibnizio aveſſe così volu-
to
, avrebbe dovuto miſurar la forza più
9167LIBRO I. dal tempo, che dallo ſpazio; eſſendo la ſomma
degl’
impulſi, che il corpo riceve dalla gravità,
e
che incontra ſalendo in , non allo ſpazio
proporzionale
, come ben ſapeva Leibnizio, ma
al
tempo.
Ma parmi oramai, che della gravità,
in
quanto appartiene alla forza viva, ſiaſi pernoi
detto
abbaſtanza;
ſe non forſe anche troppo. A
me
, diſſe il Signor Marcheſe, non può parer trop-
po
;
ſe già voi non voleſte entrare a dir degli e-
laſtri
, ſopra la forza de quali deſidero grandemen-
te
ſapere l’ opinion voſtra;
la quale ſe voi vorre-
te
eſpormi, vi concederò volentieri, che della
gravità
ſiaſi detto abbaſtanza;
ne credo però, che
degli
elaſtri dobbiate avere difficoltà niuna a dir-
mi
, avendone detto tanto ne voſtri Comentarj.
Appunto, riſpoſi io allora, perchè ne ho detto
tanto
ne Comentarj, non accade, che io ve ne
dica
ora.
Potete facilmente leggerli; e ne in-
tenderete
l’ opinion mia.
Ma voi potreſte, diſſe
allora
il Signor Marcheſe, aver cangiato di opi-
nione
.
Et io ſorridendo riſpoſi: voi volete rim-
proverarmi
quello, di che molti mi hanno già più
volte
accuſato;
e ciò è, che in filoſofia io cangi
ſpeſſo
di opinione;
il che non è vero; ma faccio
viſta
alcuna volta di cangiare, e per contradire
agli
altri, non accorgendoſene eſſi, contradico a
me
medeſimo;
e il fo per intender meglio
gli
argomenti, e le dimoſtrazioni loro, le quali
eſſi
non direbbono mai ne con tanta copia, ne co-
chiaramente, ſenza lo ſtimolo della
9268DELLA FORZA DE’ CORPI ne; e poſſo affermarvi, che così uſando ho appa-
rato
qualche coſa.
Ma venendo al propoſito, quand’
anche
io aveſſi cangiato di opinione intorno agli
elaſtri
, che fa a voi di ſapere più toſto l’ opi-
nion
mia d’ oggi, che quella, che ebbi
due
anni ſono?
quaſi che io foſſi oggi di maggio-
re
autorità, che allora.
A me piacerà, diſſe il Si-
gnor
Marcheſe, di ſaperle tutte e due.
Quella d’
oggi
mi direte voi ora;
quella, che aveſte due an-
ni
ſono, la cercherò ne Comentarj.
Voi volete,
riſpoſi
io allora ridendo, sſorzarmi a tutti i mo-
di
, e ricondurmi ſopra un’ argomento, che, a
dirvi
il vero, avea cominciato a nojarmi, già è
gran
tempo;
ne per altro può ora piacermi, ſe
non
perchè piace a voi.
lo dirò dunque brevemen-
te
degli elaſtri, acciocchè intendiate niun luogo
laſciarſi
per eſſi alla forza viva, e tutti i loro ef-
fetti
non d’ altro procedere, che dalle potenze,
e
dall’ inerzia.
E dirò quello, che me ne verrà in
mente
ora;
voi vedrete poi, ſe io diſcordi da quel-
lo
, che già ne penſai, ſcrivendo i Comentarj;
di
che
appena ora mi ſovviene.
Dette queſte parole
preſi
il foglio, che avea tra le mani il Signor Mar-
cheſe
, e diſegnatovi ſopra con la penna la ſecon-
da
figura diſſi:
avrete già inteſo, che elaſtro chia-
11F. II. mano un’ angolo, come ABC, il quale natural-
mente
richiede una certa larghezza, di modo che
ſe
per alcuna ſtraniera potenza ſi aſtringa a dover
tenerne
una o maggiore o minore, faccia forza,
e
ſpinga in contrario.
Fingiamo dunque che
9369LIBRO I. larghezza naturale dell’ elaſtro ABC ſia AD; e
che
dall’ una parte appoggiandoſi al muro immo-
bile
XY, ſia dall’ altra premuto per una qualche
potenza
applicata al globo C, che lo tenga fer-
mo
, e riſtretto nello ſpazio AC.
Stando le coſe
così
, voi vedete, che l’ elaſtro non ceſſerà mai di
premere
il globo C, e ſollecitarlo con altri, ed’
altri
impulſi verſo D;
i quali impulſi ſeguiranno
ad
eſſere ſempre eguali, non eſſendovi alcuna ra-
gione
, perchè debbano farſi o maggiori o mino-
ri
.
Così come quelli della gravità, diſſe allora il
Signor
Marcheſe.
Così appunto, riſpoſi. E come
quelli
della gravità, ripigliò egli, ſono ſecondo voi
iſtantanei
, e diſg unti tra loro per certi piccoliſſimi
intervalli
di tempo, così ſaranno ancor queſti.
Io non ho detto, riſpoſi, che gl’ impulſi della
gravità
ſieno iſtantanei, e diſgiunti tra loro;
ho
detto
, che potrebbon’ eſſere ſenza incomodo del-
la
natura;
e lo ſteſſo penſo anche degl’ impulſi
dell’
elaſtro;
i quali però abbiatevegli come vi
pare
, o continvi ſenza interruzion niuna, o con
infinite
interruzioni inſinitamente piccole;
che a
me
è lo ſteſſo;
benchè la ſuppoſizione delle in-
terruzioni
ſarebbe più comoda, et è forſe ancor
la
più vera.
Come che ciò ſia, egli è ben d’ av-
vertire
, che qualora l’ elaſtro è più largo, gl’ im-
pulſi
ſono più deboli.
Così ſe egli ſarà tenuto fer-
mo
in m, avendo la larghezza Am, gl’ impulſi
ſaranno
più deboli, che non erano, quando egli
era
tenuto fermo in C, avendo la larghezza AC;
9470DELLA FORZA DE’ CORPI e più deboli ancor ſaranno, ſe ſarà tenuto fermo
in
n, e più ancora, ſe in @;
in tanto che allarga-
toſi
l’ elaſtro fino in D, nulla ſarà degl’ impul-
ſi
.
Dove voi potete facilmente intendere, che
quando
l’ intervallo Cm foſſe eſtremamente pic-
colo
, eſtremamente piccola ſarebbe anche la dif-
ferenza
, che paſſerebbe tra gl’ impulſi in C, e
gl’
impulſi in m, e in tal caſo, traſcurandoſi que-
ſta
differenza, ſi direbbe, che la preſſion dell’ ela-
ſtro
foſſe per tutto l’ intervallo Cm ſempre egua-
le
a ſe medeſima.
E lo ſteſſo ſimilmente può dir-
ſi
riſpetto all’ intervallo mn, all’ intervallo no, e
a
tutti gli altri, che ſeguono fino in D.
Inten-
do
, diſſe quivi il Signor Marcheſe;
e ſe mal non
m’
appongo;
parmi, che quello, che voi avete
detto
d’ un’ elaſtro ſolo, potrebbe ſimilmente dir-
ſi
d’ una ſerie di molti;
però non vi ſia grave, che
io
qui alcuna ne ſegni.
Come vi piace, riſpoſi;
et egli preſo il foglio, e ſegnatovi ſopra quattro
elaſtri
, così incominciò:
ſe noi aveſſimo una ſe-
rie
continvata, come queſta è, di quattro elaſtri
EFG
, GHI, IKL, LMN, la cui natural larghez-
za
foſſe EO;
et eſſendo dall’ una parte appoggia-
ta
al muro immobile XY, foſſe dall’ altra pre-
muta
da qualche potenza applicata al globo N,
che
la teneſſe ferma, e riſtretta nello ſpazio EN, m’è
avviſo
, che lo ſteſſo avverrebbe a queſta ſerie, che
all’
elaſtro ABC;
poichè eſſa pure premerebbe
continvamente
il globo N con altri ed altri im-
pulſi
, i quali ſarebbono tutti tra loro eguali;
9571LIBRO I. ſarebbono però più deboli, ſe la ſerie, allargataſi
alquanto
più, foſſe tenuta ferma in r;
e più an-
cora
, ſe foſſe tenuta ferma in s;
e più, ſe in t;
così che allargataſi la ſerie fino in O, diverreb-
be
la preſſion nulla.
E qui ſimilmente ſe l’ inter-
vallo
Nr foſse inſinitamente piccolo, infinita-
mente
piccola ſarebbe anche la differenza, che
paſſerebbe
tra gl’ impulſi in N e gl’ impulſi in r;

e
però, traſcurandoſi tal differenza, ſi direbbe,
la
preſſion della ſerie eſſere ſempre eguale a ſe
ſteſſa
per tutto l’ intervallo Nr;
il che pure po-
trebbe
trasferirſi anche all’ intervallo rs, et al st,
e
a tutti gli altri, che ſeguono fino in O.
Io non
credo
, che niente poſſa eſſer più chiaro.
Ma voi
intanto
dell’ elaſtro AC, et io della ſerie EN,
non
altrimenti abbiam ragionato, che conſideran-
dogli
come riſtretti, e tenuti fermi dai globi C
et
N.
Aſpetto, che mi diciate dei movimenti lo-
ro
, o comparandoli inſieme, o ſpiegandoli ſepa-
ratamente
.
Difficile impreſa, riſpoſi io, e da non
uſcirne
felicemente, ſarebbe quella di voler ſpie-
gare
ſeparatamente il movimento, e la ragione,
e
i modi di ciaſcuna ſerie, o ſia EN, o ſia AC;

che
già conſidero AC come una ſerie di un’ ela-
ſtro
ſolo.
Perciocchè la natura della elaſticità è
oſcuriſſima
;
et oltre a ciò ſecondo la varietà de
corpi
, e degli allargamenti loro è tanto varia, che
par
, che sſugga ogni legge.
E per l’ iſteſſa ragio-
ne
ſarebbe anche difficiliſſimo il comparare i mo-
vimenti
dell’ una ſerie coi movimenti dell’
9672DELLA FORZA DE’ CORPI ſe non ſi riduceſſero prima molte coſe all’ egua-
lità
, onde foſſe poi meno impedita la compara-
zione
.
Per accoſtarmi dunque alla voſtra diman-
da
, io voglio, che noi fingiamo che i quattro
elaſtri
della ſerie EN, e l’ altro della ſerie AC,
ſieno
tutti tra loro eguali di grandezza, e di ela-
ſticità
, e ſieno in oltre egualmente riſtretti, così
che
eguali pur ſieno le baſi EG, GI, IL, LN,
AC
.
In queſta egualità di coſe ſi crede da i più,
che
le due ſerie EN, AC, ſtando chiuſe e ferme,
debbano
premere egualmente i due globi N, e
C
;
quantunque l’ una ſia compoſta di quattro ela.
ſtri, l’ altra di uno ſolo. Il che non dee farvi
meraviglia
, poichè ſebben pare, che il globo C
ſia
premuto da un’ elaſtro ſolo, il globo N da
quattro
, e per ciò debbano le preſſioni eſſere
diſeguali
;
non è però così. Poſciachè il globo N
non
è veramente premuto, che da un’ elaſtro
ſ
olo LMN, o più toſto dall’ eſtremità ſola N
dell’
elaſtro LMN, ſiccome il globo C è premu-
to
dalla eſtremità ſola C dell’ elaſtro ABC;
con-
cioſiachè
le altre due eſtremità L et A premano
al
contrario, eſſendo ſoſtenute immobilmente,
quella
dal ſeguente elaſtro IKL, e queſta dal mu-
ro
XY.
Mi ricordo, diſſe allora il Signor Mar-
cheſe
, di aver’ udito dir ciò altre volte, e par-
mi
veramente, che eſſendo gli elaſtri tutti della
ſerie
EN in un perfetto equilibrio, e però ſoſte-
nendoſi
l’ un l’ altro, ciò faccia, che non poſ-
ſa
pervenire al globo N, ſe non la preſſione
9773LIBRO I. primo elaſtro LMN. Le preſſioni de’ ſeguenti e-
laſtri
ſono a lui, come ſe non foſſero.
Io ſono
dunque
perſuaſo, che non potendo ſpanderſi le
due
ſerie EN, AC, premeranno egualmente i due
globi
N e C.
Ma ſe ſi levaſſero le potenze, che
tengono
immobili i due globi, e le ſerie ſubita-
mente
ſi ſpandeſſero, cacciando i globi ſteſſi, che
ſarebbe
dei lor movimenti?
Io ſo, per quanto mi
ricorda
aver letto ne voſtri Comentarj, che voi a-
vete
ſopra ciò alcune opinioni, che non da tutti
vi
ſono concedute.
Anzi mi ſon concedute da.
pochi, riſpoſi; ne io me ne maraviglio; poichè
conſiderando
, che elle ſono contrarie al famoſo
Bernulli
, ardiſco appena di concederle io a me
medeſimo
;
di che potete comprendere, che non
lieve
ragione, almeno a giudizio mio, debba ſo-
ſtenerle
, potendomi parer vere contra un’ autori-
così grande.
Ma per procedere con chiarezza,
e
mandare innanzi, come ſuol farſi, le coſe, che
ſono
fuori di controverſia;
dovete avvertire, che
ſe
ſi levi la potenza, che tiene immobile il globo
C
, l’ elaſtro ABC, ſpandendoſi incontinente, cac-
cierà
il globo C, e ſeguitandolo poi ſempre con l’
eſtremità
C, lo verrà ſempre ſollecitando con altri
ed
altri impulſi, e producendo in eſſo altre ed altre
velocità
, finchè giungaſi in D;
dove l’ elaſtro con-
ſeguita
avendo la ſua natural larghezza, ceſſeran
no
tutti gl’ impulſi;
e allora il globo ſi ſepare-
dall’ eſtremità C dell’ elaſtro, et andrà via ri-
tenendo
quella velocità, che ſi troverà avere
9874DELLA FORZA DE’ CORPI tutto lo ſpazio CD acquiſtata. Donde potete fa-
cilmente
comprendere, come il globo C ſcorrendo
da
C fino in D, dovrà continuamente affrettarſi
a
cagione degl’ impulſi continuamente ripetuti
dall’
elaſtro;
giunto in D ſi fuggirà via con moto
equabile
.
E lo ſteffo vuol dirſi anche della ſerie
EN
, la quale ſpandendoſi caccerà il globo N, et
inſeguendolo
tuttavia con l’ eſtremità N, lo andrà
con
altri, ed altri impulſi affrettando fino in O.
Ne finquì credo debba poter naſcere controver-
ſia
;
ma quante ne naſceranno, ſe noi ci mettere-
mo
a voler comparare inſieme gli ſpandimenti del-
le
due ſerie Avendo io dette queſte parole, e
già
diſponendomi di paſſar più avanti, eccoti un
ſervo
del Signor Governatore, il qual viene ſigni-
ficandoei
, eſſere giunta allora la Signora Princi-
peſſa
, e che avendo inteſo dal Signor Governato-
re
, che noi quivi eravamo, deſiderava grandemen-
te
di vederci.
Perchè levandoci in piè ſubito tut-
ti
e due, e domandando al ſervo, con cui ella
foſſe
, riſpoſe ch’ ell’ era con due ſignori, e parea
diſpoſta
di venir quivi ella ſteſſa a ritrovarci.
II
perchè
penſammo di andarle toſto incontro;
e
fatti
pochi paſſi la vedemmo, che veniva tutta
lieta
verſo noi col Signor D.
Niccola di Martino,
e
col Signor D.
Franceſco Serao; la quale come
toſto
ci vide:
bene ſta, diſſe ſorridendo, voi
volevate
oggi ſorprender me, e noi abbiamo, non
volendo
, ſorpreſo voi.
Et io dopo averla riveren-
temente
ſalutata, non ſo, diſſi, qual delle due
9975LIBRO I. ſe ci doveſſe eſſere (acciocchè io vi riſponda an-
che
per queſto giovane) più cara, o il ſorpren-
der
voi, o l’ eſſere da voi ſorpreſi;
che nell’ una
dovea
piacerne la diligenza noſtra, nell’altra ne
piace
la fortuna.
Ma che è queſto, che voi ſiete
venuta
tanto più preſto di quello avviſaſte jeri?
Io non ho ſaputo, riſpoſe ella, reſiſtere alla bel-
lezza
del cielo, così ſereno, come vedete, e alla
ſoavità
dell’ aria, che mi invitavano;
et anche la
prontezza
del Signor D.
Serao mi ha moſſa, che
già
era preſto di accompagnarmi;
con l’ ajuto del
quale
ho potuto urar meco il noſtro Signor D.
Ni-
cola
, che pareva aver’ altro in penſiero.
Ma io
non
vorrei, qua giugnendo, eſſere ſtata importu-
na
, e aver turbati i voſtri ragionamenti.
Anziop-
portuniſſimamente
, riſpoſi io, ſiete giunta, per-
chè
ſarete cagione, ch’ io ceſſi da un ragionamen-
to
, in cui era entrato mal volentieri.
Piuttoſto,
diſſe
allora il Signor Marcheſe, ſiete voi oppor
tuniſſima
, perchè vorrete eſſer cagione, che egli
lo
proſeguiſca.
Spiacemi, diſſe allora la Signora
Principeſſa
, di eſſere opportuna per due ragioni
tanto
contrarie.
Ma potre’ io intendere qual ſia
coteſto
ragionamento?
Signora, diſſi io allora,
queſto
giovane quaſi a viva forza mi ha tratto a
dover
dirgli il mio ſentimento intorno a tutta la
quiſtione
della forza viva;
dal qual diſcorſo voi
ſapete
, che io ſono tanto alieno, che ne voi, ne
queſti
due ſignori, avete mai potuto indurmivi;
di
che
mi pare di aver fatto gran peccato
10076DELLA FORZA DE’ CORPI vi ora; però penſo di farne la penitenza, e il
ragionamento
incominciato laſciar del tutto.
Il
peccato
, riſpoſe la Signora Principeſſa, non ave-
te
voi fatto ora, entrando in tal diſcorſo col Si-
gnor
Marcheſe;
il faceſte allora, che non voleſte
entrarvi
con noi;
di che farete la penitenza; e
queſta
ſarà di proſeguire il ragionamento, cui non
volevate
incominciare.
E ſenza più commiſe ad
un
ſuo familiare, che faceſſe quivi portar le ſedie;
le
quali
mentre che ſi attendevano, io diſſi:
Signo-
ra
, voi farete fare la penitenza a queſti due Signo-
ri
, che dovranno aſcoltarmi.
Anzi, riſpoſe ella,
la
faranno fare a voi più lunga, perchè io voglio,
che
eſſi vi interroghino, quando lor piaccia, e
vi
contradicano, qualunque volta non direte la
verità
.
Signora, riſpoſi, queſti ſono uomini, che
per
ſervirvi meglio mi contradiranno anche quan-
do
io la dirò;
di che eſſi e la Signora Principeſsa
riſero
.
Fatte queſte ed’ altre parole, et eſlendo le
ſedie
recate, tutti ci mettemmo a ſedere, e la Si-
gnora
Principeſſa a me rivolta, proſeguite, diſſe,
il
ragionamento che avevate col Signor Marcheſe;
il quale ſe non potrete ſimre queſta mattina pri-
ma
dell’ ora del deſinare, a cui io voglio, che
voi
ſiate meco, potrete ſinirlo oggi, o queſta ſe-
ra
;
perchè la Reina non viene a Baja, che doma-
ne
aſſai tardi, et io oggi ſono ozioſa.
Signora
riſpoſi
, ſappiate pure, che proſeguendo il ragio-
namento
incominciato, poco mi reſta a dire;
e ſe
queſti
ſignori non vorranno contradirmi in
10177LIBRO I. coſa, con poche parole avrò finita la quiſtione.
Imperocchè avendomi domandato il Signor Mar-
cheſe
, come ſi miſuri la forza viva de corpi, io
gli
ho riſpoſto, vana eſſere la ſua domanda, con-
cioſiachè
niuna forza viva abbiano i corpi:
avere
in
eſſi ſolamente alcune potenze, che produco-
no
la velocità, et altre, che la diſtruggono;
al-
le
quali ſe ſi aggiunga l’ inerzia, che è la con-
ſervazione
del movimento e della quiete, niu-
na
altra forza ſi ricerchi a qualſivoglia effetto
della
natura.
E già agli effetti della gravi-
abbiamo veduto niente altro ricercarſi;
re-
ſta
, che ſi vegga lo ſteſſo negli elaſtri.
Se queſto
reſta
, diſſe allora il Signor D.
Serao, non reſta
così
poco, come voi dite;
anzi parmi, che reſti
ogni
coſa;
ſapendo noi, che Bernulli riduſſe tut-
ta
la quiſtione a gli elaſtri ſoli.
E per queſto, riſ-
poſi
io, la riduſſe a poco.
Perciocchè di qualun-
que
maniera ſi apra una ſerie di elaſtri, e ſpinga
un
corpo, che altro fa ella, ſe non produrre in
eſſo
altre ed altre velocità, onde egli vie più s’
affretta
, e corre via?
il che tutto può beniſſimo
intenderſi
, intendendo ſolamente alcuna potenza,
che
produca nel corpo le velocità ſopraddette, e
l’
inerzia, che le conſervi.
E con ciò ſolo, ſe la
Signora
Principeſſa me ne deſſe licenza, io po-
trei
aver finito il mio ragionare.
Io la prego be-
ne
, diſſe allora il Signor D.
Niccola, di non dar-
vela
;
parendomi, che voi vogliate con coteſto vo-
ſtro
argomento più toſto naſconderci
10278DELLA FORZA DE’ CORPI mente la forza viva, che levarla via. Perciocchè
quando
bene vi ſi concedeſſe, che il movimento
e
l’ inerzia baſtaſſero a tutti gli effetti della na-
tura
;
chi dice a voi, che ad avere queſt’ iſteſſo
movimento
non ſia neceſſaria la forza viva?
e pe-
che il movimento non la naſconda per così di-
re
ſotto di ſe?
Et io ſo bene, che i più dei
Leibniziani
, i quali ſono ſtati i primi a introdur-
re
una tal forza, hanno creduto, che ella ſoprag-
giunga
al movimento, e alla velocità;
immagi-
nando
, che la potenza produca nel corpo la ve-
locità
, a cui venga dietro la forza viva.
Ma voi
ſapete
ancora, quanto ſon varj in queſto argo-
mento
, e come contraſtano più tra loro, che con
Carteſio
.
Perchè non potrebbe egli adunque uſci-
re
al mondo un Leibniziano, il quale diceſſe, che
la
potenza produce prima nel corpo la forza vi-
va
, e a queſta poi vien dietro la velocità?
e ciò
poſto
ben vedete, che negando quella forza viva,
che
ſegue la velocità, potrebbe reſtar luogo a
quell’
altra, che la precede.
Io credo, riſpoſi al-
lora
ſorridendo, che il Leibniziano, che voi di-
te
, ſia già uſcito;
parendomi, che il Padre Ric-
cati
, matematico illuſtre, e famoſo di quella ſcuo-
la
, appunto inſegni, che la potenza produce nel
corpo
la forza viva, e da queſta poi naſce la ve-
locità
;
almeno così ne parla per tutto, che pare,
che
lo ſupponga.
Egli vorrà dunque, diſſe quivi la
Signora
Principeſſa, che la forza viva ſia proporz o-
nale
alla velocità, dovendo ſempre la cauſa
10379LIBRO I. re proporzionale all’ effetto, che da lei naſce. E
ſe
così è, mal ſoſterrà le parti della ſua ſcuola
, Signora, riſpoſi;
perciocchè egli volge le
coſe
, e le piega a piacer ſuo.
Vuole, che la po-
tenza
produca la forza viva, e così anche vuole,
che
debba eſſerle proporzionale, dovendo ſempre
la
cauſa, come voi dicevate, eſſere proporziona-
le
all’ effetto, ch’ ella produce;
ma non vuol già,
che
la forza viva produca la velocità;
ſe la trae
dietro
bensì, ma come un conſeguente, non co-
me
un’ effetto.
Per queſto modo trova via di non
farla
proporzionale alla velocità.
Se la forza vi-
va
, diſſe allora la Signora Principeſſa, non pro-
duce
la velocità, che dovrà ella poter produrre?
E ſe non può produr nulla, per qual ragione la
chiameremo
noi forza?
Vorrete voi, diſſe quivi
il
Signor D.
Nicola, contender del nome? Non
del
nome, riſpoſe ella, ma della coſa;
poichè
quello
, che non può produr nulla, non ha ne il
nome
di forza, ne la natura.
Sebbene a intender
meglio
l’ opinione di così celebre matematico,
io
voglio, che mi dichiariate un’ altro dubio.

Se
la potenza, per eſempio, la gravità, produce
nel
corpo la forza viva, dovrà certamente la for-
za
viva eſſere proporzionale all’ azione della gra-
vità
ſteſſa;
ora l’ azione della gravità, continvan-
doſi
nel tempo, et eſſendo in ogni punto di tem-
po
la medeſima, dee proporzionarſi al tempo;
dun-
que
dovrà anche proporzionarſi al tempo la for-
z
a viva;
la quale, ſe è proporzionale al
10480DELLA FORZA DE’ CORPI come potrebbe non eſſerlo aliche alla velocità,
che
pur ſegue l’ iſteſſa proporzione?
La ragione,
diſſe
il Signor D.
Nicola, è aſſai ſottile; ma voi
non
vincerete per ciò di ſottigliezza il Padre Ric-
cati
, il qual vedete, con che ingegno ſe ne ſpe-
diſce
.
L’ azione della gravità non è meno con-
tinvata
nello ſpazio, che nel tempo;
e non è me-
no
la medeſima in ogni punto dello ſpazio, di
quello
, che ſia in ogni punto del tempo;
ſarà
dunque
libero a ciaſcuno il ſarla proporzionale
o
allo ſpazio od al tempo.
Ora egli valendoſi di
queſta
libertà, per ſervire all’ opinion ſua, fa l’
azione
della gravità proporzionale allo ſpazio,
e
così anche la forza viva.
Dico proporzionale
allo
ſpazio, laſciando ſtare la potenza, che ſup-
pongo
ora eſſere ſempre la ſteſſa.
Per altro ſe
ella
variaſſe, dovrebbe dirſi l’ azione, e ſimilmen-
te
la forza viva, proporzionale non ſolo allo ſpa-
zio
, ma anche alla potenza, e vorrebbe miſurarſi
moltiplicando
l’ uno per l’ altra.
Ma tornando al-
la
ſuppoſizione, che la potenza non varj;
la for-
za
viva, eſſendo proporzionale all’ azione, ſarà
proporzionale
allo ſpazio, e per conſeguente al
quadrato
della velocità.
Così tutto ſi accomo-
da
molto bene, dicendo che la potenza produce
non
la velocità, ma una forza viva, a cui po-
ſcia
tien dietro la velocità.
Piacemi, diſſe la Si-
gnora
Principeſſa, di aver inteſo un’ opinione,
quanto
a me, del tutto nuova;
e come due for-
ze
vive ci ſi preſentino da’ Leibniziani, l’
10581LIBRO I. che ſegue la velocità, l’ altra, che la previene;
indi verſo me ſorridendo, a voi ſta, diſſe, di
liberarvi
dall’ una e dall’ altra.
Io credeva, ri-
ſpoſi
, di dover combattere contro quella forza
viva
, che da principio introduſſero i Leibniziani,
non
contro tutte le forze, che poſſono venire in
mente
a chi che ſia, e che ciaſcuno può ad’ ar-
bitrio
ſuo chiamar forze vive;
perciocchè queſto
è
cangiar la quiſtione, ritenendo lo ſteſſo nome.

Per
altro io poſſo ben dirvi, che il Signor Mar-
cheſe
di Campo Hermoſo, et io, abbiamo fin’ o-
ra
ſpiegato tutti gli effetti della gravità, e per quan-
to
è paruto a noi, aſſai comodamente;
ne mai
ci
ſiamo avveduti d’ aver biſogno d’ alcuna di co-
teſte
due forze, ne della ſuſſeguente, ne della
preveniente
.
Se la coſa v’ è andata bene, diſſe
il
Signor D.
Nicola, nella gravità, non vi an-
drà
forſe così bene negli elaſtri.
Perciocchè ſpan-
dendoſi
una ſerie di elaſtri, e urtando alcun cor-
po
, ſe voi mi dite, che produce in eſſo una cer-
ta
velocità, e non altro;
a voi ſtarà di dimoſtra-
re
, che queſta velocità ſia proporzionale alla ſe-
rie
ſteſſa, com’ eſſer dee ogni effetto alla ſua cau-
ſa
;
il che non potendo per voi dimoſtrarſi, vi fa-
d’ uopo confeſſare, che la ſerie non produce
la
velocità, ma altro;
e dovrete finalmente ri-
correre
a quella forza viva, che dite preveniente.

Io
non ſo, riſpoſi, s’ io ſia così obbligato, co-
me
a voi pare, di dimoſtrarvi, che la velocità,
eſſendo
prodotta daila ſerie, debba per ciò
10682DELLA FORZA DE’ CORPI proporzionale alla ſerie; perciocchè ſebben dice-
ſi
l’ effetto dover’ eſſere proporzionale alla cauſa,
che
lo produce, vuol però intenderſi, che ſia
proporzionale
non alla cauſa, ma all’ azione di
eſſa
.
Tuttavia acciocchè non diciate, ch’ io fugga
la
difficoltà, voglio eſporvi brevemente una ipo-
teſi
a mio giudizio comodiſſima, per cui vedrete,
la
ſerie degli elaſtri produrre una velocità a lei
ſteſſa
proporzionale;
ne dico io già, che l’ ipo-
teſi
ſia vera;
che ſo bene poter farſene infinite,
tutte
comodiſſime, e tutte falſe;
aſpetterò ſolo,
che
altri mi dimoſtri, che ſia aſſurda, e da non
potere
ammetterſi in niun modo.
Avendo fin
quì
detto, pregai il Signor Marcheſe di Campo
Hermoſo
, che traeſſe fuori la carta, in cui era-
no
diſegnate le figure, ſopra le quali s’ era tra
noi
ragionato.
La qual carta volle toſto vedere
la
Signora Principeſſa, e guardando attentamen-
te
alla ſeconda figura, ben riconoſco, diſſe, gli
elaſtri
, di cui ragionavate, diviſi in due ſerie EN,
AC
, quella di quattro, e queſta d’ un elaſtro ſo-
lo
;
appoggiate amendue ad un piano immobile.
XY; et eſsendo eguali tutti gli elaſtri tra loro,
et
egualmente chiuſi, m’ immagino, diſse a me
rivolta
, che voi vogliate, che le due ſerie, apren-
doſi
ad un tratto, caccino i globi N, C;
et a.
voi
ſta di moſtrarci, come le velocità, che ſi pro-
ducono
in queſti globi, poſsano eſsere propor-
zionali
alle due ſerie, per cui ſi producono.
Si
bene
, riſpoſi io;
così veramente però, che i
10783LIBRO I. globi ſieno eguali; il che giova ſupporre, accioc-
chè
la proporzione, che troveraſſi avere la velo-
cità
dell’ uno alla velocità dell’ altro, non debba
afcriverſi
ſe non alla proporzione, che tra loro
hanno
le ſerie ſteſse.
Quel poi, che ſieno gl’in-
tervalli
ſegnati con le lettere r, s, t, e con quel-
le
altre m, n, o, intenderetelo ſenza fatica niuna
per
le coſe ſteſse, che ſe ne diranno.
Allora la.
Signora Principeſsa ſenza aſpettar’ altro ordinò,
che
più copie ſi faceſsero di quella figura, così che
ognuno
poteſse averla ſotto de gli occhi, le quali
mentre
che ſi facevano, il Signor Marcheſe di
Campo
Hermoſo diſse:
Signora, io non ſo, ſe
voi
abbiate dato anche a me licenza di interroga-
re
il Signor Zanotti, e di contradirgli;
ſo bene,
che
non mi negherete quella di pregarlo.
Anzi di
far
tutto, che a voi piaccia;
riſpoſe allora la Si-
gnora
Principeſsa.
E il Signor Marcheſe a me.
volgendoſi
, vi prego dunque, diſse, a non laſciar-
vi
cadere della memoria una diffinizione della for-
za
viva, che ancora non mi avete ſpiegata, ben-
chè
mi abbiate detto, che è molto degna d’ eſse-
re
inteſa.
Qual? diſſi. Quella, riſpoſe il Signor
Marcheſe
, del Padre Riccati;
di cui mi ſono ol-
tremodo
invogliato, udendo poc’ anzi quella ſot-
tiliſſima
opinion ſua.
Io temo, riſpoſi, che voi
mi
farete uſcir di quiſtione, ſe vorrete, ch’ io va-
da
dietro a quella diffinizione;
e già egli la ſpiega
ampiamente
in quel ſuo lungo volume, che ſareb-
be
ſtato men lungo, ſe ſeguendo la diffinizione.
10884DELLA FORZA DE’ CORPI degli altri aveſse voluto piuttoſto trattar la qui-
ſtione
antica, che farne una nuova.
E’pare, diſ-
ſe
quivi la Signora Principeſsa ridendo, che voi
abbiate
non ſo quale ſdegnuzzo contra quel libro.
No, Signora, riſpoſi; che anzi io lo ſtimo gran-
diſſimamente
, e lo pongo tra i più belli, che ſie-
no
uſciti ſopra tale argomento;
quantunque e’ non
mi
ſia gran fatto amico in alcuni luoghi Ma voi,
diſse
la Signora Principeſsa, avrete ben riſpoſto
a
quei luoghi.
No, Signora; diſs’ io, poichè il libro
è
ſommamente lungo:
et è poi tanto ſottile, e
tanto
profondo, e pieno di tanti e così artificioſi
calcoli
, che ho ſempre ſperato, che pochiſſimi il
leggerebbono
.
Il Signor D. Nicola, udendo que-
ſto
, mettete pur me, diſse, tra i pochiſſimi;
per-
chè
io l’ ho letto in gran parte, e ſe ho da dir-
vi
il vero, aſsai m’ è piaciuto anche in quei luo-
ghi
, ne quali, come voi dite, non vi è amico;

perchè
laſciando ſtare, ſe ſia vero o no, è cer-
tamente
ingegnoſo fuor di modo, e ſottile tutto
ciò
, ch’ egli inſegna.
Io voglio, diſse allora la
Signora
Principeſsa, ad ogni modo veder’ un tal
libro
;
a cui riſpoſe il Signor D. Nicola: l’ ha
ora
il Signor D.
Felice Sabatelli, e il va, cred’
io
, leggendo col Signor Conte della Cueva.
Men-
tre
ſi dicevano queſte coſe, erano già ſtate.

fatte
più copie della figura, che era ſeconda nel
foglio
, et avendo ognuno nelle mani la ſua;

udremo
poi, diſſe la Signora Principeſſa, qual ſia
la
diffinizione della forza viva del Padre
10985LIBRO I. ti. Afcoltiamo ora degli elaſtri. Et io inconta-
nente
cominciai.
Giacchè mi avete obbligato di
entrare
contra mia voglia in una materia cotan-
to
oſcura, e fino ad ora da così pochi trattata,
quale
ſi è quella degli elaſtri, io vi proporrò una
opinione
, che non dico eſſer vera, ma aſpetterò
di
ſentir da voi altri, perchè ſi debba dir falſa.
Io
dunque
, comparando inſieme le due ſerie, che
vedete
deſcritte nella figura ſeconda, AC, EN,
ragiono
di queſto modo.
L’ elaſtro ABC nell’
aprirſi
eccita con un certo impulſo il globo C,
producendo
in eſſo una certa velocità;
onde que-
ſto
in un tempetto di qualſiſia picciolezza ſcorre
uno
ſpazietto Cm, picciolo eſſo pure di qual pic-
ciolezza
vi aggrada;
e intanto che il globo C vie-
ne
in m, l’ elaſtro, che lo ſegue, s’ allarga egli
pure
da C fino in m.
Così avviene alla ſerie AC
nel
primo aprirſi, che ella .
Vegniamo ora al-
la
EN.
Non è alcun dubio, che queſta ancor nell’
aprirſi
ecciti con un certo impulſo il globo N.
E queſto impulſo par bene, che debba eſſer qua-
druplo
di quello, onde è eccitato il globo C;

concioſiacoſachè
il globo C ſia ſpinto da un ſolo
elaſtro
, il globo N da quattro, i quali quattro
elaſtri
ſi aprono tutti ad un tempo, et aprendoſi
ſpingono
tutti il globo.
Produceſi dunque nel
globo
N velocità quadrupla di quella, che ſi pro-
duce
nel globo C, per cui dee ſcorrere lo ſpa-
zietto
Nr quadruplo dello ſpazietto Cm nello ſteſ-
ſo
tempo;
e intanto che il globo N viene in r
11086DELLA FORZA DE’ CORPI la ſerie, che lo ſegue, ſi allarga da N fino in r. E
qui
è coſa facile a intenderſi, eziandio ſenza di-
moſtrazion
niuna, che eſſendo l’ elaſtro ABC di-
latato
fino in m, e la ſerie EN fino in r, ſi tro-
veranno
tutti gli elaſtri allargati egualmente;
e
però
ſopravvenendo al globo C, che già è in m,
un’
altro impulſo dall’ elaſtro ABC;
e un’ altro
pure
ſopravvenendone al globo N, che già è in.
r, dalla ſerie EN, ſarà queſto ſimilmente quadru-
plo
di quello, e produrrà un’ altra velocità altresì
quadrupla
.
Dovrà dunque il globo N con le due
velocità
, che avrà acquiſtate in N et r, ſcorre-
re
lo ſpazietto rs quadruplo eſſo pure dello ſpa-
zietto
mn, che ſarà ſcorſo nello ſteſſo tempo dal
globo
C con le due velocità, che avrà egli acqui-
ſtate
in C et m.
E ſe voi ſeguirete lo ſteſſo di-
ſcorſo
, fin tanto che l’ elaſtro AC ſiaſi diſteſo
fino
in D, la ſerie EN fino in O, ( eſſendo AD,
EO
le larghezze loro naturali, queſta quadrupla
di
quella ) voi troverete leggermente, che qua-
lunque
volta al globo C ſi aggiunge una certa
velocità
, un’ altra ſe ne aggiunge quadrupla al
globo
N.
Io non dico, che la coſa vada così;
vorrei
ben ſapere come ſi dimoſtri il contrario.

E
ſe ella va pur così, biſogna ben dire, che il
globo
N, come ſaià giunto in O, avrà una ve-
locità
quadrupla di quella, che avrà il globo C
giunto
in D.
Ne a tutto queſto ricercaſi altro, ſe
non
la potenza, cioè l’ elaſticità degli elaſtri,
la
qual produca certe velocità ne globi N, e
11187LIBRO I. e l’ inerzia de globi ſteſſi, che le conſervi. Et
anche
ſono gli effetti proporzionali alle cauſe lo-
ro
, eſſendo da quattro elaſtri prodotta nel globo
N
una velocità quadrupla di quella, che è pro-
dotta
nel globo C da un’ elaſtro ſolo.
Qual’ i-
poteſi
può eſſer più comoda?
Ne v’ è biſogno d’
alcuna
forza viva, ne di quella, che ſegue la
velocità
, ne di quella, che la previene;
la qual
forza
non dico che ſia aſſurda, che io non la
natura
di eſſa;
ma l’ ho per inutile, e, fe voglia-
mo
ſeguire quella ſemplicità, che rifiuta tutte le
coſe
ſuperflue, da non ammetterſi;
et è certa-
mente
una tal ſemplicità da feguirſi, quantun-
que
i filoſofi ſe l’ abbian, cred’ io, introdotta più
toſto
per comodo loro, che per onore della na-
tura
.
Appena dette queſte parole, la Signora.
Principeſſa m’ interrogò dicendo: vi ſarà egli
poi
conceduto da tutti, che nell’ aprirſi della ſe-
rie
EN ſi aprano ad un tempo tutti gli elaſtri,
che
la compongono, e però tutti urtino il glo-
bo
N?
perchè parmi di avere udito dire da alcu-
ni
, che prima ſi apra il primo elaſtro LMN, e
poi
gli altri di mano in mano.
Signora, riſpoſi,
il
Padre Riccati, del cui libro già ſiete voglioſa,
e
con ragione, il mi concede;
e credo, che lo
ſteſſo
faranno tutti toltone aſſai pochi;
ma per
non
ſervirmi dell’ autorità ſola, voglio, che av-
vertiate
, che ogni elaſtro nell’ aprirſi perde ſem-
pre
della ſua forza:
poichè dunque, eſſendo la
ſerie
EN chiuſa et immobile, tutti gli elaſtri
11288DELLA FORZA DE’ CORPI eſſa ſi impediſcon l’ un l’ altro con forze egua-
li
, ſe avvenga, che ella ſi apra, e per ciò apraſi il
primo
elaſtro LMN, dovrà queſto ſcemar toſto
della
forza ſua, e dovrà nello ſteſſo tempo l’ ela-
ſtro
IKL, ſminuendogliſi l’ impedimento, allar-
garſi
.
E per l’ iſteſſa ragione, aprendoſi il ſecon-
do
elaſtro IKL, dovrà aprirſi anche il terzo, e
gli
altri tutti.
E mi ricorda aver letto in quella
famoſa
ſcrittura, che diede fuori Giovanni Ber-
nulli
ſopra le leggi della comunicazione del mo-
to
, che avendo quel grand’ uomo propoſto due
ſerie
, una, ſe non m’ inganno, di dodici elaſtri,
et
un’ altra di trè, le quali aprendoſi ſpingono
due
corpi eguali;
e domandando, perchè quella
ſpinga
il corpo ſuo più forte, che queſta;
riſ-
ponde
che quella ſpinge il corpo non ſolamente
co’
trè primi elaſtri (con che lo ſpingerebbe egual-
mente
, che l’ altra ſerie) ma anche con quegli
altri
elaſtri, che ſeguono i trè primi.
Onde mo-
ſtra
, che qualora una ſerie di elaſtri va ſpingen-
do
un corpo, lo va ſpingendo, non con un ſo-
lo
elaſtro, ma con tutti;
il che ſe fa nel proſe-
guimento
di tutta la dilatazione, perchè non an-
che
nel principio?
Senza che, ſe gli elaſtri della
ſerie
doveſſero aprirſi l’ uno appreſſo l’ altro, po-
trebbe
darſi una ſerie tanto lunga, che aprendoſi
il
primo elaſtro doveſſe aſpettarſi un’ ora prima
che
ſi apriſſe l’ ultimo, e intanto l’ ultimo non
ſpingerebbe
ne urterebbe il corpo in niuna ma-
niera
.
Avendo io detto ſinquì, mi tacqui; e
11389LIBRO I. cendoſi ſimilmente gli altri, il Signor Marcheſe
di
Campo Hermoſo così preſe a dire.
Moſtrerei
di
far poco conto della licenza datami dalla Si-
gnora
Principeſſa, ſe non me ne valeſſi, propo-
nendovi
un picciol dubio, il qual vi prego, che
mi
leviate dall’ animo, et è queſto.
Voi avete
detto
, che gli elaſtri della ſerie EN, allargando-
ſi
tutti ad un tempo, danno al globo N un’ im.
pulſo quadruplo di quello, che il globo C rice-
ve
dall’ elaſtro ABC;
il che ſarebbe veriſſimo,
ſe
tutti gli elaſtri della ſerie EN deſſero al globo
N
un’ impulſo eguale;
ma queſto a me non par
vero
;
perciocchè l’ impulſo del primo elaſtro LMN
non
dovendo far’ altro che cacciar oltre il globo
N
, ſi adopra tutto in eſſo globo;
la dove l’ im-
pulſo
del ſecondo elaſtro IKL, dovendo cacciar’
oltre
non ſolo il globo, ma anche l’ elaſtro in-
terpoſto
LMN, dee diſtribuirſi all’ uno et all’ al-
tro
, così che ſolo una parte ne tocchi al globo N.

E
minor parte ancora gli toccherà dell’ impulſo,
che
viene dal terzo elaſtro GHI, il quale oltre
il
globo dee cacciar avanti anche due elaſtri di
più
;
onde pare, che tanto minor impulſo rice-
ver
debba il globo N da ciaſcun elaſtro della ſe-
rie
, quanto ciaſcun elaſtro gli è più lontano.
Voi
che
ſiete tanto felice nello ſpiegarvi, voglio, che
mi
dichiariate queſto dubio.
Vedete, riſpoſi, la
felicità
mia nello ſpiegarmi;
che ſe voi non mi
facevate
ora queſta domanda, io mi dimentica-
va
di dirvi ciò, che è per altro principaliſſimo;
11490DELLA FORZA DE’ CORPI ed’ è, che quegli elaſtri, di cui trattiamo, ſi voglio-
no
immateriali, et incorporei, e privi di ogni
maſſa
.
E tali già gli propoſe l’ incomparabil Ber-
nulli
, dopo cui niuno s’ è ardito di mutarli;
il
che
ſe voi aveſte ſaputo, non vi ſarebbe venuto
in
mente di dubitare, che l’ impulſo del ſecondo
elaſtro
IKL doveſſe comunicarſi ſolo in parte al
globo
N, impiegandoſi l’ altra parte a ſoſpinge-
re
, e portar oltre l’ elaſtro interpoſto LMN;
per-
ciocchè
eſſendo queſto privo di ogni maſſa, e non
eſſendo
corpo, niuna parte dee toccargli dell’ im-
pulſo
;
ſiccome urtando un’ uomo, e ſoſpingen-
dolo
, niuna parte dell’ urto tocca all’ animo;
ben-
chè
, andando oltre il corpo urtato, l’ animo l’
accompagni
;
e così urtandoſi un corpo, niuna
parte
dell’ urto tocca agli accidenti di eſſo, per
eſempio
alla rotondità, al colore, et agli altri,
benchè
poi ſeguano il corpo urtato;
e la ragio-
ne
ſi è, perchè tali accidenti non hanno maſſa
niuna
.
Oh, diſſe allora il Signor Marcheſe, dun-
que
queſti elaſtri non ſono corpi?
E che ſon.
eglino? perchè levatami l’ idea del corpo,
a
me niente rimane dell’ idea dell’ elaſtro.
Egli
vi
rimane, riſpoſi allora, l’ idea della puriſſima,
e
ſempliciſſima elaſticità, la qual non è corpo,
benchè
riſegga ne corpi, ſiccome la gravità, che
r
iſiede nel corpo, il quale n’ è il ſoggetto;
e
non
è però corpo eſſa;
è una qualità. Qui la Si-
gnora
Principeſſa ſorridendo, voi ſareſte, diſſe,
un
valente maeſtro di filoſofia anche in Alcalà.
11591LIBRO I. Perchè, Signora? riſpoſi. Et ella, perchè quivi,
diſſe
, ſariano volentieri ricevute coteſte voſtre
qualità
, le quali qui tra noi male ſi ſoffriranno.
Ma in quel paeſe, ſecondo che io odo dire, tut-
ti
ſeguono Ariſtotele.
Io credo, riſpoſi, che eſſi
abbiano
più ragion di ſeguirlo, che noi non ab-
biamo
di diſprezzarlo.
Ma voi ben vedete, che
ſe
io richiamo quelle qualità, non io, ma la co-
ſa
iſteſsa le richiama;
e come intendere altramen-
te
gli elaſtri di Bernulli?
Di che ſoglio ſdegnar-
mi
alcune volte co’ noſtri moderni, che avendo
in
tanto abborrimento le diſpute degli antichi,
movono
bene ſpeſſo quiſtioni, che a quelle ne-
ceſsariamente
ci riconducono.
Ma tornando al
propoſito
, voi dovete, Signor Marcheſe, tener
bene
a mente, che nominandoſi per eſempio
l’
elaſtro ABC, non altro ſi vuol intendere, ſe
non
una elaſticità, ovvero una potenza, la qual
premendo
da una parte il muro XY (benchè que-
ſta
preſſione al noſtro caſo poco appartiene, co-
me
quella, che nulla appartiene al globo C) da
un’
altra parte ſi applica immediatamente al glo-
bo
, e lo ſoſpinge, inſeguendolo, e ſtimolandolo
con
altri, ed altri impulſi ſempre minori, come
un’
elaſtro farebbe;
e direi (ſe la Signora Prin-
cipeſsa
mel comportaſse) che egli è come una.

qualità
inerente al globo ſteſso.
Intendo io tut.
to
ciò beniſſimo, diſse allora il Signor Marche-
ſe
;
e così parmi, che i quattro elaſtri, di cui ſi
compone
la ſerie EN, altro non dovranno
11692DELLA FORZA DE’ CORPI ſe non quattro potenze, che applicandoſi imme-
diatamente
al globo N, lo ſcuotono, e lo perſe-
guono
con impulſi ſempre minori.
E queſte po-
tenze
, come anche quella, che ſpinge il globo C,
ſi
voglion ſupporre tutte tra loro perfettamente
eguali
, come ſi ſon ſuppoſti gli elaſtri.
Di che ſi
rende
anche più maniſeſto, che il primo impulſo,
che
riceve il globo N, ricevendolo da quattro po-
tenze
, debba eſſere quattro volte maggiore di quel-
lo
, che riceve il globo C da una ſola.
Et io già ne
ſto
quieto, ſe pure il Signor D.
Niccola, che mo-
ſtra
di voler dire alcuna coſa in contrario, non
mi
conturbaſſe.
Tolga Iddio, diſſe il Signor D.
Niccola, che io voglia mai conturbarvi; voglio
bene
, che voi vi guardiate dagli artificj di queſt’
uomo
, che col ſuo ſillogizzare farà ritornarvi il
bianco
in nero.
Intanto ſe io opporrò alcuna coſa
contro
coteſta leggiadra ſpiegazione, che egli ha
propoſta
del modo, con cui ſi apron le ſerie;
non
vorrei
, che egli diceſse, che io il ſaceſſi più toſto
per
ſervire la Signora Principeſsa, che per dire la
verità
;
perciocchè io intendo egualmente far l’ u-
no
e l’ altro.
Così dicendo, ripigliai io, voi vole-
te
moſtrare di ſervirla meglio;
ma vedete, che
coteſto
voſtro proemio non paja un artificio
maggiore
di quanti ne abbia uſati io.
Però
quale
è la coſa, che voi avete da opporre?

Sorridendo
allora il Signor D.
Niccola, più
d’
una ne , diſſe;
et anche pare, che mol-
te
ne abbia il Signor D.
Serao; perchè fia
11793LIBRO I. ſiccome io credo, proporle prima tutte, per dar
loro
, ſe ſi potrà, qualche ordine, e poi diſpu-
tarvi
ſopra.
Come vi piace, riſpoſi. Et egli al-
lora
, niuno certamente, diſſe, vi concederà quel-
lo
, che fino ad ora ci avete con tanto ſtudio vo-
luto
perſuadere, cioè che l’ impulſo, per cui co-
mincia
a moverſi il globo N, ſia quattro volte
maggiore
di quello, per cui comincia a moverſi
il
globo C.
Che anzi queſti due impulſi ſoglio-
no
da i più prenderſi come eguali;
e come egua-
li
gli aſſume Bernulli, e dopo lui anche Camus,
come
ſapete, negli atti dell’ Accademia Parigina.
Camus, e gli altri, riſpoſi io, hanno avuto qual-
che
ragione di aſſumere queſti impulſi come egua-
li
, avendogli Bernulli così preſi.
L’ autorità di
Bernulli
è baſtata loro, ne io ſaprei di ciò ripren-
derli
.
Ma Bernulli poteva bene in vece di aſſu-
mere
tale uguaglianza, dimoſtrarla;
e ſe non lo
ha
fatto, ben moſtra, che non potea farſi.
Anzi
moſtra
, diſſe ii Signor D.
Nicola, che non era
neceſſario
di farlo;
tanto la coſa è per ſe ſteſſa
chiara
e manifeſta.
Ma io ho anche un’ altra dif-
ficoltà
in coteſta voſtra ſpiegazione;
perchè pa-
re
, che voi vogliate, che il globo C, ricevuto un’
impulſo
, ſcorra poi equabilmente, ſenza ricever-
ne
più, fino in m;
e ſimilmente, che il globo N,
ricevuto
un’ impulſo, ſcorra equabilmente, ſen-
za
riceverne più neſſun’ altro, fino in r;
e lo ſteſ-
ſo
volete, che ſegua in tutti gli altri ſpazietti di
mano
in mano.
Con che venite a frapporre
11894DELLA FORZA DE’ CORPI intervalli tra un’ impulſo et un altro, e non la-
ſciate
eſſer continva l’ azion degli elaſtri, come
eſſer
dee, e come vogliono tutti, che ſia;
e ve-
nite
anche a comporre il moto accelerato dei glo-
bi
di molti moti equabili.
Queſto iſteſſo, diſſe
allora
il Signor D.
Serao, penſava anch’ io di
domandare
;
ma il Signor D. Niccola mi ha pre-
venuto
.
Et io allora, come v’ è egli venuto in
mente
, riſpoſi, che io voglia levar via la conti-
nuità
dell’ azion degli elaſtri?
Non potete voi
quegl’
intervalli, che io frappongo tra gl’ impulſi,
fingervegli
piccioli a modo voſtro;
anche infinita-
mente
, ſe vi piace?
E ſe così farete, di niente ſi
turberà
la continuazion degl’ impulſi, i quali ſi
eſtimeranno
abbaſtanza continvati, ſolo che gl’ in-
tervalli
, per cui ſono interrotti, ſieno infinita-
mente
piccoli.
E chi eſtimerà non continva l’ ac-
celerazione
d’ un grave, che cada, o anche di
queſti
due globi N, e C, di cui trattiamo, per
queſto
che le ſi frappongano dei movimenti equa-
bili
infinitamente piccioli, come ſono il movi-
mento
del globo N fino r, e quello del globo C
fino
in m?
Anzi ogni movimento accelerato ſi
vuol
ſupporre compoſto di movimenti equabili
infinitamente
brevi, così appunto, come ogni li-
nea
curva di linee rette infinitamente piccole.
E
queſta
licenza ſi hanno preſa i geometri nelle li-
nee
, et hanno dato eſempio ai meccanici di far lo
ſteſſo
anche nei movimenti.
Non così però ne
uſano
i gecmetri, diſſe allora il Signor D.
11995LIBRO I. che non debbano e voglian talvolta conſiderar co-
me
curve quelle ſteſſe linee infinitamente piccole,
che
già preſero come rette, e di cui compoſer
la
curva;
e all’ iſteſſo modo dovranno talvolta
i
meccanici conſiderar come accelerati quegli ſteſſi
movimenti
infinitamente piccoli, che già preſero
per
equabili.
E chi ſa, che quei movimenti infi-
nitamente
brevi, che voi avete propoſto come
equabili
, da N fino in r, e da C fino in m, e
così
gli altri, non ſieno ora da conſiderarſi come
accelerati
?
Il che ſe foſſe, non , come vi riuſci-
rebbe
di dimoſtrare, che la velocità del globo N
giunto
in r ſia quadrupla di quella del globo C
giunto
in m.
Ma io mi accorgo, che ſono entra-
to
in una provincia già occupata dal Signor D.
Nicola; però intendo di uſcirne, e laſciarla a lui.
Solo
dico, che trattandoſi degli elaſtri, voi avete
tralaſciato
un’ argomento principaliſſimo;
ed è
quello
, di cui ſi ſervì già Bernulli, come di una
ragione
invittiſſima, negli atti di Lipſia, traendo-
lo
da una ſerie ſola di elaſtri, che aprendoſi urta
due
globi, diſeguali tra loro, verſo due contra-
rie
parti.
Ne io certo crederò, che abbiate detto
abbaſtanza
, ne ſoddisfatto al dover voſtro, ne al
deſiderio
della Signora Principeſſa, ſe non avrete
detto
anche di queſto;
et io deſidero grandemente
di
udirne.
Quando s’ abbia a dar luogo anche
ai
deſiderj, diſſe allora il Signor D.
Nicola, et
io
deſidero che ci moſtriate, come generalmen-
te
l’ opinione, che voi avete intorno alla
12096DELLA FORZA DE’ CORPI viva, ſi accomodi alle leggi univerſali del moto;
non perchè io abbia difficoltà niuna in ciò; ma
a
voi ſta di moſtrare, che niuna poſſa averſene.

Allora
io rivolto alla Signora Principeſſa, ſe voi,
diſſi
, non ponete modo alle contradizioni, e alle
domande
, queſti Signori hanno tanta voglia di
ſervirvi
, che mai non la finiranno.
Anche una
coſa
, ripigliò il Signor D.
Serao, non ho io be-
ne
inteſo nel fine della ſpiegazione, che avete fat-
ta
dell’ aprimento degli elaſtri:
avendo voi det-
to
, eſſere da ſeguirſi la ſemplicità in tutti gli ef-
fetti
della natura, donde avete tratto argomento,
che
la forza viva ſia da rigettarſi.
E che? diſſi io;
Non
pare a voi, che la natura ſia ſempliciſſima
in
tutti i ſuoi effetti?
A me par , diſſe il Signor
D
.
Serao; ma io ho creduto, che a voi non paja
lo
ſteſſo, almen tanto, quanto parer dovrebbe;

avendo
voi detto, ſe non m’ inganno, che una
tale
ſemplicità l’ hanno i filoſofi introdotta più
per
comodo loro, che per onore della natura;

con
che parmi, che abbiate offeſo e i ſiloſofi, e
la
natura ſteſſa.
Io non ſapea, riſpoſi, d’ aver fat-
to
così gran male;
ne che i filoſofi doveſſer me-
co
ſdegnarſi, ſe io aveſſi creduto, che eſſi pen-
ſaſſero
anche al loro comodo;
il che ſe faceſſe-
ro
, chi potrebbe giuſtamente riprendergli?
e cre-
do
, che la natura ſteſſa gli eſcuſerebbe.
Voi ri-
volgete
in gioco, diſſe allora il Signor D.
Serao,
la
mia domanda.
Ma certo a me pare, che cer-
cando
i filoſofi la ſemplicità per tutto,
12197LIBRO I. non il comodo loro, ma una certa belliſſima per-
fezione
della natura, che mal potrebbe da eſſa
ſepararſi
.
E parmi, che abbiano fatto bene a ſta-
bilirne
come un principio, per cui proponendoſi
più
ſiſtemi, che tendano a un medeſimo ſine, quel-
lo
ſempre ſtimino eſſer vero, et abbraccino, che
è
più ſpedito, e più facile, e più ſemplice.
E il
far
queſto, diſs’ io, come vedete, è molto como-
do
ai filoſofi.
Anzi è, diſſe il Signor D. Serao,
convenientiſſimo
alla ſapienza della natura.
Io non
nego
, diſſi allora, che queſta ſemplicità, che voi
dite
, ſia molto bella, e degna della natura;
e con-
feſſo
che gli argomenti, che da eſſa ſi traggono,
hanno
qualche poco di probabilità;
dico bene, che
non
sforzano l’ intelletto, ma lo luſingano ſolo,
e
l’ invitano, e ſono da abbracciarſi, come tutte
le
altre ragioni probabili, con aſſai timore.
E ſe a
quelle
ragioni, che ſi traggono dalla ſemplicità
della
natura, noi levaſſimo tutta la forza, che lor
viene
dal pregiudizio, e dall’ errore, credo che
molto
poca gliene reſterebbe.
Qual è queſto pre-
giudizio
?
diſſe il Signor D. Serao. Il pregiudizio
è
, riſpoſi, che eſſendo noi avvezzi a lodar ſem-
pre
i noſtri artefici, e tutte le loro opere, tanto
più
, quanto più ſono ſemplici, vogliamo trasferi-
re
in Dio la ſteſſa lode;
ne ci accorgiamo, che
quello
, che è lode ne noſtri artefici, potrebbe non
eſſer
lode in Dio.
Come? diſſe il Signor D. Se-
rao
;
ſe è lode dell’ orologiero compor l’orologio
più
toſto di tre ruote, che di venti, potendo
12298DELLA FORZA DE’ CORPI lo nell’ una, e nell’ altra maniera; non ſatà egli
lode
anche di Dio, potendo fare queſto maravi-
glioſo
univerſo in più maniere, il farlo nella più
ſemplice
?
E ſe ſavio, accorto, e prudente ſi ſtima
da
ognuno quell’ artefice, che fa l’ orologio più
toſto
di tre ruote, che di venti;
perchè non ſa-
viiſſimo
, non accortiſſimo, non prudentiſſimo ſti-
meraſſi
egli il ſovrano artefice di tutte le coſe, fac-
cendole
provenire più toſto da due principj, che
da
mille?
Voi dite vero, riſpoſi; e non è alcun
dubio
, che l’ orologiero farà gran ſenno a com-
por
l’ orologio con tre ruote più toſto, che con
venti
;
e ciò forſe all’ accortezza, e ſaviezza ſua ſi
conviene
.
Ma vedete, che tutto queſto ſi appog.
gia, ad una ragione, che voi forſe non avvertite, et è
a
mio giudicio, tanto forte, che par quaſr, che eſ-
ſa
ſola voglia eſſere conſiderata;
e queſta è, che
all’
orologiero più tempo, e più fatica ſi ricerca a
fare
, e comporre inſieme le venti ruote, che le,
tre
;
et oltre a ciò vi ha più ſpeſa, et anche più
pericolo
, eſſendo più facile errare in venti, che in
tre
;
e quindi è, che eſſendo egli in tutte le ſue
facoltà
finito, e riſtretto, dee uſarne in ciaſcuna
delle
ſue opere il men che può, per riſerbarne il
più
che può per le altre.
Che ſe ſi deſſe un oro-
logiero
, a cui lo ſteſſo foſſe far venti ruote, che
tre
, ne più ſpeſa vi aveſſe, ne più fatica, ne più
tempo
doveſſe porvi, ne più ſtudio, e foſse egual-
mente
ſicuro di ſaperle congegnar bene;
io non
ſo
, per qual ragione doveſse egli eſser ripreſo,
12399LIBRO I. più toſto di venti ruote, che di tre, faceſse il ſuo
orologio
.
Che anzi parmi, che maggiore induſtria,
e
più ſcienza apparirebbe nel ſaper accordare in-
ſieme
i rivolgimenti di venti ruote, che quelli di
tre
ſole.
Se dunque lodaſi l’ orologiero d’ aver
ſatto
l’ orologio ſuo più toſto di tre ruote, che
di
venti, lodaſi non perchè queſto ſi conveniſse
alla
perizia, e all’ arte ſua;
ma perchè conveniva-
ſi
alla ſua ſcarſezza, ct alla ſua povertà.
Il perchè
mi
maraviglio, che, lodandoſi i noſtri artefici del-
la
ſemplicità dei lor lavori, vogliaſi lodar Dio
all’
iſteſſo modo;
quaſi non foſse a Dio la mede-
ſima
coſa il crear mille principj, che il crearne
due
;
e più fatica doveſse porre e più ſtudio nei
mille
, che nei due;
o temeſse, che quanto più ne
adopraſse
in un’ effetto, tanto meno doveſse re-
ſtargliene
per gli altri.
Io credo, diſse il Signor
D
.
Serao, che voi vi prendiate gioco di noi altri;
e che diſputiate ora contra il ſentimento voſtro.
E
bene;
riſpoſi, fate conto, che non io abbia
dette
queſte coſe, ma le abbia dette un’ altro;
il
qual
ſe foſse di un ſentimento contrario al mio,
non
per queſto però credereſte, che egli doveſse
aver
detto il falſo;
et io ſteſso ſe altra opinione
aveſſi
nell’ animo, et altra ne diceſſi, non ſo pe-
, perchè voi dobbiate più toſto attender l’ una
che
l’ altra, potendo così l’ una eſser vera come
l’
altra.
Conſiderate dunque le ragioni, ch’ io vi
propongo
, e non cercate con troppa curioſità,
ſe
io ſteſso le creda.
Ma voi, diſse quivi la
124100DELLA FORZA DE’ CORPI gnora Principeſſa, con coteſte voſtre ragioni leva-
te
ai filoſofi tutti i lor ſiſtemi;
perciocchè qual
n’
ha, che non ſia principaliſſimamente fondato
ſul
principio della ſemplicità?
Eccovi che i Co-
pernicani
amano tanto quella loro ipoteſi, che più
non
l’ hanno per ipoteſi;
ne poſſon ſoffrire, che
altri
ne dubiti;
tanto ne ſono orgoglioſi. E per-
chè
ciò?
perchè par loro, che ſia più ſemplice di
qualunque
altra fingere ſe ne poſſa.
Già i Carte-
ſiani
rigettarono tutte le forme, e tutte le qualità
d’
Ariſtotele, credendo che il mondo ſarebbe più
ſemplice
ſenza eſſe;
benchè anche ne accuſarono
l’
oſcurità;
dalla quale accuſazione pare, che i
Neutoniani
le abbiano aſſolute, avendo aggiunto
ai
principj di Carteſio non ſo qual forza attrat-
tiva
così oſcura, come le qualità erano di Ari-
ſtotele
.
I quali però vedete quanto amano la ſem-
plicità
;
che oltrechè quella lor forza attrattiva non
l’
hanno introdotta che per biſogno, avrete an-
che
oſſervato, che eſsendo tante e tanto varie tra
loro
le forze attrattive de’ corpi, et eſsendone
ancor
molte non attrattive, ma repulſive, pur s’
ingegnano
gli uomini acutiſſimi, e ſi sforzano,
quanto
poſsono, di perſuadere, che tutte ſono
una
forza ſola;
et amano meglio di eſsere oſcuri,
che
di non parer ſemplici.
E lo ſteſso Ariſtotile, ben-
chè
moltiplicaſse a diſmiſura le forme, le quali-
, gli accidenti, non però ne introduſse, ſe non
quante
gli parvero eſser neceſsarie;
e niuna ne
poſe
mai, che egli credeſse inutile;
donde ſi
125101LIBRO I. de, che egli ancora volle ſeguire la ſemplicità,
come
i moderni;
benchè ſe ne vantaſse meno. Si-
gnora
, riſpoſi, io non ho detto, che non ſia da de-
ſiderarſi
la ſemplicità ne’ ſiſtemi;
la quale quando
altro
non aveſse, che l’ eſser comoda, e dar me-
no
fatica a quei, che ſtudiano, pur ſarebbe per
queſto
ſolo da commendarſi;
ma ella trae ſeco
anche
una non ſo quale probabilità;
e ſe i fi-
loſofi
fondando le loro opinioni ſu la ſempli-
cità
della natura, le proponeſsero poi mode-
ſtamente
, e ſi contentaſsero, che altri le
riceveſse
con qualche timore, e ſolamente
come
probabili, io non ripugnerei loro;
ma
ſpacciandole
eſſi il più delle volte quaſi come
evidenti
, ne potendo ſofferire, che pur ſe n’ ab-
bia
un minimo dubio, mi accendono in ira.
Vedete
dunque
, che io non levo via i lor ſiſtemi, levo via
la
loro arroganza.
Troppo avrete a fare, diſſe qui
il
Signor D.
Niccola, ſe vorrete levare a i filoſofi
l’
arroganza;
pure ora trattandoſi della ſemplici
, parmi che voi vi affanniate contra ragione.
E
che
direſte voi, ſe uno vi formaſſe un Dio, il
qual
creando l’ univerſo, creaſſe in eſſo molte
coſe
non neceſſarie;
molte ancora inutili affatto
e
ſuperflue?
Non vi parrebbe egli queſto un Dio
poco
accorto?
Et al contrario, ſe vi formaſſe un
Dio
, che ſtudiaſſe ſempre le vie più facili, e più
brevi
;
e quelle attentamente ſeguiſſe; ne mai per-
veniſſe
ad un fine, fe non adoprandovi i meno
mezzi
, che adoprar ſi poteſſero;
non vi par’
126102DELLA FORZA DE’ CORPI che formaſſe un Dio ſapientiſſimo? A me par,
diſſi
, che formerebbe un Dio molto pigro;
per-
ciocchè
eſſendo a queſto Dio, ſe egli è veramen-
te
Dio, egualmente facili e brevi tutte le vie,
ne
potendogli venir meno ne la poſſanza ne i
mezzi
, io non , perchè egli voleſſe ſtudiar
tanto
il riſparmio, e ſeguir ſempre quelle vie,
che
non a lui ſon le più facili, e brevi, ma a
noi
.
Qual ragione, diſſe allora il Signor D. Ni-
cola
, avrebbe egli di ſeguir le più lunghe, e le
più
torte?
Quella ſteſſa, riſpoſi io, che avrebbe
di
ſeguir le più brevi, e le più facili;
che io non
ſo
, qual ragione ſegua un Dio, creando le coſe;
dico bene, che la ragione, che egli ſegue, non
può
eſſere ne la brevità, ne la facilità, ne la ſem-
plicità
, eſſendo a lui breviſſimo, e faciliſſimo, e
ſempliciſſimo
ogni coſa.
La bellezza dell’ opera,
diſſe
quivi il Signor D.
Serao, potrebbe forſe eſ-
ſere
una tal ragione;
poichè eſſendo certamente
piû
bella quell’ opera, che è più ſemplice, ne vie-
ne
, che ſe Dio vuol crear la più bella, vorrà an-
cora
crear la più ſemplice.
Che ſe egli in tutto
ſtudia
, e vuole l’ onor ſuo (giacchè mi traete
a
viva forza in Teologia) quale onore farebbe
a
lui un’ opera intralciata in mille modi et av-
volta
, in cui ſi perveniſſe per cento mezzi ad un
fine
, al quale potea pervenirſi per uno ſolo?
ſen-
za
che, quando egli per giungere a un certo fine
ſi
ſerviſſe di mezzi inutili, moſtrerebbe di non
conoſcerli
.
Voi, diſſi, Signor D. Serao, mi
127103LIBRO I. pingete in un gran pelago, chiamandomi a ra-
gionare
dei fini, e dei mezzi della natura, e del-
la
ragion di crearli;
e parmi che molto giudizio-
ſamente
Carteſio vietaſſe a ſuoi d’ impacciarſi de
fini
della natura, avendogli per troppo occulti;
e veramente ſe ſon tali, quali quel graviſſimo uo-
mo
gli credette, e quali ſono in fatti da crede-
re
, io non , a qual’ uſo ſerbiſi il principio
della
ſemplicità volendo ſtabilire piu toſto un ſi-
ſtema
, che un’ altro;
perchè ſe quel ſiſtema è
più
ſemplice, che più ſpeditamente, e con mag-
gior
facilità conduce ai fini della natura;
non ſa-
pendo
noi queſti fini, e dovendo pur ſempre du-
bitare
, ſe oltre quelli, che ci par di ſapere, altri
ne
abbia la natura, che non ſappiamo, come po-
tremo
noi diſtinguere tra due ſiſtemi, qual ſia più
ſemplice
, e qual meno?
E certo io vi concedo,
che
ſe Dio voleſſe una coſa come mezzo, il qual
conduceſſe
a un certo fine, e quella veramente
non
vi conduceſſe, moſtrerebbe di non averla ab-
baſtanza
conoſciuta;
perciocchè l’ avrebbe pre-
ſa
come un mezzo, non eſſendolo eſſa;
ma non
per
queſto vorrebbe dirſi, che Dio non aveſse
creata
quella tal coſa;
perciocchè ſe egli non l’
aveſse
voluta, come un mezzo, potrebbe averla
voluta
, come un’ altro fine;
e molto meno è da
pretendere
, che potendo Dio aſsumere molti mez-
zi
, i quali componendoſi tutti inſieme, e maravi-
glioſamente
accordandoſi traggano a un certo fi-
ne
, e potendo anche aſsumerne pochi, debba
128104DELLA FORZA DE’ CORPI eſsere aſtretto ad aſsumere più toſto i pochi, che
i
molti;
perciocchè potrebbono queſti molti eſser
voluti
, e per quel fine, a cui traggono, et an-
che
per loro ſteſſi.
E così potrebbe Dio tra le in-
finite
coſe poſſibili, che egli ſta contemplando in
ſe
medeſimo fino ab eterno, aver veduto un cer-
to
effetto prodotto da mille cagioni inſieme, e lo
ſteſſo
effetto prodotto da due ſole, et averlo vo-
luto
più toſto prodotto dalle mille, che dalle due;
perciocchè non ſolo l’ effetto, ma potrebbono eſ-
ſergli
piaciute ancor le cagioni.
Potea forſe la
terra
eſſere illuminata d’ una maniera più ſempli-
ce
;
ma Dio ha creato un ſole, che è tanto più
grande
di lei, il qual rivolgendoſi con una ma-
raviglioſa
celerità per gli ſpazj immenſi del Cielo
verſi
in lei del continvo una impercettibil copia
di
luce.
E perchè? perchè egli forſe ha voluto
non
già una terra illuminata, ma una terra illu-
minata
, et un ſol, che la illumini.
Senza che vuo-
le
Iddio co’ medeſimi mezzi ſervir ſpeſſe volte a
moltiſſimi
fini;
e noi, conoſcendone un ſolo, giu-
dichiamo
quei mezzi eſſere ſovrabbondanti;
e ſon
veramente
, ſe a quel fine ſolo, che conoſciamo,
ſi
riferiſcano.
Ma nol ſarebbono, ſe gli riferiſ-
ſimo
a tutti;
come fa Iddio, il qual, provedendo
ad
un fine, vuol provedere.
anche agli altri, e
creando
l’ albero non penſa ſolo all’ albero, ma
anche
agli uccelli, che hanno da porvi il nido,
e
al paſſeggiero, che dee ſederviſi all’ ombra.

Voi
avete fatto, diſſe quivi il Signor D.
129105LIBRO I. una bella prova di eloquenza. Ma io vorrei ſenza
eloquenza
, che riſpondeſte a quello, che ho det-
to
, cioè che l’ opera, che è più ſemplice, è an-
cor
più bella, e fa più onore all’ autor ſuo;
don-
de
ne viene, che volendo Dio il ſuo onore, e
creando
per queſto le coſe e non per altro, cree-
le più ſemplici.
Che le opere, riſpoſi io allo-
ra
, le quali ſono più ſemplici, ſieno ancora per
noi
più comode, non ne ho dubio alcuno;
più
preſto
e meglio le intendiamo.
Et eſſendo più co-
mode
, non è alcun dubio, che ancor più piac-
ciano
;
e più piacendo debbano parere anche più
belle
.
Ma ſe voi vorrete metter da parte il vo-
ſtro
amor proprio, che vi fa parer belle tutte le
coſe
, che a voi ſon comode;
e vorrete giudicar
di
loro non per quello, che ſono a voi, ma per
quello
, che ſono in lor medeſime;
io non veggo
già
, come non debba più piacere, e dirſi più bel-
la
un’ opera, in cui riſplenda grandiſſimo ſtudio,
e
moltiſſimo artifizio, che un’ altra, in cui nien-
te
ſia di ciò;
benchè abbiano tutte e due lo ſteſ-
ſo
fine.
Un danzatore va da un luogo ad un’ al-
tro
con molti, e varj giri e movimenti artificioſiſ-
ſimi
;
i quali ſe ſon grazioſi, più piace, che ſe vi
andaſſe
ſpeditamente e ſenza arte;
perchè non
piace
l’ andarvi;
piace la maniera, con cui vi va.
Ma acciocchè non dobbiate dire, che io mi ſerva
dell’
eloquenza, la qual non ſo, come a voi pa-
ja
, che oggi ſia nata in me, io laſcio ſtare, che
le
opere più ſemplici ſieno ancor le più belle,
130106DELLA FORZA DE’ CORPI vi domando ſolo, ſe voi crediate, che Dio nel
produr
le coſe, e trarle dal nulla, abbia dovu-
to
ſempre ſceglier le forme più belle, o poſſa an-
che
talvolta aver degnato le men belle, faccendo-
le
poi più belle col crearle.
Io non ardirei, diſ-
ſe
il Signor D.
Serao, decidere una quiſtione tan-
to
agitata, e tanto oſcura;
e ſo che non la de-
ciderete
così facilmente ne voi pure.
Ma ſe
egli
non può deciderſi, riſpoſi io, che Dio, pro-
ducendo
le coſe, abbia ſcelto ſempre le forme
più
belle, come potremo noi decidere, che egli
abbia
ſcelto le più ſemplici, per queſta ragione,
perchè
le reputiam le più belle?
Et eſſendo una
quiſtione
oſcuriſſima, ſe le coſe da Dio create
ſieno
le più belle di quante crear ſe ne poteſſero;
come non ſarà anche una quiſtione oſcuriſſima,
ſe
ſieno le più ſemplici?
La qual oſcurità ci ſi fa-
tuttavia maggiore, ſe noi conſidereremo, che i
fini
, che noi andiamo immaginando nella natu-
ra
, non ſono ne eſſer poſſono i fini ultimi di Dio,
il
quale non può averne che un ſolo, et è quel-
lo
dell’ infinito, et ineſplicabile onor ſuo.
E ben-
chè
io non abbia delle coſe divine ſcienza niuna,
non
crederei però d’ ingannarmi, ſe io diceſſ@,
che
l’ onore, che Dio ſommamente, e più che
altro
ſtudia, e cerca, e vuole, non è già quello,
che
a lui fanno con la bellezza loro le coſe eſ-
ſendo
create, ma quello, che fa egli a ſe ſteſſo
creandole
;
perciocchè le crea egli, non perchè me-
ritino
d’ eſſer create, ma perchè gode di
131107LIBRO I. ancorchè non lo meritino. Nel che ſi compiace
dell’
infinita liberalità, e magnificenza ſua, ne
ſta
, cred’ io, a fare i calcoli, ne a prender mi-
ſure
per timor di non creare una ſtella di più, o
far
qualche pianeta oltre il biſogno:
come un ec-
cellentiſſimo
muſico, il qual compiacendoſi della
ſua
voce, canta a diletto;
ne ſi rimane, perchè
biſogno
non ne ſia.
E ſe Dio fa le coſe non moſ-
ſo
dalla bellezza loro, ma dal piacere di farle,
chi
ſa fin dove queſto piacere lo porti, e fino a
qual
ſegno egli abbia voglia di ſollazzarſi?
che
non
può già a lui dirſi, come al fanciullo:
ceſſa
omai
, tu hai giocato abbaſtanza.
Voi tornate
diſse
allora il Signor D.
Serao, a i voſtri luoghi
oratorj
;
e moſtrando egli di voler pur proſegui-
re
, la Signora Principeſſa l’ interruppe, e diſse:
coteſta voſtra diſputa è ormai troppo lunga, e
fuor
di propoſito;
che ſe voi vi fermate tanto in
coteſte
ſottigliezze, non ſarà mai, che per noi ſi
torni
agli elaſtri.
Pur permettetemi, vi prego, diſ-
ſe
allora il Signor D.
Serao, che io aggiunga una
coſa
ſola;
ed è, che Maupertuis, filoſoſo tra quan-
ti
oggidì ne ſono in tutta Europa chiariſſimo, ha
creduto
di potere argomentare, che l’ autore del-
la
natura debba eſsere e prudentiſſimo, e ſapien-
tiſſimo
, e finalmente Dio, dimoſtrando non al-
tro
, ſe non che tra le infinite leggi del moto, ch
eſser
potevano, abbia egli ſaputo conoſcer le
più
ſemplici, cioè quelle, nelle quali ha men di
fatica
e men d’ azione;
e quelle ſi abbia
132108DELLA FORZA DE’ CORPI ſto di voler ſeguire; e tale argomento è paruto all’
illuſtre
filoſoſo tanto grave, che l’ ha di gran lun-
ga
antepoſto a tutti gli altri, che ſoglion produr-
ſi
a dimoſtrare l’ eſiſtenza di Dio;
tanto ha egli
dato
di autorità alla femplicità.
Se così è, aſsai
picciola
coſa, riſpoſi io allora, baſta a Mauper-
tuis
per ſarne un Dio.
Come picciola coſa? diſse
allora
la Signora Principeſsa;
pare a voi piccio-
la
coſa a ſaper conoſcere tra le infinite leggi poſ-
ſibili
, quali ſieno quelle, in cui ha men d’azione?
Piccioliſſima; riſpoſi. Perchè? diſse la Signora
Principeſsa
.
Perchè, diſſi, le ha ſapute conoſcere an-
che
Maupertuis;
che non è un Dio: io credo che ſia
il
preſidente dell’ accademia di Berlino.
E certo ſe
l’
autore della natura non altro aveſse ſaper dovu-
to
, ſe non quali foſsero le leggi del moto, a cui
meno
azione, che a tutte l’ altre, ſi richiedeſse,
non
avea per ciò meſtieri d’ una ſapienza inſinita;

baſtava
bene, che egli ſapeſse un poco il calcolo
differenziale
.
Seguir poi quelle leggi, in cui ha
meno
azione, e men fatica, che in tutte l’ altre,
è
un conſiglio, che avrebbe preſo non ſolo ogni
prudente
, ma anche ogni pigro.
Vedete dunque,
che
il grandiſſimo filoſofo d’ aſsai picciola coſa ha
fatto
un Dio.
Diſse allora la Signora Principeſ-
ſa
ridendo, voi torcete ogni coſa a ſenno voſtro;

ma
certo la ſcelta di quclle poche leggi leva via
la
ſuſpicione del caſo;
perciocchè il caſo non le
avrebbe
potuto ſcegliere tra infinite altre;
al
che
richiedevaſi una mente dotata di ſcienza,
133109LIBRO I. di conſiglio. ; riſpoſi io; ma queſta mente
avea
biſogno di così poca ſcienza, e di così
poco
conſiglio, che ſe io non ſapeſſi altro di
lei
, per queſto ſolo non la farei un Dio;
e
più
la ſtimo di aver potuto creare i corpi, e
trarli
dal nulla, et impor loro certe leggi, qua-
li
che eſſe ſieno, onde doveſſe uſcirne il vago e
maraviglioſo
aſpetto dell’ univerſo;
che di aver
conoſciuto
fra le tante leggi del moto, quali foſ-
ſero
le più ſemplici.
Finchè noi, diſſe allora il
Signor
D.
Serao, andremo dietro agli argomenti
dei
metaſiſici, a voi non mancheranno le ſotti-
gliezze
.
Intanto però tutte le opere della natura,
che
noi intendiamo, noi le troviamo molto ſem-
plici
;
e da quelle, che intendiamo, poſſiamo ſa-
re
argomento dell’ altre.
Tutte le opere, riſpoſi
io
, che intendiamo, della natura, le troviamo
ſemplici
, perchè noi non intendiamo, ſe non le
ſemplici
;
alle più compoſte non poſſiamo aggiun-
gere
;
e quelle iſteſſe, che chiamiamo ſemplici,
non
le diremmo forſe tali, ſe le intendeſſimo per-
fettamente
;
che ſcopriremmo anche in eſſe un’ in-
finita
varietà di azioni, e di qualità, e di modi,
che
la picciolezza del noſtro intendere non ci per-
mette
di diſcoprire;
eſſendo coſa vana il crede-
re
, che gli artificj della natura non ſi eſtendan
più
delle noſtre cognizioni.
Vedete, diſſe il
Signor
D.
Serao, la varietà dei colori, che pare-
va
eſſere compoſtiſſima, come s’ è ridotta a ſem-
plicità
, riducendoſi tutti quanti i colori a ſoli
134110DELLA FORZA DE’ CORPI to. E vedete, diſſi, la luce, che ſi tenea per ſem-
pliciſſima
, e poi s’ è trovata compoſta di ſette ſpe-
cie
di raggi tra lor diverſiſſime;
le quali ſpecie
ſarebbono
anche più, ſe la debolezza de’ noſtri
ſenſi
ci laſciaſſe maggiormente diſtinguere tutte
le
differenze, che ſono in ciaſcuna di loro;
le
quali
differenze noi le chiamiamo piccole, non
perchè
piccole ſieno, ma perchè piccole pajono
agli
occhi noſtri;
e noi non ponendo lor mente
confondiamo
inſieme molte ſpecie, e forſe di in-
finite
ne facciamo una ſola.
Voi non la finirete
mai
, diſſe qui la Signora Principeſſa.
E il Signor
D
.
Serao, vedete, diſſe, anche i corpi celeſti,
che
parean’ eſſere tanto varj tra loro, e di più ſpe-
cie
, altri pianeti, altri comete;
et ora ſi ſon tro-
vati
eſſere pianeti tutti, d’ un medeſimo ordine,
con
le medeſime leggi, e per così dire d’ una
ſteſſa
famiglia.
E queſta famiglia, riſpoſi io, in
quanta
varietà ſi è poſta, e quanto ſi è ſconvolta
e
turbata, da che le comete vi ſi ſono introdot-
te
! Che già i pianeti ſi diſtinguevan tra loro ſo-
lamente
d’ onore, per così dire, e di grado, aven-
do
altri l’ accompagnamento dei ſatelliti, ed al-
tti
, et eſſendone uno ſingolarmente ornato d’
un
mirabile anello;
ora quanto maggior varie-
et incoſtanza appariſce in loro! Che già altri
pianeti
hanno la coda lunghiſſima, altri non ne
hanno
punto;
altri ſi avvolgono d’ una foltiſſima
nebbia
, et altri non hanno pur l’ atmosfera;
e
dove
gli antichi pianeti ſi rivolgevano tutti,
135111LIBRO I. ſi di comune conſentimento, verſo una ſteſſa par-
te
, ſenza che l’ uno rompeſſe o traverſaſſe il gi-
ro
dell’ altro;
ora che le comete ſi ſon fatte pia-
neti
, biſogna dire, che l’ un pianeta ſi volga ver-
ſo
oriente, l’ altro verſo occidente, et alcuni
ſcorrano
ſtranamente da ſettentrione a mezzodì,
et
altri al contrario, e molti ancora ſenza riſpet-
to
vengano impetuoſamente a cacciarſi entro gli
ſpazj
de’ lor compagni, accoſtandoſi al ſole più,
che
non pareva a pianeta convenirſi, non ſenza
pericolo
di urtarlo una volta, e di romperlo.
Sicchè avendo noi fatto delle comete, e dei pia-
neti
, come voi dite, una famiglia ſola, vedete in
quanto
ſconvolgimento abbiamo poſto tutta la
caſa
.
Laſciate una volta, diſſe quivi la Signora
Principeſſa
a me rivolta, queſte voſtre poetiche
immagini
, che a nulla ſervono;
e più toſto met-
tetevi
a ſpiegarci la diffinizione della forza viva
del
Padre Riccati;
il che fie più al propoſito. Per-
chè
quanto agli elaſtri, parendomi oramai l’ o-
ra
eſſer tarda, credo che ben ſarà rimetterne il
diſcorſo
ad’ oggi;
tanto più che le difficoltà pro-
poſte
da queſti Signori ſon molte, e ricercheran-
no
lunga diſputa;
ne voi farete poco, ſe le av-
rete
tutte a memoria.
Signora, diſſi, ſe io non
avrò
a memoria le difficoltà, che queſti Signori
hanno
propoſte, forſe non le avranno ne eſſi pu-
re
.
Così la diſputa dovrà eſser breviſſima. Ma
io
, diſse il Signor D.
Niccola, le ho bene a me-
moria
io.
Voi intanto eſponete la
136112DELLA FORZA DE’ CORPI che la Signora Principeſsa deſidera, e vedete di
eſporla
fedelmente;
perchè ſe la eſporrete a mo-
do
voſtro, io, che ho letto l’ autore, ve ne ac-
cuſerò
.
Anzi, riſpoſi io, avendo voi letto l’au-
tore
, dovreſte darmi ajuto per eſporla meglio, e
non
aſpettare ch’ io meritaſſi di eſsere accuſato.
Eſsendoſi qui alquanto riſo, dopo un breve ſilen-
zio
incominciai:
La forza viva, che il Padre Ric-
cati
ha introdotta, non è da poterſi intendere
così
facilmente, ſe prima non ſi intendano due
potenze
, tra le quali ella, per così dire, ſi ſta
naſcoſta
.
Imperocchè cangiandoſi continuamente
i
corpi, e acquiſtando nuove forme, e perden-
dole
, biſogna, che ſieno in eſſi due potenze, l’
una
delle quali produca il cangiamento;
l’ altra
lo
diſtrugga.
La gravità per eſempio fa cadete
un
corpo:
eccovi una potenza, che produce nel
corpo
un cangiamento, faccendolo paſsare dalla
quiete
al moto.
La reſiſtenza poi, che egli trova,
lo
ritorna alla quiete;
ed eccovi una potenza, che
diſtrugge
il cangiamento, che la gravità avea pro-
dotto
.
Ora tra queſte due potenze ha una for-
za
, che il Padre Riccati chiama forza media, la
qual
ne produce il cangiamento, ne lo diſtrugge;

ma
poichè è prodotto dalla potenza, lo conſer-
va
, e lo conſerva fino a tanto, che ſia diſtrutto
dalla
potenza contraria.
E queſta, ſecondo lui,
è
la forza viva.
Voi potevate dir ſubito, diſſe al-
lora
la Signora Principeſſa, che la forza viva del
Padre
Riccati ſi è l’ inerzia, ſenza fare così
137113LIBRO I. go giro. Che volete? riſpoſi io allora; il Padre
Riccati
lo fa egli pure;
e ſe io nol faceva ancor’
io
, il Signor D.
Niccola mi avrebbe accuſato.
Per altro il Padre Riccati alla perfine viene anch’
egli
in queſto, che la forza viva altro non ſia,
che
l’ inerzia, inquanto conſerva il cangiamento
prodotto
da una potenza contro un’ altra poten-
za
, che lo va diſtruggendo;
che è quanto dire: la-
ſcia
, che la potenza contraria lo diſtrugga a po-
co
a poco, et eſſa intanto va conſervando gli a-
vanzi
, finchè alcuno ne reſta.
Ma crede egli, diſ-
ſe
allora la Signora Principeſſa, che l’ inerzia ſia
una
vera forza, e che conſervando quegli avanzi
agiſca
veramente ne corpi, come le altre forze
fanno
?
No, riſpoſi; anzi egli vuole il contrario;
e
come vedrete nel primo de ſuoi dialoghi, egli
ſpiega
l’ inerzia eccellentemente, dicendo, che el-
la
non ha alcuna azion vera, e non avendone al-
cuna
, laſcia ſtar le coſe così, come ſono, e per-
ciò
le ſi attribuiſce il conſervarle;
et è una virtù,
che
ſi concepiſce da noi ne corpi, e forſe non
vi
è.
Se così è, diſſe la Signora Principeſſa, la
forza
viva del Padre Riccati non ſarà forſe ne
corpi
, ma ſolo nella mente ſua;
e quando foſſe
ne
corpi, non avrà molto da fare;
perchè non
avendo
azion niuna, e laſciando ſtar le coſe,
come
ſono, può ſtarſi in ozio, et anche an-
darſene
, ſe a Dio piace.
Ma quale è de Leibni-
ziani
, o de Bernulliani, che per forza viva in-
tenda
una virtù così ozioſa?
la quale non
138114DELLA FORZA DE’ CORPI forza viva, non veggo pure perchè debba chia-
marſi
forza.
Biſogna, diſſi, che egli aveſſe, di che
illuſtrare
l’ inerzia de corpi, e volendo farvi ſo-
pra
un libro, abbia anche voluto nobilitarla con
un
nome ſplendido, e chiamarla forza viva.
Nel
che
ha uſato di quella libertà, che uſan talvolta
i
filoſofi, e i matematici, imponendo i nomi a
modo
loro.
Almeno, diſſe allora la Signora Prin-
cipeſſa
, ſi ſarà egli aſtenuto da quelle forme, che
i
Leibniziani, e i Bernulliani ſogliono tutto
avere
in bocca, quando dicono, che le potenze
producon
ne corpi, generano, trasfondano la for-
za
viva;
perciocchè chi direbbe, che le potenze
producan
ne corpi, generino, trasfondan l’ iner-
zia
?
la quale è una virtù, che, ſe l’ hanno i cor-
pi
, l’ hanno per lor medeſimi;
non la ricevono
in
dono da alcuna potenza ſopravvegnente.
Uſa
beniſſimo
, diſs’ io, tali forme, e voi ne vedrete
il
libro pieno.
Ma ſe la forza viva è, ſecondo
lui
, coteſta inerzia, diſſe allora la Signora Prin-
cipeſſa
, come può egli poi ſoſtenere, che ſia pro-
porzionale
al quadrato della velocità?
l’inerzia
è
forſe tale?
Non ſo, riſpoſi; e certo anche a me
è
paruta ſtrana l’ opinione.
Non parrebbe tanto
ſtrana
, diſſe allora il Signor D.
Nicola, ſe voi a-
veſte
ſpiegato bene ogni coſa;
perchè dicendoſi,
la
forza viva eſſer l’ inerzia, cioè quella virtù,
che
conſerva il cangiamento prodotto nel corpo
dalla
potenza, biſogna intender bene, che coſa
ſia
un tal cangiamento;
e queſto voi non
139115LLIBRO I. ancora ſpiegato. Chi non ſa, riſpoſi io allora,
ogni
cangiamento eſſere il paſſaggio, che fa un
corpo
o dalla quiete al movimento, o dal movi-
mento
alla quiete, o da un movimento ad un’ al-
tro
?
E queſto ſteſſo dice il Padre Riccati nel libro
ſuo
alla pagina 234.
Oh! diſſe la Signora Princi-
peſſa
, voi ſiete così felice di memoria, che vi ri-
cordate
fin le pagine?
Io ſono tornato, diſſi, tan-
te
volte ſu i medeſimi luoghi, che poſſo ricordar-
mi
ancor le pagine ſenza quella tanta felicità, che
voi
mi attribuite.
Ma per venire al propoſito; ſe
ogni
cangiamento, che la potenza genera nel cor-
po
, ſi riduce a movimento;
e ſe la forza viva è
una
virtù conſervatrice del cangiamento;
biſogne-
ben dire, che ella ſia una virtù conſervatrice
del
movimento.
E s’ è così, ſarà anche propor-
zionale
al movimento, ch’ ella conſerva;
come
dunque
al quadrato della velocità?
Io non mi ri-
cordo
così appunto i luoghi, diſſe allora il Signor
D
.
Niccola; ſo bene, che il Padre Riccati vuole,
che
la potenza produca nel corpo non il movimen-
to
, ne la velocità, ma altra coſa.
Come dite voi
dunque
, che il cangiamento, che ella produce,
ſia
la velocità, o il movimento?
Voi volete dire,
riſpoſi
io allora, che la potenza ſecondo il P.
Ric-
cati
produce immediatamente la forza viva, la
qual
poi ſi trae dietro la velocità, come un ſuo
conſeguente
;
il libro del Padre è tanto pieno di
ciò
, che non occorre moſtrarne i luoghi.
Ma ciò
poſto
, la forza viva ſarà dunque una virtù, che
140116DELLA FORZA DE’ CORPI trae dietro la velocità; come ſarà ella dunque l’
inerzia
?
Diremo noi, che l’ inerzia, che è una
virtù
indifferente a qualſivoglia modo di eſſere,
ſi
tragga dietro la velocità?
e quando bene la ſi
traeſſe
dietro, e la conſervaſſe, pur ſarebbe per
queſto
ſteſſo proporzionale alla velocità.
Percioc-
chè
che altro dovrebbe conſiderarſi in eſſa, ſe non
l’
atto del trarſi dietro la velocità, e del conſer-
varla
?
il quale atto tanto è certamente maggio-
re
, quanto maggiore è la velocità, che ſi con-
ſerva
, e ſi trae.
Coteſta ragione, diſſe qui-
vi
il Signor D.
Nicola, è un poco ſottile,
et
a molti parrà oſcura.
E per queſto, riſpo-
ſi
io, ſarà ella falſa?
Io non voglio, diſſe al-
lora
il Signor D.
Niccola, diſputar di ciò; ma
tornando
al propoſito del cangiamento, per veder
pure
in che coſa egli conſiſta, io dico, che ſe la
potenza
, ſecondo il P.
Riccati, produce nel cor-
po
la forza viva, onde poi ſegue il movimento,
e
la velocità;
potrebbe forſe il cangiamento con-
ſiſtere
in quella forza viva, che il corpo acqui-
ſta
;
potrebbe anche conſiſtere in quella velocità,
che
ne ſegue;
e perchè non anche in quel ſempli-
ce
paſſar, che fa il corpo, da un luogo ad un’ altro?
E ſe voi non ci dichiarate, in che veramente il
cangiamento
debba conſiſtere, non ci avrete mai
dichiarata
la forza viva del P.
Riccati, che è la
conſervatrice
del cangiamento.
E quand’ egli foſ-
ſe
oſcuro in queſta parte, non per ciò dovreſte
voi
dire, che foſſe falſo.
Oſcuro, riſpoſi io
141117LIBRO I. ra, quanto a me, egli è certo; e come intendete
voi
quello, ch’ e’ dice, che la forza viva ſi vuole
ammettere
, acciocchè l’ effetto ſia eguale alla ca-
gione
;
moſtrando poi in tanti luoghi, particolar-
mentealle
pagine 175.
176. di averla non per una
qualità
reale de corpi, ma per una ſemplice idea de
i
matematici;
quaſi gli effetti doveſſero uguagliarſi
alle
lor cagioni nella mente dei matematlci, e non
ne
i corpi.
Ma vegniamo al cangiamento, di cui
dicevate
:
intorno al quale io argomenterò per
modo
, che non avrò biſogno di ſtabilire, in che
egli
conſiſta;
perchè in qualunque conſiſta delle
tre
coſe, che avete detto, io vi farò chiaro che
ſempre
confuſione ne naſce, e diſordine.
E pri-
mamente
ſe il cangiamento prodotto dalla poten-
za
foſſe la forza viva, che il corpo acquiſta;
di-
cendoſi
poi, che la forza viva è una virtù con-
ſervatrice
del cangiamento, verrebbe a dirſi che
la
forza viva foſſe una virtù conſervatrice della
forza
viva;
che ſarebbe brutta definizione. Se il
cangiamento
poi foſſe la velocità;
ne ſeguirebbe,
che
la forza viva, che ne è la conſervatrice, ſa-
rebbe
la conſervatrice della velocità, e non eſ-
ſendo
altro, ſarebbe proporzionale alla velocità,
cui
conſervaſſe.
Che ſe il cangiamento prodotto
dalla
potenza foſſe quel paſſar, che fa il corpo, da
un
luogo ad un’ altro;
io dimando prima, come
poſſa
la potenza determinare il corpo a ſcorrere
un
certo ſpazio, e non determinarlo inſieme a
ſcorrerlo
in certo tempo;
perchè in verità fino
142118DELLA FORZA DE’ CORPI tanto, che il corpo ſarà indifferente a ſcorrerlo
in
un tempo, o in un’ altro, non lo ſcorrerà mai,
ne
mai potrà dirſi determinato a ſcorrerlo.
Ora
ſe
la potenza determina il corpo a ſcorrer un
certo
ſpazio in certo tempo;
e queſto è il cangia-
mento
;
chi non vede, che il cangiamento ſi ri-
duce
alla velocità, e ci richiama all’ argomento
poc’
anzi detto?
Ne mi ſi dica che l’ effetto della
potenza
ſia il paſſaggio del corpo da un luogo ad
un’
altro, aſtratto, e ſeparato da ogni tempo, per-
chè
io dirò che queſta è coſa troppo ſottile, e
parrà
oſcura.
Sorriſe quivi la Signora Principeſ-
ſa
;
e laſciando, diſſe, una tal controverſia da par-
te
, io vorrei bene, che mi ſpiegaſſe il P.
Ric-
cati
, che coſa intenda egli dicendo che la velo-
cità
non è un’ effetto della forza viva, ma un
conſeguente
.
Allora il Signor D. Niccola riden-
do
, queſti, diſſe, che ſi ricorda le pagine, il vi
dirà
egli.
Ne parla, diſſi io, ſe altro non volete,
alla
pagina 22, ma non lo ſpiega gran fatto;
ri-
mettendoſene
a Carteſiani, i quali ſe vogliono,
dice
egli, che la velocità ſia un conſeguente del-
la
quantità del moto, non già un’ effetto;
per-
chè
non potrò io ſimilmente dire, che ſia non già
un’
effetto, ma un conſeguente della forza viva?
così egli; ma io temo, che i Carteſiani diranno,
la
velocità eſſere la quantità ſteſſa del moto, e
non
un conſeguente di eſſa;
e rifiuteranno di
ſpiegare
un conſeguente, che non ammettono,
aſpettando
intanto, che il Padre Riccati
143119LIBRO I. ghi quel conſeguente, che ammette egli. A
vendo
io detto fin qui, il Signor Marcheſe di
Campo
Hermoſo, che s’ era lungo tempo ta-
ciuto
;
a me par, diſſe, che ſe la forza viva ſi
trae
dietro la velocità, eziandio come un con-
ſeguente
, convenevol coſa ſia, che gradi eguali
di
forza viva debbano trarſi dietro eguali velo-
cità
;
e ciò preſuppoſto, come potrebbe la for-
za
viva non eſſere alla velocità ſteſſa proporzio-
nale
?
Imperocchè ſe un corpo acquiſta più gra-
di
di forza viva l’ un dopo l’ altro, e tutti e-
guali
tra loro;
venendo dietro a ciaſcun d’ eſ-
ſi
un’ eguale velocità, dovrà bene la ſomma de
i
gradi della forza viva eſſere proporzionale al-
la
ſomma delle velocità.
Così ſarebbe veramen-
te
, riſpoſe allora il Signor D.
Niccola, ſe il ſe-
condo
grado di forza viva traeſſe ſeco una veloci-
eguale a quella, che ſeco traſſe il primo;
e co-
faceſſero gli altri.
E perchè non la trarrà, diſſe il
Signor
Marcheſe, eſſendo il ſecondo del tutto egua-
le
al primo?
Perchè, riſpoſe il Sig. D. Nicola, quant-
unque
il ſecondo ſia in tutto eguale al primo,
vien
però dopo lui, e ſuccedendogli, gli ha
queſto
riſpetto di ſminuire la ſua velocità per
modo
che eſſendo 2 la ſomma de i gradi della
forza
, ſia la ſomma dei gradi della velocità non
2
, ma 2;
e così tutti gli altri gradi di forza
viva
, che dopoi ſopravvengono, ſminuiſcono, e
temperano
ognuno la ſua velocità con lo
144120DELLA FORZA DE’ CORPI ſo riguardo. Qui rimaſeſi il Signor Marcheſe,
quaſi
ſoprapreſo;
poi diſſe: quale ingegno han-
no
i gradi della forza viva ſopravvenendo l’ uno
all’
altro, di temperare in tal modo le loro ve-
locità
?
e chi ha dato loro un tal conſiglio? Voi
vorreſte
ſaper troppo, diſſe allora il Signor D.
Niccola ridendo; baſta bene, che la coſa eſſer
poſſa
, perchè voi non dobbiate con tanta anſie-
cercar del come.
Pur, diſſe il Signor Mar-
cheſe
, non intendendo io il come, non può
piacermi
la coſa;
et amerei meglio una ſenten-
za
, che non mi laſciaſſe inquieto del come.
Ma
che
direſte voi, ripigliò allora il Signor D.
Ni-
cola
, ſe il Padre Riccati vi dimoſtraſſe la for-
za
viva, che che ella ſiaſi, eſſere neceſſaria nella na-
tura
?
Mi diſpiacerebbe, diſſe il Signor Marche-
ſe
, che foſſe neceſſaria una coſa, ch’ io non
intendo
;
pure, eſſendo neceſſaria, la ammette-
rei
.
Or queſto egli dimoſtra, diſſe il Signor D.
Niccola
, nel ſettimo de ſuoi dialoghi, il qual
contiene
, per così dire, la ſomma di tutta quell’
opera
;
faccendo vedere con un ſuo ſottiliſſimo
argomento
, che, ſe la potenza produceſſe nel
corpo
, non una forza viva proporzionale al
quadrato
della velocità, ma la velocità ſteſſa,
interverrebbe
talvolta nella natura, che l’ effet-
to
non ſarebbe proporzionale alla cagione.
L’
argomento
, diſſe quivi la Signora Principeſſa,
par
, che debba eſſer degno di conſiderazione;

indi
guardando verſo di me, a voi
145121LIBRO I. diſſe, di ſcioglierlo, ſe pur volete ſoſtenere quella
voſtra
opinione, che niente ſi faccia nella natu-
ra
ſe non per via di potenze, che producano,
o
diſtruggano la velocità.
Così che, diſſi, a
me
tocca di fare ogni coſa.
Allora la Signo-
ra
Principeſſa ſorridendo diſſe:
il Signor D. Ni-
cola
eſporrà l’ argomento, e voi lo ſciogliere-
te
.
Et io, ſe l’ argomento, riſpoſi, ſarà e-
vidente
, non avrò nulla da ſciogliere.
Egli è
ben
vero, che, ſe non mi ſi moſtrerà chiara-
mente
, che la forza viva ſia neceſſaria, come
ora
diceva il Signor D.
Niccola, mi dovrà eſ-
ſer
lecito di ritenere l’ opinion mia, e ridurre
ogni
coſa alle potenze, et all’ inerzia;
la qual’
opinione
non è tanto mia, che non ſia anche d’
altri
;
et oltre a ciò è più facile, e più ſpedita,
e
più ſemplice.
Neſſuno, diſſe la Signora Prin-
cipeſſa
, potrà contendervelo.
Vedete però, diſ-
ſe
allora il Signor D.
Serao, che ritenendovi la
voſtra
opinione per quella ragione, che dite,
non
paja, che voi ſeguitiate quel principio di
ſemplicità
, che poco innanzi avete preteſo, eſſe-
re
ſtato introdotto dai filoſofi più per comodo
loro
, che per la verità.
Quando io lo ſegui-
taſſi
, riſpoſi, cercherei iI mio comodo;
il che
hanno
fatto tutti i filoſofi;
ma io credo in ve-
rità
, che quantunque il ſapientiſſimo facitor del-
le
coſe poſſa far tutto, che a lui piace;
a noi
però
ſta di non ammettere ſe non quello, che
ſappiamo
aver lui fatto;
ne poſſiamo ſapere
146122DELLA FORZA DE’ CORPI ch’ egli s’ abbia fatto, ſe non in due manie-
re
, o veggendolo con gli occhi noſtri già fat-
to
, o argomentandolo dalla neceſſità, che v’e-
ra
di farlo.
Voi dite beniſſimo, riſpoſe il Si-
gnor
D.
Serao, ne a noi conviene di aggiunge-
re
a piacer noſtro alcuna coſa a quelle, che tro-
viamo
aver fatte il ſapientiſſimo autore della na-
tura
.
Ma a me però non potrà mai capir nell’
animo
, che quel ſapientiſſimo ne faccia pur una
oltre
il biſogno.
, riſpoſi io, ſe le faceſse per
biſogno
.
Qui volendo riſpondere il Signor D.
Serao, la Signora Principeſſa lo interruppe, e
diſſe
:
voi tornereſte per poco all’ iſteſsa lite;
della
quale s’ è oramai detto più che meſtieri
non
era;
pure ſe vi reſta ancor da dirne, po-
tremo
rimetterla ad altro tempo.
Or parmi, che
il
ſole ſi avanzi di gran paſso verſo il meriggio,
così
che queſt’ albero poſsa oramai mal difen-
derci
.
Il perchè fie bene che noi ci accoſtia-
mo
a caſa il Signor Governatore.
Avendo
così
detto, et eſsendoſi in piè levata, ci levam-
mo
tutti;
indi pian piano ci accoſtammo alla ca-
ſa
, nella quale già eran meſse le tavole;
e dopo
alcuni
piacevoli ragionamenti avuti col Gover-
natore
, e con altri Signori, che preſso lui erano,
eſsendo
l’ ora del deſinar venuta fummo con.

grandiſſima
magnificenza, e tanto onorevolmen-
te
ſerviti, che più non potea deſiderarſi.
Fini-
to
il mangiare, la Signora Principeſsa ſi fece.

venire
innanzi una giovinetta oltremodo bella.
147123LIBRO I. e vezzoſa, ſiglia del Signor Governatore, la.
quale, avendo lei prima, e poi tutta la com-
pagnia
riverentemente ſalutata, recandoſi al pet-
to
un ſuo liuto, e maeſtrevolmente toccandolo;

cantò
con la maggior grazia del mondo alquan-
te
leggiadriſſime canzonette in lingua Siciliana.
;
fornite
le quali, avendo tutti il canto e la bellez-
za
della vaga fanciulla ſommamente commenda-
to
, la Signora Principeſsa s’ andò a ripoſare
nelle
ſtanze apparecchiatele;
il Signor D. Serao
et
io andammo nel giardino;
il Signor D. Ni-
cola
, e il Signor Marcheſe di Campo Hermo-
ſo
nella libreria.
Fine del Primo Libre.
148
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149125
DELLA FORZA DE CORPI
CHE
CHIAMANO VIVA
LIBRO II.
AL
SIGNOR
GIAMBATISTA MORGAGNI.
IO mi ſono aſſai volte meco ſteſſo
maravigliato
, Signor Giambatiſta
cariſſimo
, per qual cagione, aven-
do
tanti eccellentiſſimi ſcrittori de-
ſcritta
, chi in un genere, e chi in
un’
altro, la forma dell’ ottimo,
in
cui gli uomini riguardando conoſcer meglio
poteſſero
le lor mancanze, e correggendoſi a nor-
ma
di quella farſi più perfetti, e migliori;
a niu-
no
, ch’ io ſappia, ſia venuto in animo di deſcri-
ver
la forma del filoſofo perfettiſſimo.
Perchè co-
minciando
dai tempi antichiſſimi, e riſalendo al-
le
memorie ultime delle lettere, noi troveremo,
che
i poeti, i quali pare, che ſieno ſtati i primi
a
ſvegliar gli uomini, et incitargli alla virtù,
hanno
ſempre avuto una certa maniera di poeſia,
da
eſſi chiamata epopeia, nella quale ſotto la ſpe-
cie
di un qualche eroe hanno inteſo di moſtrare
agli
uomini la forma di un perfettiſſimo
150126DELLA FORZA DE’ CORPI pe, e condottiere. E pare che Senofonte, fingen-
d
o di ſcriver l’ iſtoria del Re Ciro, abbia voluto
imitarli
;
eſſendo opinione di molti, che egli, eſ-
ponendo
le azioni, e le virtù di quel Re glorio-
ſiſſimo
, non tali le eſponeſſe, quali furono, ma
quali
a lui pareva, che eſſer doveſſero.
Platone
propoſe
la forma d’ una perfetta repubblica, e fu
ſeguito
nello ſteſſo argomento da Cicerone, il qua-
le
vi aggiunſe anche quella dell’ ottimo oratore.
Ne potè Quintiliano aſtenerſi dal deſcrivere la me-
deſima
, quantunque l’ aveſſe deſcritta Cicerone.

E
per laſciare gli antichi, venendo ai tempi ulti-
mi
, et a noſtri, voi ſapete, che il Conte Baldaſ-
ſar
Caſtiglione eſpoſe in quattro libri la perfetta
cortegiania
per così fatto modo, che parve niuna
coſa
potere immaginarſi ne più bella, ne più no-
bile
, ne più magnifica di quel ſuo cortegiano;
il
qual
però avrebbe, cred’ io, ceduto al voſtro a-
natomico
, ſe come voi lo adombraſte una volta
in
una voſtra belliſſima orazione, così aveſte poi
preſo
cura di veſtirlo et ornarlo, e farlo vedere
agli
occhi degli uomini ricco e fornito di tutte
quelle
doti, e qualità, che ad un ſommo anato-
mico
ſi conveniſſero.
Ma voi, diſtratto dalle vo-
ſtre
moltiſſime, e graviſſime occupazioni, avete
voluto
più toſto eſsere quell’ eccellentiſſimo a-
natomico
, che formavate nell’ animo, che deſcri-
verlo
.
Se dunque la forma, e la natura dell’
ottimo
ha tirato a ſe lo ſtudio, e l’ attenzione
di
tanti valentiſſimi ſcrittori nelle arti nobili,
151127LIBRO II. liberali; e ſe alcuni l’ hanno ſeguita eziandio nel-
le
più vili e plebee, eſſendo ſtato un Franceſe,
che
ha deſcritto con ſomma accuratezza la forma
del
perfettiſſimo cuoco;
parea ben ragionevole,
che
alcuno prendeſſe a deſcrivere, e formar l’ im-
magine
di un ſapientiſſimo ſiloſofo, a cui nulla
mancaſſe
, e in cui nulla deſiderar ſi poteſſe.
Ma
io
credo, due ragioni principalmente aver diſtol-
to
gli uomini da ciò fare;
delle quali la prima
penſo
, che ſia la grandiſſima, e ſomma difficoltà
di
inſtituire queſto filoſofo così perfetto.
Percioc-
chè
ſe nelle altre diſcipline, che ſon più anguſte
e
riſtrette, pur è difficile ſcorger quell’ ultimo
grado
di perfezione, a cui poſſon giungere;
quan-
to
più lo ſarà nella filoſofia.
, la qual vagando
per
tutte le coſe, che in mente umana cader poſ-
ſono
, non ha confine ne limite alcuno?
Che ſe
ognuna
di quelle, per eſſer perfetta, ha biſogno
delle
altre diſcipline a lei propinque, da cui pe-
ſol tanto prende, quanto le baſta per eſſer più
bella
, et ornarſene;
che diremo della filoſoſia, che
vuol
profeſſarle, et eſſer maeſtra, e direttrice di
tutte
?
onde ſi vede a lei richiederſi molto mag-
gior
dovizia di cognizioni, e di lumi, che a qual-
ſivoglia
altra.
E certo non potrà alcuno, non che
filoſofo
perfettiſſimo, ma, a mio giudicio, ne
pur
filoſofo chiamarſi, ſe egli non avrà una mol-
to
acuta, e profonda dialettica, per cui poſſa, e
definir
le coſe preſtamente, e diſtinguerle, e di-
ſtribuirle
, e trovar gli argomenti,
152128DELLA FORZA DE’ CORPI il valore, e la forza; e ſapendo miſurare la loro
probabilità
, e contentarſene, qualora non poſſa
giungerſi
all’ evidenza;
ricercando poi l’ eviden-
za
in quei luoghi, ove qualche ſperanza ci ſe ne
moſtri
:
e non far, come quelli, i quali aſſueti
all’
evidenza dei matematici ſoffrir non poſſono le
ragioni
probabili dei giuriſti, ovvero avvezzi al-
la
probabilità dei giuriſti ſi nojano delle ragioni
evidenti
dei matematici;
nel che errano cosi gli
uni
, come gli altri.
Et anche dovrebbe per eſſer
degno
del nome di filoſoſo ſapere perfettamente
tutte
le fallacie;
perchè ſebbene è vergogna tal-
volta
l’ uſarle, è però molto maggior vergogna,
eſſendo
uſate da altri, il non ſaper ſvolgerle, e
diſcoprirle
.
Ne con tutta queſta ſcienza però ſa-
gran fatto il filoſofo da apprezzarſi, ſe egli non
ſe
ne ſervirà a conſeguire le altre;
e non avrà
in
primo luogo compreſa nell’ animo la varietà,
e
l’ ordine, e la bellezza di tutte le coſe intellet-
tuali
, che chiamanſi metafiſiche:
le quali alcuni
diſprezzano
, avendole per inſuſſiſtenti, e vane;
ma ſe penſaſſero, niuna coſa preſentarſi giammai
all’
animo, ne più manifeſta, ne più ferma, et
immutabile
delle forme univerſali ed aſtratte, e
niente
eſſer prù certo che quei principj, e quelle
verità
, che da eſſe a tutte le ſcienze derivano,
io
non , perchè molto più ſtimar non doveſſero
quelle
coſe, che eſſi chiamano inſuſſiſtenti e va-
ne
, che non quelle, che eſſi chiamano vere e rea-
li
.
E certo che la metafiſica ci aprì ella ſola
153129LIBRÓ II. principio, e diſcoprì quella belliſſima e importan-
tiſſima
diſciplina, che può dirſi il maggior dono,
che
la natura abbia fatto agli uomini, voglio dir
la
morale;
la qual ſe il filoſofo non ſaprà, ne a-
vrà
cognizione delle virtù ne dei vizj, ne ſaprà
ragionare
del fine dell’ uomo, ne della felicità, io
non
ſo, che voglia egli farſi della ſua filoſofia.
E
quantunque
la perfetta conoſcenza della morale
poſſa
da ſe ſola inalzare il filoſofo ſopra gli altri
uomini
, e farlo, per così dir, più che uomo, egli
non
dovrà però eſſer privo ne della ſcienza eco-
nomica
, ne della politica, e dovrà ſaper giudica-
re
rettamente dei coſtumi, e delle uſanze tanto
domeſtiche
, quanto pubbliche;
perchè dovrà eſſe-
re
peritiſſimo eziandio della giuriſprudenza.
E
quanto
a me, ſe io doveſſi formarlo a mio modo,
io
vorrei che foſſe anche eloquente;
e ciò per due
ragioni
, delle quali la prima ſi è, per poter ador-
nare
le altre parti della filoſofia, et eſporle con
bel
modo;
perchè ſebbene ſono ſtati molti filoſo-
fi
, che hanno traſcurato ogni ornamento del dire;
io non credo però, che ne ſia ſtato alcuno mai tan-
to
rozzo, che poteſſe la ſua rozzezza piacergli.
L’
altra
ragione ſi è, che io tengo, che l’ eloquenza
ſia
una parte della filoſofia eſſa pure;
poichè ſe
credeſi
comunemente, che alla filoſofia ſi appar-
tenga
il ſapere, come ſi educhino le piante, e ſi
lavorino
i metalli, per qual ragione non dovrà el-
la
anche ſapere, come, e per quai mezzi ſi luſin-
ghino
gli animi umani, e ſi eccitino, e ſi movano?
154130DELLA FORZA DE’ CORPI e per queſt’ iſteſſa ragione niente mi maraviglierei,
ſe
quel perfettiſſimo filoſoſo, che noi andiamo o-
ra
immaginando, voleſſe eſſere anche poeta.
E
certo
avendo egli quella tanta cognizione, che
noi
vogliamo, che abbia, di dialettica, di metafiſi-
ca
, di morale, avrebbe un grande ajuto ad eſſe-
re
un dottiſſimo poeta, e un’ oratore eloquentiſ-
ſimo
.
E noi ſappiamo, che Cicerone, prezzando
poco
i documenti della rettorica, uiuna coſa ſtimò
eſſergli
ſtata tanto giovevole a divenire quel gran-
diſſimo
oratore, che era, quanto lo ſtudio del-
le
ſopraddette ſcienze;
et eſaminando una volta,
qual
filoſofia foſſe a queſto fine più accomodata
dell’
altre, antepoſe a tutte quella dei Peripate-
tici
, e degli Accademici;
et affermò, lui eſſe-
re
uſcito così grande, com’ era, non già dal-
le
officine dei rettori, ma dagli ſpazj dell’
accademia
.
La qual coſa conſiderando io tal-
volta
meco ſteſso, e penſando, che quella
antica
filoſofia partorì pure al mondo un così ec-
cellente
, e così divino oratore, non compren-
dere
, come molti ſe l’ abbiano per una filoſofia
inutile
, e da ſprezzarſi.
Laſcio ſtare, che tanti al-
tri
oratori, e poeti valoroſiſſimi, e ſommi uſci-
rono
da quelle medeſime ſcuole.
Ma ritornando
al
noſtro filoſofo, molto ancora gli mancherebbe,
ſe
egli non poſſedeſſe perfettamente tutte le par-
ri
della fiſica;
nella quale entrando, io vorrei,
che
egli non ſolamente andaſſe dietro a quelle
coſe
, che per li ſenſi ci ſi manifeſtano;
ma
155131LIBRO II. deſſe oltre con l’ intelletto, e cercaſſe anche i
principj
, e le cauſe, che ci ſi manifeſtano per
la
ragione;
ſodisfaccendoſi di quella probabilità,
che
hanno, giacchè all’ evidenza non poſſono
giungere
, ne ritraendoſi da queſto ſtudio per pau-
ra
, che quella opinione, che oggi par probabile,
poteſſe
una volta trovarſi falſa.
Perciocchè il pre-
tendere
, che ciò, che ſi dice, non debba potere,
eſſer
falſo, è una pretenſione ſuperba, e conve-
niente
piuttoſto a un Dio, che a un filoſofo;
e
quegl’
iſteſſi, che traſportati da una tal vanità,
per
eſſere ſicuriſſimi di ciò, che affermano, pro-
feſſano
di non volere attenerſi ſe non alle eſpe-
rienze
, e alle oſſervazioni;
volendo poi ridurre i
ritrovamenti
loro a leggi univerſali e coſtanti, che
debban
valere in tutte le coſe, eziandio in quelle,
che
non hanno mai oſſervate, cadono anch’ eſſi nel
pericolo
della probabilità;
la qual probabilità ſe
non
voleſſe ſeguirſi per paura di errare, non po-
trebbono
più ne i medici curar gl’ infermi, ne i
giudici
diffinire le cauſe;
e ſi leverebbe del mon-
do
ogni regola di buon governo.
Io vorrei dun-
que
, che il filoſofo ſapeſſe tutti i ſiſtemi, alme-
no
i più illuſtri, per ſeguir quelli, che foſſer pro-
babili
, ſe alcun tale ne ritrovaſſe, e rigettar quel-
li
, che non foſſero;
i quali però ſaper ſi debbo-
no
, benchè ſi vogliano rigettare;
anzi rigettar
non
ſi dovrebbono ſenza ſaperli;
che è coſa da
uom
leggero rigettar quello, che non ſi ſa.
E
già
la fiſica ſteſſa, moſtrandogli i ſuoi ſiſtemi
156132DELLA FORZA DE’ CORPI inſtruendolo delle ſue eſperienze et oſſervazioni,
e
manifeſtandogli le ſue leggi, non è da dubita-
re
, che non gli apriſſe anche la chimica, la me-
dicina
, la notomia, e nol conduceſſe ne vaſti cam-
pi
di tutta l’ iſtoria naturale.
La qual fiſica vor-
rebbe
però ſempre aver ſeco la geometria, e l’
algebra
, con le quali ſpeſſiſſime volte viene a de-
liberazione
, e ſi conſiglia;
e ſono eſſe tuttavia per
ſe
medeſime belliſſime ſcienze, e nobiliſſime, et
oltre
a ciò amiciſſime della metafiſica, da cui cre-
dono
eſſer nate;
così che io eſorterei il filoſoſo
ad
aſſumerle anche per lor medeſime;
perchè aſ-
ſumendole
ſolo in grazia della fiſica potrebbono,
e
giuſtamente, averſelo a male.
E queſte poi lo
introdurrebbono
alla meccanica, all’ optica, all’
aſtronomia
, delle quali diſcipline dovrebbe il fi-
loſofo
eſsere peritiſſimo.
Parrà forſe ad alcuni,
che
io ſia faſtidioſo, e poco diſcreto, volendo
imporre
al filoſofo tanto peſo di ſtudj, e di co-
gnizioni
, che non è perſona al mondo, che por-
tar
lo poteſse.
Ma ſe eglino penſeranno, che io
non
lo impongo a loro, ne a veruno di quelli,
che
eſſi conoſcono, ma ad un filoſofo, che vor-
remmo
immaginarci, e fingere, e che dovendo
ſuperar
tutti gli altri nella virtù, e nel ſapere,
vogliamo
ancora, che gli ſuperi nella memoria e
nell’
ingegno, credo, che facilmente mi perdone-
ranno
;
et anche mi ſcuſeranno, ſe io vorrò, che
ſapendo
eglitutte le ſcienze, che abbiamo dette,
e
molte altre, ſappia ancora l’ iſtoria loro, e
157133LIBRO II. me nacquero tra gli uomini, e crebbero, e paſ-
ſarono
in varj tempi a varie nazioni, e con qua-
li
ajuti, e per quai mezzi a tanta autorità, e glo-
ria
s’ innalzarono;
che oltrechè è conveniente a
qualunque
profeſſore il ſapere gli avvenimenti
dell’
arte ſua;
queſto ſingolarmente è proprio del-
la
filoſofia;
perciocchè l’ iſtoria dell’ altre ſcien-
ze
non è una parte di eſſe, ne è parte della retto-
rica
l’ iſtoria della rettorica, ne della dialettica l’
iſtoria
della dialettica;
ma l’ iſtoria della filoſofia,
che
tutte le altre comprende, ſembra eſſere una
parte
della filoſofia ſteſſa.
Imperocchè ſe i filoſo-
fi
conſiderano con tanta attenzione gli altri ani-
mali
, e notano diligentemente e raccolgono le
loro
azioni, e tutte le loro induſtrie, e queſta
iſtoria
pongono tra le parti della loro ſcienza;
io
non
, perchè non debbano porvi anche l’ iſtoria
degli
ſcienziati, e di lor medeſimi;
tanto più, che
ſo
no eſſi più nobili degli altri animali, eſſendo do-
tati
di ragione, et avendola più anche degli al-
tri
uomini coltivata.
Ma laſciamo ormai di rac-
cogliere
tutte le infinite qualità, e doti, che a
quel
filoſofo, che noi vorremmo veder deſcritto,
eccellentiſſimo
, e ſommo ſi richiedercbbono;
ac
ciocchè
non paja ch’io voglia formarlo io, e pre-
ſuma
far quello, che ho detto non eſſere fino ad
ora
ſtato fatto da niuno a cagione della grandiſſi-
ma
difficoltà.
Sebbene io credo, che anche un’ al-
tra
ragione abbia diſtolto gli uomini dal farlo, e
queſta
è, perchè ne potrebbe farlo chi non foſſe
158134DELLA FORZA DE’ CORPI loſofo, ne chi foſſe, facilmente vorrebbe; eſsendo la
forma
del filoſofo perfettiſſimo una coſa tanto
grande
, e magnifica, e divina, che non è alcuno
così
dotto in filoſofia, il qual mirando in quella im-
magine
non ſi doveſſe vergognare di ſe medeſimo.
E ſe Cicerone non isfuggì di proporre agli uomi-
ni
il perfetto oratore;
ciò forſe fece, perchè potea
credere
di non eſſere a quello molto inferiore;
e
noi
ſappiamo, che al Caſtiglione poco o nulla
mancò
ad eſſere quel perfettiſſimo cortegiano, che
egli
avea deſcritto.
Ma chi è, che veduta una
volta
la forma di un filoſofo eccellentiſſimo e
ſommo
, non s’ avvedeſſe di eſſerne infinitamente
lontano
?
Quindi è, che molti ricuſano di vederla,
ne
voglion cercarla per non trovare le lor man-
canze
;
e volendo pur luſingarſi di eſſere compi-
tamente
filoſofi, reſtringono la filoſofia dentro a
quei
limiti, dentro cui ſentono eſſer riſtretta la
cognizion
loro.
E quindi è, che troveremo mol-
ti
, i quali, non avendo toccato mai ne la dialetti-
ca
, ne la metafiſica, ne la morale, pur perchè
hanno
apparato alcuni luoghi della fiſica, credono
aver
veduta la filoſofia, tenendo per nulla tutto
il
reſtante;
e molti eſperimentatori, che ſarebbono
per
altro degni di ſingolar laude, ſono oggimai
venuti
in tanto orgoglio, che vogliono tutto eſ-
ſer
poſto nelle eſperienze;
e gridano, la filoſofia
dover
trattarſi con le mani;
indarno volerviſi u-
ſar
la ragione;
e non volendo uſarla, ben mo-
ſtrano
di non averla.
Gli antichi in queſta
159135LIBRO II. inteſero a mio giudizio più che i noſtri; percioc-
chè
abbracciarono tutte le parti della filoſofia, e
le
ſtimarono tutte grandemente;
e ſe in alcune
non
ſeppero molto innanzi, cercaron però di ſa-
perne
quanto a quei tempi poteaſi, e in alcune
altre
furono tanto eccellenti, che levarono a i po-
ſteri
la ſperanza di uguagliarli:
come Platone et
Ariſtotile
, che furono maraviglioſi non ſolamen-
te
nella metafiſica, e nella morale, ma anche
nella
dialettica, la quale ebbe tanto accreſcimento
da
Ariſtotele, che parve eſſere da lui nata;
et ol-
tre
a ciò poſero molto ſtudio nella fiſica, e molto
ſeppero
, ſecondo quei tempi, della naturale iſto-
ria
;
ne mancò loro la geometria, ne l’ aritmeti-
ca
, e furono intendentiſſimi di muſica, e di poe-
ſia
, della quale Ariſtotile fu gran maeſtro;
e
parvero
eloquentiſſimi a Cicerone.
E veramente
io
credo, che quegli antichi aveſſero un gran
vantaggio
ſopra dinoi;
perchè eſſendo quaſi o-
gnuna
di quelle ſcienze, che la filoſofia abbrac-
cia
e contiene, tanro più breve e più angu-
ſta
a loro tempi, che a i noſtri, fu ad eſſi
più
comodo l’ appararne molte, che a noi non
ſarebbe
ſtudiarne una ſola.
Ne io mi ſdegno già
contra
coloro, i quali rapiti da una parte ſola del-
la
filoſofia, ſi allontanano dalle altre;
vorrei be-
ne
, che apprezzaſſero ancor quelle, da cui ſi al-
lontanano
, e ſtimaſſero appartenere alla filoſofia
anche
ciò, che eſſi non ſanno.
Il che non volen-
do
eſſi fare, mi levano la ſperanza di veder
160136DELLA FORZA DE’ CORPI ſcritta mai da alcun di loro e formata quella bel-
la
immagine del filoſofo perfettiſſimo, che io tan-
to
deſidero.
La quale chi pur voleſse oggi vede-
re
in qualche modo adombrata, non veggo qual
altra
via tener poteſse, ſe non farlaſi egli da ſe
nell’
animo, riguardando molti e varj eccellenti
filoſofi
, e raccogliendo in uno le qualità e co-
gnizioni
di tutti, con che verrebbe in qualche
modo
formando quel perfettiſſimo che deſideria-
mo
:
come ſi legge di Zeuſi, che raccogliendo in-
ſieme
tutte le grazie di molte fanciulle Calabreſi,
formò
quella rara, e ſingolar bellezza, che ſtimò
poi
eſser degna di Elena.
E certo chi metteſse inſie-
me
tutte le eccellenze e tutte le perfezioni di Car te-
ſio
e di Leibnizio, aggiungendo loro le rare,
e
maraviglioſe cognizioni di Neuton, dopo cui
pare
, che il mondo non aſpetti più altro;
con que-
ſti
tre ſoli uomini formar ſi potrebbe un filo-
ſofo
, a cui non molto mancaſse.
E per laſciare i
trapaſsati
, quando io penſo a quella oneſta
e
nobile compagnia, nella quale io fui accolto
in
Napoli, ſiccome parmi, che quella ſorpaſsaſse
tutte
le altre compagnie del mondo in giocon-
dità
, in corteſia, in valore, così tengo per fer-
miſſimo
, che, ſe i pregi e le perfezioni di tutti
quelli
, che la componeano, ſi foſsero raccolti in
uno
, ſi ſarebbe fatto un filoſofo da potere para-
gonarſi
al perfettiſſimo.
Perciocchè ne al Signor
D
.
Serao mancava una ſomma perizia di medici-
na
, ne di anatomìa, ne d’ iſtoria naturale, ne
161137LIBRO II. qualſiſia altra parte della fifica, a cui aggiungeva
la
geometria e la meccanica, et una incredibile
eloquenza
.
Il Signor D. Niccola di Martino non
laſciava
deſiderar nulla di tutto ciò, che alle ma-
tematiche
ſcienze appartiene;
nelle quali eſſendo
così
eccellente, non è da domandare, ſe egli ſoſ-
ſe
maeſtro grandiſſimo in ſiſica;
era anche puro, e
ſemplice
, e chiaro nel dire, e tanto egli, quanto
il
Signor D.
Serao erano nella metaſiſica e nella
dialettica
non mediocremente verſati.
La Signora
Principeſſa
condiva tutte queſte ſcienze, che ot-
timamente
intendeva, di tanta ſoavità e grazia, e
così
fattamente le abbelliva, che non parean quaſi
belle
ſe non per lei ſola.
Il Signor Marcheſe di
Campo
Hermoſo, ſuperando già l’ età ſua, fa-
cea
ſperar di ſe ſteſſo ogni coſa.
Et io vi direi an-
che
più, e maggiori lodi di quella onoratiſſima,
e
nobiliſſima compagnia, ſe voi, Signor Giambati-
ſta
cariſſimo, vi foſte ſtato preſente, e l’ aveſte
veduta
con gli occhi voſtri;
che così non temerei,
che
vi poteſſer parere più grandi del vero ne ſo-
verchiamente
eſagerate.
Sebbene, eſſendovi voi
ſtato
preſente, troppo più avrei da dirne, doven-
do
dire anche di voi.
Ma vegniamo oramai al pro-
poſito
noſtro, dal quale io temo di eſſermi per
troppo
lungo ſpazio allontanato.
Venuta l’ ora
del
veſpro, et avendo la Signora Principeſſa fatto
ſignificare
, che ella era diſpoſta di uſcire, io e il
Signor
D.
Franceſco Serao fummo toſto alle ſue
ſtanze
, dove poco appreſſo vennero anche il
162138DELLA FORZA DE’ CORPI Marcheſe di Campo Hermoſo, e il Signor D. Ni-
cola
di Martino, il quale avendo, come tutti gli
altri
fecero, ſalutata con molta riverenza la Si-
gnora
Principeſſa, cavò fuori un libro, dicendo:
ecco, Signora, il libro, che voi deſiderate, che io ho
tratto
dalla biblioteca del Signor Governatore,
dove
era con alcuni altri di matematica.
Qual li-
bro
?
diſſe la Signora Principeſſa. Quello, riſpoſe
il
Signor D.
Niccola, del Padre Riccati, che io
ſtimo
aſſai, benchè al noſtro Signor Zanotti for-
ſe
non piaccia.
Perchè, diſs’ io, non dovrebbe
piacermi
?
che io lo ſtimo forſe più ancora, che voi
non
fate;
perchè voi lo ſtimate moltiſſimo, cre-
dendo
vere le opinioni, ch’ egli propone, et io,
lo
ſtimo ancor non credendole.
Io non ho ancor
detto
, riſpoſe il Signor D.
Niccola, che le opinio-
ni
del Padre Riccati Rieno vere;
e ſono anche
in
tempo di ſtimarlo così come lo ſtimate
voi
.
Ma a voi ſta intanto di ſciogliere le obbiezio-
ni
, che queſta mattina vi ſono ſtate propoſte.
Men-
tre
così tra noi ſi ragionava, la Signora Principeſ-
ſa
, che avea già preſo il libro in mano, e ſcorſo-
ne
in fretta alcuni capi, rivolta al Signor D.
Ni-
cola
gliel rendè, e diſſe:
recheretelo voſco in bar-
ca
;
perchè io voglio, ſe a voi altri piace, che noi
oggi
facciamo un piccol giro in mare, avendo per-
ciò
il Signor Governatore, come egli ſteſſo mi ha
detto
, fatto apparecchiare un naviglio, nel quale
noi
potremo comodiſſimamente ſeguire il ragiona.

mento
incominciato ſopra gli elaſtri, e dir
163139LIBRO II. lo, che reſta intorno alla quiſtione della forza vi-
va
.
Tutti condiſceſero volentieri al deſiderio del-
la
Signora Principeſſa, et io più che gli altri, a-
vendo
già cominciato a piacermi il mare.
Perchè
uſcimmo
tutti allegramente, e giunti a riva, tro-
vammo
quivi un picciol legno, il più leggero, e
il
più vago del mondo;
che oltre l’ eſſere forni-
to
d’ albero e di vela e di remi, era anche di pit-
ture
e di rilievi al di fuori leggiadramente orna-
to
, e dentro d’ ori e di ſete e di drappi guarnito,
che
non potea vederſi più bella coſa.
Non era
quaſi
mare, traendo allora un venticello ſoaviſſi-
mo
;
perchè entrati ſubito in nave, e fatto vela,
ci
allargammo alquanto nel ſeno, laſciando ad-
dietro
Napoli, e ſcoprendo dall’ altra parte l’ im-
menſa
vaitità del mare, che era belliſſimo a ve-
dere
per la gran frequenza delle barche, le quali
parte
andavano a Baja e venivano per ſervigi del-
la
Corte, che vi ſi aſpettava il vegnente;
e
parte
correvano a lor ſollazzo, avendo ſopra bel-
liffime
compagnie d’ uomini e di donne, che fa-
cevano
di tanto in tanto riſonar l’ aria d’ una gra-
ta
armonia colle trombe, e gli oboè.
Il ſole,
che
era aſſai alto, le percoteva co’ lucidiſſimi ſuoi
raggi
, e le rendeva ancor più vaghe.
Le quali co-
ſe
mirando io più attentamente degli altri, come
quello
, che men degli altri era avvezzo di vederle,
e’
mi par, diſſi, che queſte barche, e queſte rive
e
queſta ampiezza del mare ſieno tanto belle, che
ſi
faccia lor torto volendo rivolgere il penſiero
164140DELLA FORZA DE’ CORPI altro; e, non ſo come, parmi, che le iſteſſe Nereidi
ſe
ne offenderebbono.
Credetemi però, diſſe allo-
ra
la Signora Principeſſa, che non ſi avranno a
male
, ſe noi ritorneremo col penſiero agli elaſtri;
de’ quali, come avrete ſaziato la viſta di queſti al-
tri
oggetti, diſponetevi pure di ragionare:
io mi
vi
fo mallevadrice per le Nereidi.
Signora, riſpo-
fi
, io ve ne ho detto queſta mattina tutto quello,
che
io ne ſo.
Si, diſſe la Signora Principeſſa; ma
egli
vi reſta ancora di ſciogliere tutte le diſſicoltà,
che
queſti Signori vi hanno propoſte.
Ma eſſi, ri-
ſpoſi
io allora, non hanno fatto altro, che propor-
le
;
niente hanno provato; di che io poſſo ſpedir-
mi
da tutte breviſſimamente ſol col negarle;
e co-
riſpondendo, me ne viene anche un altro como-
do
, ed’ è, che non accade, ch’ io faccia la fatica di
ricordarmele
.
Oh queſta fatica la faremo ben noi,
diſse
allora la Signora Principeſsa;
e ſe queſti Si-
gnori
vorranno, come debbono, ſoſtenere le pro-
poſizioni
loro, e provarle;
non ſo poi, ſe vi ſpe-
direte
con tanta brevità.
E qui tratto fuori il fo-
glio
, in cui erano le figure, che avevamo la mat-
tina
deſcritte (il che ſimilmente fecero tutti gli al-
tri
) parmi, diſse, guardando alla figura ſeconda,
che
il Signor D.
Nicola abbia in primo luogo op-
poſto
, che le due ſerie EN, AC nel loro primo
aprirſi
dieno ai due globi N, e C lo ſteſso impul-
ſo
, e la ſteſsa velocità.
Non è egli così? Così è ve-
ramente
, diſse allora il Signor D.
Niccola; la do-
ve
egli voleva, che l’ uno impulſo foſse
165141LIBRO II. dell’ altro, e produceſse velocità quadrupla. Et
ho
anche aggiunto, non piacermi quella ſuppoſi-
zione
, ch’ egli facea;
cioè che gl’ impulſi delle
ſerie
ſieno iſtantanei, e diſgiunti l’ uno dall’ altro
per
certi piccoliſſimi intervalli;
levata la qual ſup-
poſizione
come potrà egli ſoſtenere, che la velcci-
del globo N giunto in r debba eſser quadrupla
della
velocità del globo C giunto in m?
che an-
zi
io dimoſtrerò eſſer doppia.
E ciò vuol dimo-
ſtrarſi
, ripigliai io, in maniera, che ſi intenda eſ-
ſere
neceſſaria agli elaſtri la forza viva di Leibnizio.
Chi non ſa, diſſe quivi il Signor D. Serao, tutti i
noſtri
ragionamenti eſſer rivolti a queſto?
E a que-
ſto
pure è rivolta quell’ altra difficoltà, che io ho
moſſo
, tratta da quella ſerie, che propoſe Ber-
nulli
negli atti di Lipſia, la quale allargandoſi
da
amendue le parti ſpinge e caccia due globi di-
ſeguali
.
Per proceder dunque con qualche or-
dine
, diſſe allora la Signora Prnicipeſſa, io
voglio
, che il Signor D.
Niccola eſponga prima,
e
provi la ſua difficoltà;
poi verremo a quella del
Signor
D.
Serao; diremo appreſſo qualche coſa
delle
leggi del moto;
giacchè anche di queſte è
ſtato
propoſto di dover dire.
E’ ſtato anche pro-
poſto
, ripigliai io, non ſo che intorno al prin-
cipio
della ſemplicità.
Oh di queſto, diſſe la Si-
gnora
Principeſſa, non voglio io, che più ſi ra-
gioni
;
perchè voi vi ſiete oſtinato in quella vo-
ſtra
opinione;
e mai non ſe ne verrebbe a capo.
Certo
che , riſpoſi;
perchè anche il Signor D.
166142Della forza de’ corpi Serao s’ è oſtinato nella ſua. Di che riſe la Si-
gnora
Principeſſa, indi volgendoſi al Signor D.
Niccola, or cominciate voi, diſse. Allora il Si-
gnor
D.
Niccola eſsendo ſopraſtato alquanto, a
me
rivolto così cominciò.
Io non da propor-
vi
coſa, che voi già non ſappiate;
ne altro dirò
poſe
Giovanni Bernulli in quella belliſſima ſcrit-
tura
, che ci laſciò ſopra le leggi della comuni-
cazione
del moto;
e cercherò di ſvolgerlo da quel-
le
curve, e da quei calcoli, di cui volle l’ uo-
mo
ingegnoſiſſi@o coprirlo et adornarlo, accioc-
chè
, ſe non la vaghezza, e la leggiadria della di-
moſtrazione
, ne ſentiate però la forza.
E per co-
minciar
d’ alto, e non laſciar’ a dietro coſa al-
cuna
di ciò, che è neceſsario alla dimoſtrazione;

dico
in primo luogo, che eſsendo lo ſpazietto
N
r, come voi ſteſso avete preſuppoſto, infinita-
mente
piccolo, la preſſione della ſerie EN ſarà in
tutto
queſto ſpazietto ſempre la medeſima:
il che
è
pur chiaro, perciocchè la preſſione tanto viene
a
fminuirſi, quanto la ſerie viene ad allargarſi;

allargandoſi
dunque la ſerie infinitamente poco
con
lo ſtenderſi da N fino in r, ne ſegue, che la
preſſione
venga infinitamente poco a ſminuirſi, e
però
poſsa averſi come ſe per tutto quello ſpaziet-
to
foſse ſempre la medeſima.
Ben’ è vero, che paſ-
ſando
dallo ſpazietto Nr all’ rs, e dallo rs allo st,
e
così agli altri infiniti fino in O, biſognerà te-
ner
conto di quello ſminuimento
167143Libro II. piccolo, che ſi fa in ognuno, acciocchè traſcuran-
dogli
tutti non veniſse a traſcurarſi una ſomma
aſsegnabile
, e troppo più grande, che non con-
viene
.
Seguendo dunque una licenza conceduta
da
i matematici, e non abborrita da i fiſici, noi
penſeremo
, che la preſſione della ſerie EN ſia ſem-
pre
quella ſteſsa per tutto lo ſpazietto Nr;
in r
poi
ſi diminuiſca alcun poco, e dopo tale dimi-
nuzione
duri la ſteſsa fino in s, e così di mano
in
mano.
E lo ſteſso vuol dirſi della ſerie AC, che
eſsendo
gli ſpazietti Cm, mn, no infinitamente pic-
coli
, dovrà crederſi, che la preſſione ſegua ad eſ-
ſere
la medeſima per tutto Cm;
in m poi ſoffra
una
diminuzione infinitamente piccola, dopo la
quale
ſi conſervi ſempre la medeſima fino in n;
e
così
le intervenga in tutti gli altri infiniti ſpaziet-
ti
fino in D.
Poſte queſte coſe, le quali dovrete
concedermi
, ſe già non volete far guerra a tutto
il
mondo, egli mi ſarà facile di dimoſtrarvi, che
la
velocità, che avrà il globo N giunto in r, ſa-
doppia di quella, che avrà il globo C giunto
in
m;
così veramente, che gli ſpazietti Nr, Cm ſi
ſuppongano
tali, quali gli avete ſuppoſti voi pu-
re
, cioè l’ uno quadruplo dell’ altro.
Senza par-
tir
così d’ alto, diſſi io allora, voi potevate co-
minciar
di qui;
perchè le altre coſe, che avete
innanzi
dette, quali che eſse ſieno, io era già diſ-
poſto
di concedervele, ne voleva far guerra a tut-
to
il mondo.
Ma ſenza fare così gran guerra io
nego
bene, che poſſa dimoſtrarſi, la velocità
168144Della forza de’ corpi globo N in r dovere eſſer doppia della velocità
del
globo C in m.
Piacemi, diſſe allora il Signor
D
.
Nicola, che voi mi concediate le coſe innanzi
dette
;
e per queſto appunto le ho dette, accioc-
chè
voi me le concedeſte.
Or come io dimoſtri
quello
, che voi dite non poter dimoſtrarſi, vel
vedrete
.
Egli è certo, che eſſendo la preſſion del-
la
ſerie EN per tutto lo ſpazietto Nr ſempre e con-
tinuamente
la ſteſſa, et eſſendo altresì la preſſione
della
ſerie AC ſempre, e continuamente la ſteſſa
per
tutto lo ſpazietto Cm, i due globi N e C così
dovranno
ſcorrere gli ſpazietti Nr, Cm, come
due
corpi gravi ſcorrerebbono due ſpazj altrettan-
to
lunghi, cadendo per eſſi a cagione della lor
gravità
.
Perciocchè che altro fa la gravità in due
corpi
, che cadono, ſe non quello ſteſſo, che fan-
no
le due ſerie nei globi N e C, cioè ſpingerli
con
una preſſione, la quale è ſempre, e continua-
mente
la ſteſſa?
La gravità ſpinge tutti e due i
corpi
all’ in giù;
le ſerie ſpingono i globi con
altra
direzione.
Ma la direzione che leva, quando
i
globi ſieno ſpinti all’ iſteſſo modo?
A intender
dunque
, come i due globi ſcorrano gli ſpazietti
N
r, Cm, niente altro ſi ricerca, ſe non che con-
ſiderarli
così appunto, come ſe tratti dalla gravi-
cadeſſero l’ uno da N in r, l’ altro da C in m,
applicando
loro quelle leggi, che ſappiamo alla
gravità
convenire.
Or ſecondo queſte leggi non
è
egli ſubito manifeſto, che eſſendo lo ſpazio Nr
quadruplo
dello ſpazio Cm, ſe il globo C
169145Libro II. do in m, vi mette un certo tempo, e acquiſta
una
certa velocità, il globo N cadendo in r, do-
vrà
mettervi tempo doppio, et acquiſtare doppia
velocità
, così che gli ſpazj ſcorſi ſieno propor-
zionali
ai quadrati delle velocità, come dei tem-
pi
?
Ed eccovi dimoſtrato non ſolamente quello,
che
ſi cercava, cioè la proporzione delle velocità,
che
hanno i globi, giunti eſſendo in r et m;
ma
anche
quello, che non ſi cercava, cioè la propor-
zione
de i tempi, in cui vi giungono.
Qui mo-
ſtrò
il Signor D.
Niccola di fermarſi; laonde la
Signora
Principeſſa, io avviſo, diſſe, che eſſendo lo
ſpazietto
Nr quadruplo dello ſpazietto Cm, quan-
do
le due ſerie degli elaſtri, ſeguendo i globi, ſi
ſaranno
allargate l’ una fino in r, l’ altra fino in
m, dovranno gli elaftri tutti dell’ una come
dell’
altra eſſer di nuovo egualmente dilatati;
e
così
potrà per la ſteſſa ragione dimoſtrarſi, che eſ-
ſendo
lo ſpazietto rs quadruplo dello ſpazietto mn,
dovrà
il globo N ſcorrendo da r in s acquiſtare
un’
altra velocità, che ſarà doppia di quella, che
acquiſterà
il globo C ſcorrendo da m in n, e do-
vrà
medeſimamente mettervi tempo doppio.
Il che
p
otendo pur dirſi di tutti gli altri fpazietti, che
reſtano
fino in O et D, par veramente che il glo-
bo
N giunto in O dovrà avere acquiſtata una ve-
locità
doppia di quella, che avrà acquiſtata il glo-
bo
C giunto in D, e dovrà eſſervi giunto in tempo
doppio
.
La qual dimoſtrazione fino ad ora mi par
tanto
chiara, che non ſo, come potrà il
170146Della forza de’ corpi Signor Zanotti farlami parere oſcura. Aggiungete,
diſſe
allora il Signor D.
Serao, che in queſta dimo-
ſtrazione
noi non abbiamo biſogno di que’ ſuoi in-
tervalli
, co’ quali egli interrompe l’ azione della
elaſticità
;
la quale noi facciamo continva, come
eſſer
dee, volendo che la ſerie EN ſpinga il globo
con
altri ed altri impulſi anche per tutto quel tem-
po
, che egli ſcorre da N fino in r, vie più affret-
tandolo
;
ne mai lo laſci ſcorrere di moto equa-
bile
:
e lo ſteſſo ſimilmente diciamo della ſerie A C.
Perchè a dire la verità il volere, che gli elaſtri die-
no
un’ impulſo, e poi ſi rimangano per alcun
tempetto
, paſſato il quale dieno un’ altro impulſo,
e
ſi rimangan di nuovo;
parmi un’ immaginazio-
ne
ſtrana, e tutta capriccioſa, e degna più toſto
dell’
ingegno di un poeta, che della ſerietà di un
filoſoſo
.
Io non ho detto, ripreſi io allora, che
le
potenze, come la gravità, l’elaſticità, e le altre
agiſcano
veramente con quegl’ intervalli, ne che
ſi
frappongano all’ azion loro infinite ceſſazioni e
dimore
.
Ho ben detto, che potrebbono le poten-
ze
agire di queſto modo, e ſto anche attendendo,
che
mi ſi moſtri, quale incomodo veniſſe alla na-
tura
per quegl’ infiniti ripoſi.
Che biſogno ha la
natura
, diſſe allora il Signor D.
Serao, di ripoſarſi
di
tanto in tanto?
Che biſogno ha, riſpoſi io, di
affaticarſi
continvamente ſenza prendere ripoſo mai?

Che
ſe noi vorremo ſeguire l’ opinione di quel
filoſofo
, che dicevate queſta mattina, il qual ſi
ſtudia
di dare alla natura il men di azione che
171147LIBRO II. io non ſo, come poſſan negarſi alle potenze quel-
le
breviſſime ceſſazioni, ch’ io vorrei loro conce-
dere
.
E voi vedete, che il Signor D. Niccola, ſe-
guendo
l’ingegnoſiſſimo Bernulli, ſe non ha frap-
poſto
alcun intervallo alla preſſion degli elaſtri,
che
egli ha conſiderata come perfettamente contin-
va
, ne ha però frappoſto alla diminuzione;
vo-
lendo
, che la preſſione da N fino in r ſi abbia ſem-
pre
per eguale, e ſolo ſi ſminuiſca un poco in r,
e
così ſminuita torni di nuovo ad eſſere ſempre
eguale
fino in s:
il che è frapporre degl’ intervalli,
ſe
non alla preſſione, certo allo ſminuimento.
,
riſpoſe
il Signor D.
Serao; ma queſti intervalli
non
ſon già veri e reali, come i voſtri;
volendo
il
Signor D.
Niccola, che la preſſione non ſia già
perfettamente
eguale in tutto lo ſpazietto Nr, ma
bensì
che poſſa prenderſi come eguale;
percioc-
chè
lo ſminuimento, che ſi fa di eſſa in tutto quello
ſpazio
, è tanto picciolo, che può nelle comuni mi-
ſure
e con la mente traſcurarſi.
Che mal ſarebbe,
riſpoſi
io, ſe la natura aveſse traſcurato ciò, che
egli
traſcura con la mente?
e che aſſurdo ne ver-
rebbe
, ſe foſſer veri e reali quegl’ intervalli, che
noi
poſſiam fingere ſenza aſſurdo?
Ma che giova a
noi
fermarci in coſa lieve, e che poco ſerve a in-
tender
la forza del ragionamento del Signor D.
Ni-
cola
;
il qual ragionamento io ſto avidamente aſ-
pettando
, come egli ſel voglia finire.
Il ragiona-
mento
è già finito, diſſe il Signor D.
Niccola; ne
io
veggo, che coſa voi vi aſpettiate.
10
172148DELLA FORZA DE’ CORPI diſſi, che voi mi dimoſtriate, come per le coſe,
che
avete dette, non debba baſtar negli elaſtri la
potenza
producitrice del movimento, e nei globi
l’
inerzia;
ma debba aggiungerviſi la forza viva di
Leibnizio
.
Perchè ſe voi non dimoſtrate queſto,
io
potrò, concedendovi tutto quello, che avete
detto
, aver vinta la cauſa.
10 non credeva, riſpo-
ſe
il Signor D.
Nicola, che voi aſpettaſte da me
una
dimoſtrazion così facile;
ma poichè pur vo-
lete
, et io vedrò di ſatisfarvi.
Quattro ſono le
potenze
, o vero gli elaſtri, che compongono, co-
me
vedete, la ſerie EN;
la ſerie AC è compoſta
di
uno ſolo;
ſe dunque gli effetti debbono eſſere
proporzionali
alle cagion loro, biſognerà ben dire,
che
la ſerie EN debba produrre un’ effetto quadru-
plo
di quello, che produce la ſerie AC.
Ora la
velocità
del globo N non è quadrupla della velo-
cità
del globo C, avendo io dimoſtrato, che ella
è
doppia;
ne ſegue dunque, che le velocità dei glo-
bi
non poſſano eſſer gli effetti delle due ſerie.
Qua-
li
dunque ſaran gli effetti, ſe non due forze pro-
dotte
ne’ globi N e C, la prima delle quali ſia
quadrupla
dell’ altra;
cioè la prima ſia 4, l’
altra
1?
Che ſe la forza del globo N è 4, eſſendo
la
velocità 2, e la forza del globo C è 1, eſſendo
la
velocità ſimilmente 1, ben vedete che tali for-
ze
ſaranno appunto proporzionali ai quadrati del-
le
velocità, e ſaran per conſeguente quelle ſteſſe,
che
già propoſe con tanta pompa Leibnizio, ſo-
ſtenute
poi dal ſottiliſſimo Bernulli con
173149LIBRO II. non minore. Ecco finito, ciò che tanto deſidera-
vate
, il mio ragionamento;
nel quale io non ho
voluto
altro, che eſporvi una famoſa dimoſtrazio-
ne
, la qual tanto piacque a Bernulli, che non du-
bitò
di anteporla quaſi a tutte l’ altre;
et a voi
forſe
ſarebbe maggiormente piaciuta, ſe io aveſ-
ſi
potuto abbellirla di quel leggiadro calcolo, di
cui
egli la ornò;
ma vi baſti averne inteſa la forza.
A me ſarebbe piaciuto il calcolo, diſſe allora la
Signora
Principeſſa;
ma più m’ è piaciuto il non
averne
biſogno.
Indi a me rivolta, a voi ſta,
diſſe
, di combattere ora la dimoſtrazione del
Signor
D.
Niccola; il che voglio, che facciate
con
tutto lo sforzo, perchè a dirvi la verità, io
comincio
già ad eſſerne quaſi preſa.
Signora, riſ-
poſi
, voi mi invitate a combattere, e nello ſteſ-
ſo
tempo mi levate il coraggio.
E non baſtava,
che
io aveſſi da vincere l’autorità d’un così grand’
uomo
, come Bernulli è che voi volete aggiun-
gervi
ancor la voſtra?
Mi ſpaventerebbe anche l’
autorità
del noſtro Signor D.
Nicola, ſe io cre-
deſſi
, che egli foſſe così perſuaſo della ſua dimo-
ſtrazione
, come ha voluto farci creder, ch’ e’ ſia.

Ma
io credo, che egli ne ſia perſuaſo aſſai poco;

ne
poſſo immaginarmi, che egli voglia conten-
dere
con un ſuo fratello tanto caro, il quale
ſtampò
già quel belliſſimo libro ſopra la forza vi-
va
, e ſoſtenne quella opinione, che ſoſtengo io,
benchè
ſotto altri termini, e d’ altra maniera.

Non
rinoviamo, diſſe allora il Signor D.
174150DELLA FORZA DE’ CORPI la, la memoria funeſta di una morte, che troppo
mi
amara.
E amara anche a me, riſpoſi io
allora
;
e credo, che foſse a tutta Italia; perchè
io
veramente perdetti un grande amico, e l’ Ita-
lia
una gran ſperanza.
Allora la Signora Princi-
peſsa
, a me pur, diſse, doloroſa oltremodo la
morte
di quel giovane;
ma non vorrei, che voi
con
ſi pietoſe rimembranze, o diſtornaſte il di-
ſcorſo
, o procuraſte di guadagnar l’ animo del
Signor
D.
Niccola, e lo rendeſte più lento a re-
ſiſtervi
.
Signora, diſse il Signor D. Niccola, io
ho
poco da reſiſtere, perchè la dimoſtrazione, di
cui
ſi tratta, non è mia, ma di Bernulli;
pure do-
ve
mi parrà di poter ſoſtenerla, io non ricuſo di
farlo
.
Allora io incominciai: Due coſe princi-
palmente
vogliono dimoſtrarſi in coteſto argomen-
to
di Bernulli.
L’ una ſi è, che la velocità del
globo
N, giunto in r, ſia doppia della velocità
del
globo C, giunto in m.
L’ altra, che, eſsen-
do
doppia, debba per ciò introdurviſi la forza vi-
va
.
Non ſon queſte quelle due coſe, intorno a
cui
volgeſi tutto l’ argomento?
Così è, diſse il
Signor
D.
Niccola. Or queſte, ſoggiunſi io, ſon
quelle
appunto, che io dico, non eſsere ancora
abbaſtanza
dimoſtrate.
E qui rivoltomi alla Si-
gnora
Principeſsa, vedete, diſſi, che io non fo
lungo
giro.
Eſporrò in primo luogo quello, che
io
deſidero nella dimoſtrazione della prima del-
le
due ſopraddette coſe;
poi verrò all’ altra, ſe
vi
piacerà.
Mi piacerà grandemente, diſse
175151LIBRO II. la Signora Principeſſa, di udire e dell’ una, e
dell’
altra.
Et io ſubito ripigliai a queſto modo:
Se io ho bene inteſo, non per altra ragione ci di-
moſtra
il Signor D.
Niccola, che la velocità del
globo
N giunto in r ſia doppia della velocità del-
globo
C giunto in m, ſe non perchè egli vuole
conſiderar
queſti globi, come due corpi gravi ca-
denti
, l’ uno da N in r, l’ altro da C in m, et
applicar
loro le leggi notiſſime della comune gra-
vità
, laſciateci da Galileo.
Ma chi non ſa, che
queſte
leggi voglion ſupporre, et hanno per lor
precipuo
fondamento, che i corpi, le cui cadu-
te
vogliono paragonarſi, partano tutti dalla quie-
te
con la medeſima velocità?
la qual ſuppoſizio-
ne
ſe noi leveremo via, ſaran levate ancor quel-
le
leggi;
ne più ſi troveranno gli ſpazj proporzio-
nali
ai quadrati ne delle velocità ne dei tempi.
A
far
dunque valere le leggi della gravità ne’ due
globi
N, e C, par, che doveſſe dimoſtrarſi in pri-
mo
luogo, che eſſi globi partiſſero dalla quiete,
cioè
dai punti N e C con la ſteſſa velocità amen-
due
.
La qual coſa non avendo il Signor D. Ni-
cola
dimoſtrata, ne quello pure ha dimoſtrato che
ſi
volea;
e quanto a me io ne dubiterò, finchè
egli
la dimoſtri.
10 non l’ ho dimoſtrata, diſſe il
Signor
D.
Niccola, perchè non la dimoſtra ne
Bernulli
pure, la ragion del quale ho io voluto eſ-
porvi
, e non altro.
10 dunque, riſpoſi, ne dubiterò,
finchè
me la dimoſtri Bernulli.
Riſpoſe allora ſor-
ridendo
il Signor D.
Niccola: Bernulli non l’
176152DELLA FORZA DE’ CORPI dimoſtrata, perchè non ha creduto, che ne foſ-
ſe
biſogno.
Di fatti come potrebbono non eſſe-
re
eguali le velocità, con cui ſi partono i globi
dai
punti N e C, eſſendo eguali gl’ impulſi, che
quivi
ricevono l’ uno dalla ſerie EN, l’ altro dal-
la
ſerie AC?
E queſto è quello, riſpoſi io, che
pur
biſognerebbe dimoſtrare, cioè, che quel pri-
mo
impulſo, con cui la ſerie EN aprendoſi cac-
cia
il globo dal punto N, ſia eguale a quel pri-
mo
impulſo, con cui l’ altra ſerie AC, pure a-
prendoſi
, caccia l’ altro globo dal punto C.
Oh,
diſſe
allora il Signor D.
Niccola, non è egli chia-
ro
, che le due ſerie prima di aprirſi, quando ſta-
vano
ferme, e chiuſe, premeano i globi egual-
mente
, ſpingendoli ciaſcuna di loro con eguali
impulſi
?
levata dunque quella potenza, che le te-
nea
chiuſe, e ferme, fuggiranno via i globi cac-
ciati
da impulſi eguali, e così comincieranno a
correre
con eguali velocità.
A dir vero, riſpoſi
io
allora, queſta dimoſtrazione io non aſpettava,
e
parmi, che aſſai ben facciano quelli, che la paſ-
ſano
in ſilenzio, troppo eſſendo facile il riſpon-
derle
.
Perchè io veramente concedo, che le due
ſerie
prima di aprirſi, eſſendo chiuſe, e ferme,
ſpingono
i globi con eguali impulſi;
ma vorrei,
che
mi ſi dimoſtraſſe, che gli ſpingano con egua-
li
impulſi eziandio nell’ aprirſi;
perciocchè i glo-
bi
fuggon via, e mettonſi in cammino, non per
quegl’
impulſi, che ebbero prima, che le ſerie ſi
apriſſero
, ma per quelli, che hanno, mentre ſi
177153LIBRO II. prono. Per qual ragione, diſſe allora il Signor D.
Niccola, dovranno gl’impulſi, che, eſſendo chiu-
ſe
le ſerie, erano eguali, divenir diſeguali, mentre
ſi
aprono?
Pareva in queſta conteſa, che il Signor
Marcheſe
di Campo Hermoſo ſi inclinaſſe alla mia
opinione
, e udita la domanda ultima del Signor
D
.
Nicola aveſſe pur voglia di riſpondergli. Perchè
io
a lui rivolto il pregai di voler dire;
et egli mo-
deſtamente
, ſecondo il coſtume ſuo, a me par, diſ-
ſe
, che eſſendo chiuſe le ſerie, e tenute ferme da
quelle
potenze, che tengono fermi i globi, gli ela-
ſtri
di ciaſcuna ſi ſoſtengan l’ un l’ altro, ne agiſca
contra
il globo ſe non un’ elaſtro ſolo, che è quel
primo
, che tocca il globo ſteſſo.
E quindi è, che
qualunque
ſia il numero degli elaſtri, onde l’una,
o
l’ altra ſerie ſi compone, finchè eſſe ſi ſtanno
chiuſe
, ſpingono amendue i globi egualmente.
Ma
ſe
ſi aprono, allora gli elaſtri più non ſi ſoſtengon
l’
un l’ altro, ma ſcorrono tutti dalla parte del
globo
, e tutti lo ſpingono;
e quindi è, che nell’
aprirſi
più ſpingerà quella ſerie, che ſarà compoſta
di
più elaſtri;
e ſe una ſarà compoſta di un elaſtro
ſolo
, et un’ altra di quattro, dovrà queſta nell’ a-
prirſi
dare al globo un’ impulſo quattro volte mag-
giore
di quella, quantunque prima di aprirſi ſpin-
geſſero
amendue egualmente.
E poichè v’ è pia-
ciuto
di chiamarmi in una controverſia così ſotti-
le
, benchè le mie ragioni non poſſano aggiunger
niun
peſo alle voſtre, pur ne dirò una, che mi va
ora
per l’ animo, ed è queſta.
Secondo che
178154DELLA FORZA DE’ CORPI mi avete queſta mattina inſegnato, gli elaſtri, di
cui
ragioniamo, e che il grandiſſimo Bernulli pro-
poſe
, non ſono ne materiali, ne corporei;
in ſom-
ma
non ſono elaſtri;
ma ſono preſſioni, le quali
noi
chiamiamo elaſtri;
e queſte preſſioni non aven-
do
alcun altro ſoggetto, in cui ſuſſiſtano, dee in-
tenderſi
, che ſieno immediatamente applicate al glo-
bo
ſteſſo.
Or dunque dicendoſi, che nell’ aprirſi
la
ſerie EN, ſi ſcagliano quattro elaſtri verſo il
globo
N, dovremo intendere, che quattro preſ-
ſioni
immediatamente aſſaliſcano il gobo N, eſſen-
do
il globo C aſsalito da una ſola;
onde pur ſegue,
che
quadruplo debba eſſer l’ impulſo del globo N;
e quadrupla altresì la velocità. Ma laſciamo ſtar
queſto
;
che poco monta. Ben mi pare, che ſe i due
globi
partono dalla quiete con due velocità diſe-
guali
, l’ una quadrupla dell’ altra;
a voler conſide-
rargli
, come moſſi da alcun genere di gravità, bi-
ſogni
dire, che abbiano due gravità diverſe, l’ una
quadrupla
dell’ altra.
Onde ſegue (ſecondo che di-
cevamo
queſta mattina ) che eſsendo lo ſpazio Nr
quadruplo
dello ſpazio Cm, debba il globo N, avere
in
r, velocità quadrupla di quella, che avrà il globo
C
in m;
non dunque doppia, come vogliono i Ber-
nulliani
;
i quali molto mi meraviglio, che non
abbian
curato di dimoſtrare coſa tanto neceſſaria,
cioè
che i globi N, e C partano dalla quiete con
la
medeſima velocità.
Vedete, diſſi io allora, ſe
era
coſa neceſſaria.
Il valoroſiſſimo Eraclito Man-
fredi
, del quale avrete udito dire aſſai volte,
179155LIBRO II. dico, fra quanti ne ha Italia, chiaro et illuſtre, e@
oltre
a ciò geometra molto deſtro, e degno de i due
famoſi
fratelli Euſtachio, e Gabriello, preſe, alquan-
ti
anni ſono, nell’ Accademia di Bologna a conſi-
derare
quella dimoſtrazione, che ſotto un’ elegan-
te
calcolo eſpoſe Bernulli, e poco fa ci ha eſpoſta
il
Signor D.
Niccola ſenza calcolo. Aveva Bernul-
li
in quella ſua artificioſa ſupputazione chiamato
p quella preſſione, con la quale aprendoſi una
ſerie
urta un globo;
e chiamando altresì p la
preſſione
, con cui ſpiegandoſi un’ altra ſerie urta
un’
altro globo, aveva dimoſtrato con ciò, che
egli
avea per egualiamendue quelle preſſioni, quan-
tunque
le ſerie da lui propoſte foſſero diſeguali.
E di qui cominciando, avea poi teſſuto certo calco-
lo
, che ſecondo l’intendimento ſuo, non ſenza
offeſa
de Carteſiani, lo conduceva all’ opinion di
Leibnizio
.
Il Manfredi ſeguendo le iſteſſe orme, non
mutò
altro, ſe non che l’ una delle dette preſſioni
chiamò
p, l’ altra np, moſtrando con ciò di non a-
verle
per eguali, ma bensì per proporzionali alle
ſerie
ſteſſe;
e con queſto ſolo fraſtornò tutto quel
calcolo
di maniera, che diſtogliendolo dall’ opinion
di
Leibnizio gli acquiſtò l’ amicizia e la grazia de
Carteſiani
.
Il che pur fece quaſi allo ſteſſo tempo il
Padre
Negri Barnabita matematico aſſai illuſtre
in
Milano.
Tanto era neceſsario a Bernulliani il
dimoſtrar
l’ uguaglianza di que’ due primi impul-
ſi
, con cui le ſerie cacciano i globi nel loro aprir-
ſi
.
E di vero tolta una tale uguaglianza, io
180156DELLA FORZA DE’ CORPI qualſiſia uomo del mondo a dimoſtrarmi, che la
velocità
del globo N giunto in r debba eſser dop-
pia
della velocità del globo C giunto in m.
Voi
fate
, diſse il Signor D.
Niccola, come quello,
che
involò le arme al compagno, e poi sfidollo a
combattimento
;
così voi avete involata a Bernul-
liani
l’ uguaglianza dei due primi impulſi, e poi
gli
chiamate a dimoſtrar ciò, che ſenza quella di-
moſtrare
non ſi potrebbe.
Se tale uguaglianza, riſ-
poſi
, era loro così neceſsaria, perchè dunque non
affidarla
a qualche dimoſtrazione, onde non poteſ-
ſe
eſsere involata ſi facilmente?
Ma ( vedete ſe io
ſon
litigioſo ) voglio concedere, e concedo l’ ugua-
glianza
de’ primi impulſi:
mi ſi dimoſtrerà egli
per
ciò, che la velocità del globo N, giunto in r,
debba
eſſer doppia della velocità del globo C,
giunto
in m?
io nol credo già. Voi mi parete,
diſſe
allora il Signor D.
Niccola, egualmente li-
tigioſo
, e concedendo, e negando.
Ma ditemi;
non
è egli vero, che le preſſioni delle due ſerie ſe-
guon
ſempre ad’ eſſer le medeſime, l’ una da N fino
in
r, l’ altra da C fino in m?
Così è veramente, riſ-
poſi
, eſſendo li ſpazietti Nr, Cm infiniteſimi.
E ſe
è
così, ripigliò il Signor D.
Nicola, dovranno i
globi
ſcorrere li ſpazietti Nr, Cm, come ſe foſſero
tratti
amendue dalla comune gravità giacchè voi
ora
pur concedete, le prime velocità, con cui ſi
partono
dalla quiete, eſſere eguali tra loro;
eſ-
ſendo
eguali i primi impulſi.
Dunque oſſerveran-
no
le leggi della comune gravità.
Dunque la
181157LIBRO II. locità del globo N giunto in r, dovrà eſſer dop-
pia
della velocità del globo C giunto in m, eſſen-
do
Nr quadruplo di Cm.
E queſto è quello, riſ-
poſi
, che biſognerebbe dimoſtrare.
E non vi par
egli
dimoſtrato?
diſſe il Signor D. Niccola. Et io
riſpoſi
:
io concedo, che la gravità inſeguiſce i cor-
pi
, allorchè cadono, con una preſſione continva,
e
ſempre eguale;
e concedo altresì, che l’ elaſti-
cità
delle due ſerie inſeguiſce i globi per li ſpa-
zietti
Nr, Cm con una preſſione, continua eſſæ
pure
, e ſempre eguale.
Ma da ciò che ne viene@
Ne
vien, diſſe il Signor D.
Niccola, che la elaſti-
cità
delle ſerie, ſpingendo i globi, oſſerverà quelle
ſteſſe
leggi, che oſſerva la gravità;
e così i glo-
bi
, ſcorrendo gli ſpazj Nr, Cm, avranno le
velocità
proporzionali ai tempi, e ſcorreranno ſpa-
zj
proporzionali ai quadrati delle velocità, e ſa-
la velocità dell’ uno, giunto in r, doppia del-
la
velocità dell’ altro giunto in m.
Ne di ciò po-
tete
voi dubitare, ſe già non volete prender lite
con
tutti i filoſofi.
Non temerei, riſpoſi, di pren-
der
lite con tutti, avendola preſa con voi;
ma ſen-
za
lite, io dimando folamente, fe la gravità oſſer-
vi
quelle leggi, che avete detto, per queſta ragio-
ne
, perchè adopra ne corpi una preſſione contin-
va
ſempre et eguale, o per altra ragione, qual
che
ella ſiaſi.
Che monta a voi, diſse il Signor D.
Niccola, di ſapere, per qual ragione la gravità
oſservi
quelle tali leggi?
ſe pur le oſserva, non è
da
cercare altro.
10 cerco, diſſi, la ragion di
182158DELLA FORZA DE’ CORPI ſervarle, ne credo di aver torto; perchè ſe la gra-
vità
oſserva quelle ſue leggi per queſta ragione,
che
adopra ne corpi una preſſione continva ſem-
pre
, et eguale, ne viene, che ogni altra potenza,
la
quale ſimilmente adopti una preſſione contin-
va
ſempre et eguale, dovrà oſservare le iſteſse
leggi
;
ma ſe la gravità le oſserva, non per quel-
la
ragione, ma per qualche altra, che noi forſe
non
ſappiamo, potrà certamente dubitarſi, che al-
cun’
altra potenza, quantunque adopri una preſ-
ſion
continva, et eguale, non però oſſervi quelle
medeſime
leggi.
Benchè dunque l’ elaſticità delle
ſerie
ſpinga i globi per li ſpazietti Nr, Cm con
una
preſſion continva et eguale, il che io vicon-
cedo
, non è perciò dimoſtrato, che ella debba ſe-
guire
le leggi della gravità;
perchè la gravità iſteſ-
ſa
le ſegue non forſe per la continvazione, et u-
guaglianza
della preſſion ſua, ma per altro.
Qui
il
Signor D.
Serao, che fino ad ora s’ era taciuto,
voi
, diſse, ſiete il più eccellente uomo del mondo
a
dubitare;
ne credo, che Socrate, il qual diceſi
eſsere
ſtato tanto valoroſo in queſt’ arte, vi avan-
zaſse
.
Ma per qual’ altra ragione volete voi, che
la
gravità ſegua quelle ſue leggi, ſe non per eſser
continva
et eguale la ſua preſſione?
A me par cer-
to
, diſse quivi la Signora Principeſsa, che ſe nel
corpo
, che cade, la velocità è ſempre proporzio-
nale
al tempo (la qual può dirſi la prima e prin-
cipal
legge della gravità) ciò debba ſeguire, per-
chè
eſsendo la preſſione ſempre eguale, tanto
183159LIBRO II. di velocità dee produrre, quanto più tempo ella du-
ra
;
onde egli ſi par bene, che queſta legge naſca non
d’
altro che dalla continvazione della ſteſſa preſ-
ſione
nel tempo.
Non vi diſpiacerà, o Signora,
diſſi
io quivi, che io vi contradica;
perchè io cre-
do
, che voi per queſto appunto abbiate propoſta
una
tal ragione.
Qui ſorridendo la Signora Prin-
cipeſſa
, pur, diſse, che riſpondete?
10, diſſi, non
riſpondo
altro;
ſe non che domando, ſe la preſ-
ſione
della gravità, ſiccome è continva e ſempre e-
guale
per tutto il tempo della caduta, così pari-
mente
ſia continva et eguale per tutto lo ſpazio.
Perchè domandate voi queſto? diſſe la Signora
Principeſſa
.
Perchè, riſpoſi, ſe l’ azione ovvero
preſſione
della gravità è continva e ſempre egua-
le
per tutto lo ſpazio, e però non produce una
velocità
proporzionale allo ſpazio;
perchè non po-
trebbe
ella eſſer ſimilmente continva et eguale per
tutto
il tempo, e non produr tuttavia una velo-
cità
proporzionale al tempo?
E ſe la produce pro-
porzionale
al tempo, biſogna ben dite, che il fac-
cia
non per quella continvazion ſempre eguale,
ma
per altra ragione, che non ſappiamo.
Voi
dunque
, diſſe allora la Signora Principeſſa,
volete
rigettare una ragione, che tutti ab-
bracciano
, per ſeguirne un’ altra, che voi ſteſſo
dite
di non ſapere! Ma come è queſto, che l’ azion
della
gravità, eſsendo ſempre eguale in ſe ſteſsa,
non
debba ſtimarſi tanto maggiore, quanto più
lungo
è il tempo, per cui dura?
I più
184160DELLA FORZA DE’ CORPI riſpoſi io, così la ſtimano; ma ſe io voleſſi ora la-
ſciarmi
vincere dall’ autorità, mi laſcierei vineere
dalla
voſtra;
e così ſarebbe trà noi finita ogni diſ-
puta
.
Sappiate però, che il Padre Riccati, che voi
avete
già cominciato a ſtimar tanto, e più ancora
lo
ſtimerete, come avrete letto il ſuo libro, mi-
ſura
l’ azione della gravità non dal tempo ma dal-
lo
ſpazio;
benchè poi voglia, che non la veloci-
ſi produca da quella azione, ma una certa ſua
forza
viva.
Tanto è vero, che quantunque l’ azio-
ne
della gravità ſia continva et eguale nel tempo,
non
per queſto però ſi dimoſtra, che debba ne el-
la
ne l’ effetto ſuo miſurarſi dal mpo ſteſso.
Voi
dunque
, diſse allora la Signora Principeſsa, ſe al-
cuno
vi pregaſse di dimoſtrargli, che la velocità
ne
i gravi debba eſsere proporzionale al tempo,
non
ſapreſte, come farlo.
10 il ſaprei , riſpoſi,
ſe
voi non aveſte dato ordine a queſti Signori di
contradirmi
;
perchè io direi, che la preſſione del-
la
gravità ſi compone di inſinite preſſioni iſtanta-
nee
, tutte tra loro eguali, e tutte trà loro diſgiun-
te
per intervalli e tempetti eguali;
e ſpiegata così
la
gravità, ſi vedrebbe chiaro, che tanto maggio-
re
debba eſſere l’ azion ſua, e per conſeguente an-
che
la velocità, che per lei ſi produce, quanto è
maggiore
il numero delle preſſioni iſtantanee, cioè
quanto
è maggiore il numero degl’ intervalli, che
è
lo ſteſſo che dire, quanto è più lungo il tempo.
Ma queſti Signori non vogliono ne le preſſioni
iſtantanee
, ne gl’ intervalli.
Ed ecco il frutto
185161LIBRO II. aver voi voluto, che mi contradicano; che eſſi
per
ſervirvi ſi hanno poſto nell’ animo di contra-
dirmi
in ogni coſa.
Allora la Signora Principeſ-
ſa
ridendo, ſe io, diſſe, ho voluto, che eſſi vi
contradicano
, ho anche voluto, che voi vi difen-
diate
;
ma ſe voi non volete valervi di quei voſtri
intervalli
, voi laſciate ſenza dimoſtrazione le leggi
della
gravità, delle quali per ciò dovrà ognuno po-
ter
dubitare.
No Signora, riſpoſi; perchè ſenza i miei
intervalli
, e ſenza niuna altra dimoſtrazione,
le
ha dimoſtrate abbaſtanza l’ eſperienza;
la
quale
ſe come le ha dimoſtrate nella gravità, così
le
aveſse dimoſtrate anche nella elaſticità, io non
dubiterei
di ammetterle e nell’ una e nell’ altra;
ma avendole l’ eſperienza dimoſtrate in quella, e
non
in queſta, io credo di potere ammetterle in
quella
, ſenza eſsere per ciò obbligato di ammetter-
le
anche in queſta.
Voi dunque, diſſe allora il Si-
gnor
D.
Serao, non confidate niente alla analo-
gia
.
Che dite voi di analogia? riſpoſi io. Ed egli,
parmi
, diſſe, che ſe l’ elaſticità delle due ſerie EN,
AC
è pur ſimile alla gravità in queſto, che ſpin-
gendo
i globi per gli ſpazj Nr, Cm, adopra in
eſſi
una preſſione eguale e continva, le debba an-
che
per una certa analogia eſſer ſimile in tutto il
reſtante
, e così oſſervare le iſteſſe leggi.
10 ſto a
vedere
, che voi vorrete mettere in dubio anche
il
principio della analogia, di cui oggi tutti ſi ſer-
vono
, e l’ hanno quaſi per lo primo e principal
fondamento
della fiſica;
così che ormai
186162DELLA FORZA DE’ CORPI vergogna il dubitarne. Io m’ accorgo, riſpoſi, che
voi
avete paura, che io ne dubiti;
e con ciò di-
moſtrate
di dubitarne un poco anche voi;
ma a
dirvi
il vero io credo, che queſta analogia ( che
così
la chiamano con nome greco, ne ſo quanto
bene
) ſia un luogo pericoloſiſſimo, da cui ſi trag-
gono
argomenti talvolta di qualche peſo, ſpeſſiſſi-
mo
di niuno.
Perciocchè ella è poſta non in altro,
che
in una certa ſimilitudine, che alcuni voglion
ſupporre
, che ſia in tutte le coſe tanto grande,
quanto
mai eſſer può.
E così conoſciutone due,
che
ſieno ſimili alcun poco, facilmente ſi induco-
no
a credere, che debbano eſſer ſimili in tutto;
e tutte le proprietà, che trovano in una, non han-
no
diſſicoltà di attribuirle anche all’ altra.
Il che
oggimai
è tanto innanzi proceduto, che molti han-
no
creduto dover eſſer degli uomini nella luna, ſo-
lo
perchè eſsendo la luna ſimile alla terra, inquanto
ha
delle montagne, penſano, che debba eſserle ſimile
in
ogni altra coſa.
Al quale argomento ſe noi vo-
leſſimo
tener dietro, biſognerebbe mettere nella
luna
ancor le maſchere e i teatri.
Sapete, quante
novelle
, valendoſi della analogia, perſuaſe già il leg-
giadro
franceſe a quella ſua giovinetta.
Per quel
ch’
io veggo, diſse allora il Signor D.
Serao, voi
ſiete
un gran nemico della analogia.
Ma pur par-
mi
, che la ſimilitudine, in cui eſsa è fondata, mol-
to
ſi convenga alla natura.
E perchè, riſpoſi, non
le
converrebbe altrettanto la varietà?
Perchè, diſ-
ſe
il Signor D.
Serao, le coſe ſono più belle
187163LIBRO II. cendoſi a una certa ſimilitudine, e quaſi a una for-
ma
ſola.
Et a me, diſſi, pajon più belle per quel-
le
tante, e così varie forme, che hanno.
Ma ben
m’
accorgo, che voi volete farmi diſubbidire alla
Signora
Principeſsa, traendomi così a poco a po-
co
nel diſcorſo della ſemplicità, della quale l’ ana-
logia
è come una conſeguenza.
Io dunque per non
commettere
così grave colpa, dirò della analogia
brevemente
, ſenza toccare il principio della ſem-
plicità
, e ſol quanto baſta per riſpondere all’ ar-
gomento
da voi propoſto.
Io dico dunque, che
argomentando
dall’ analogia, ſi argomenta aſsai
bene
e con qualcheprobabilità, ſeconoſcendo noi,
due
coſe eſſer ſimili in moltiſſime proprietà, così
che
pajano d’ un’ iſteſsa ſpezie, concludiamo, do-
vere
eſser ſimili anche in una proprietà, che ſap-
piamo
convenire all’ una, et è quiſtione, ſe conven-
ga
anche all’ altra;
e così da molte proprietà argo-
mentiamo
di una.
L’ argomento però ſarebbe aſsai
debole
, ſe da una voleſſimo argomentar di molte.
E per venire al propoſito io non ſo in verità, con
quanta
ſicurezza conchiuder ſi poſsa, che due po-
tenze
eſsendo ſimili in queſta ſola proprietà di e-
ſercitar
amendue una preſſione continva et eguale,
debban
per ciò eſser ſimili in tutte;
e perchè l’una
produce
le velocità proporzionate ai tempi, così
debba
far’ anche l’ altra.
Senza che dalla analo-
gia
può naſcere probabilità alcuna, non può mai
naſcere
alcuna evidenza.
Voi ſiete, diſse allora
il
Signor D.
Serao, un logico troppo faſtidiofo;
188164DELLA FORZA DE’ CORPI e certo che dalla analogia non naſcon mai dimo-
ſtrazioni
così evidenti, come quelle dei geome-
tri
ſono;
ma ben ſe ne cavano argomenti tanto
probabili
, che di pochiſſimo cedono all’ eviden-
za
.
E queſti argomenti, riſpoſi io, ſono quelli, che
ſi
deducono da un numero quaſi immenſo di pro-
prietà
, non quelli, che ſi deducono da una proprietà
ſola
, come è il voſtro;
nel quale perchè la gravità e
l’elaſticità
ſi credono avere una proprietà comune,
volete
argomentare per analogia, che le abbiano
tutte
.
Ma come potrebbe argomentarſi altrimen-
ti
, diſſe il Signor D.
Serao, ſe l’ oſſervazione non
ci
ha fatto conoſcere in loro ſe non una ſola pro-
prietà
comune ad amendue, che è quella di eſer-
citare
una preſſione eguale e continva?
Non , riſ-
poſi
, ſe l’ oſſervazione ci abbia fatto conoſcere ne
pur
queſta.
Ma quando bene ciò foſſe, non do-
vrebbe
però da una ſola proprietà argomentarſi di
tutte
l’ altre;
e dovrebbe in tal caſo il filofofo a-
ſtenerſi
più toſto da ogni argomentazione, che far-
ne
una con tanto pericolo.
Pure non ſarebbe egli
meglio
, diſſe allora il Signor D.
Serao, avendo
noi
oſſervate le leggi della gravità, comporre ſe-
condo
le iſteſſe leggi ancor le altre potenze;
e co-
indurre nella natura quella bella conformità,
che
rende tutte le coſe più chiare, e più comode,
e
più ſemplici?
Di queſto, diſſi, abbiam parlato
abbaſtanza
queſta mattina.
Ma voi fareſte meglio
ad
eſporci quel voſtro argomento, che avete detto
voler
dedurre da una ſerie ſola di elaſtri;
che
189165LIBRO II. darmi tentando a diſubbidire alla Signora Princi-
peſſa
;
la qual dovrebbe doppiamente caſtigarvi, e
per
quella diſubbidienza, che avete fatta voi, en-
trando
nel diſcorſo della ſemplicità, e per quella,
che
volevate, che io faceſſi.
Allora la Signora
Principeſſa
, egli, diſſe, vi ha tentato non per farvi
diſubbidire
, ma perchè, reſiſtendo voi alla tenta-
zione
, dimoſtraſte meglio la voſtra obbedienza;
il
che
avendo voi fatto, io debbo lodar voi, e rin-
graziar
lui.
Vegga però il Signor D. Serao, diffi
io
allora, di non tentarmi più fpeſſo.
E ſe egli il
farà
, diſſe la Signora Principeſſa, voi moſtrerete
la
virtù voſtra più ſpeſſo.
Ne io voglio però libe-
rarvi
da un peſo, che voi ſteſſo vi avete impoſto,
e
a cui pare, che vogliate ora ſottrarvi.
Qual’ è?
diſſi. Voi, diſſe la Signora Principeſſa, avete pro-
poſto
due coſe;
l’ una è, che la velocità del globo
N
giunto in r non ſi dimoſtri eſſer doppia della
velocità
del globo C giunto in m;
l’ altra è, che
quand’
anche foſſe doppia, pur non ſi dimoſtrereb-
be
, che oltre la potenza producitrice del movi-
mento
doveſſe intervenirvi la forza viva di Lei-
bnizio
;
delle quali due coſe voi avete dichiarato
la
prima, reſta che dichiariate la ſeconda.
Come a-
vrete
ciò fatto, il Signor D.
Serao eſporrà l’ ar-
gomento
, che voi domandate.
Vedete, diſſi io al-
lora
, ſe io ſono bel parlatore, che di due ſole co-
ſe
, che io aveva propoſte, una già m’ era caduta
di
mente.
Faccendoſi cotali ragionamenti, erano
già
, ſenza che noi ce ne accorgeſſimo,
190166DELLA FORZA DE’ CORPI creſciuti il vento, e il mare; perchè il governator
della
nave fece chiedere alla Signora Principeſſa
ſe
voleſse andar più avanti;
et ella a me rivolta mi
domandò
, ſe quel cammino mi deſse moleſtia;
et
avendo
io rilpoſto, che anzi grandiſſimamente mi
dilettava
, diede ordine al governatore, che andaf
ſe
oltre ſeguendo il vento, e così diſpenſaſse tutto
quel
giro, che la ſera poteſſimo eſsere a Pozzuo-
lo
.
E già naſcoſtociſi quaſi del tutto il vago aſpetto
di
Napoli, cominciavano a coprirſi le umili, e di-
lettoſe
rive di Baja, ne più vedevanſi ſe non da
lungi
le verdeggianti cime del ſempre lieto Pauſi-
lipo
, e della ridente Mergillina.
Quando io, a-
vendo
un poco vagheggiato con gliocchi l’ immen-
ſo
ſpazio del mare, che ormai da tutte le parti
vieppiù
allargavaſi, rivolto a compagni, eccomi,
diſſi
, diſpoſto a pagar quel debito, che m’ era uſci-
to
della mente;
di che mi ſpedirò ſubito, come
buon
pagatore, e con poche parole.
Io voglio
dunque
concedere ciò, che fino ad ora ho negato,
che
le ſerie nel loro aprirſi premano i globiegual-
mente
;
che ſeguano a premerli egualmenteper tut-
ti
li ſpazietti Nr, Cm;
che gli facciano correre
ſecondo
le leggi della gravità;
e che ſcorrendo l’ un
d’
eſſi lo ſpazio Nr qnadruplo, e mettendovi tem-
po
doppio, vi acquiſti doppia velocità.
Non può
egli
farſi tutto ciò per una preſſione producitrice
della
velocità ſenza più?
Imperocchè ſe amendue
le
ſerie premono i globi egualmente, quanto è fa-
c
ile, che ſeguitando l’ una a premere per
191167LIBRO II. doppio produca con la ſua preſſione doppia velo-
cità
?
Che neceſſità ha egli qui di quella forza viva
di
Leibnizio?
La qual ſe poteſſe dimoſtrarſi dal mo-
vimento
dei due globi per li ſpazietti Nr, Cm, po-
teva
all’ iſteſſo modo, anzi più comodamente, di-
moſtrarſi
dalla caduta di due gravi, l’ un de qua-
li
cadeſſe per uno ſpazio quadruplo dell’ altro;
ne
accadea
far violenza all’ immaginativa, ſtringen-
dola
a concepire elaſtri immateriali, et incorpo-
rei
, ne ricorrere a linee curve, ne metter mano
a
calcoli, ne a integrazioni.
E poco vale il dire,
che
l’ effetto dee eſſere proporzionale alla cauſa;
e però eſſendo l’ una ſerie quadrupla dell’ altra,
dover
uſcirne effetto non doppio ma quadruplo,
e
queſto eſſere la forza viva.
Imperocchè chi non
ſn
, che qualor ſi dice, l’effetto dover eſſere pro-
porzionale
alla cauſa, non altro vuolſi intendere,
ſe
non che dee eſſere proporzionale all’ azione?

che
ſe due cauſe eſerciteranno azioni eguali, do-
vranno
uſcirne eguali effetti, come che le cauſe ſieno
diſeguali
.
Ora quantunque la ſerie EN ſia quadrupla
della
AC, non dicono però i Bernulliani, che pre-
mono
amendue egualmente?
Perchè dunque non do-
vranno
dalle eguali preſſioni uſcire eguali velocità?

ſe
non che ſeguendo la ſerie EN a premere per dop-
pio
tempo, dovrà uſcirne velocirà doppia.
Ma dirà
alcuno
:
le ſerie oltre il premere, che è veramen-
te
eguale in amendue, hanno anche un’ altra azio-
ne
, che è quadrupla nella ſerie quadrupla.
Et io
riſpondo
, e dimando, che neceſſità v’ abbia di
192168DELLA FORZA DE’ CORPI giungere queſta nuova azione alla preſſione; e
che
mal ſarebbe, ſe noi diceſſimo, le due ſerie
non
far’ altro che premere?
Certo che eſſendo gli
elaſtri
, di cui parliamo, incorporei e immateriali,
non
altra forma hanno, che di pure, e ſemplici
preſſioni
, in cui niente altro può intenderſi, ſe
non
l’ atto iſteſſo del premere.
Sebbene par, che
talvolta
dimenticandoſi i Bernulliani di aver pro-
poſto
elaſtri immateriali, e’ tornino, ſenza avve-
derſene
, alla materia, dicendo, che debbon pure
gli
elaſtri comunicare, e trasfonder nei globi, e
traſmettere
quella forza viva, che hanno;
impe-
rocchè
quale aver ne poſſono, ſe ella miſuraſi an-
cor
dalla maſſa, ed eſſi, eſſendo immateriali, non
han
maſſa niuna?
E poi, che neceſſità v’ ha egli
di
volere, che negli elaſtri, oltre l’ atto del pre-
mere
, ſia ancora una cotal forza viva, che a nul-
la
ſerve?
Ma mettiamo ancora, che eſſendo quat-
tro
gli elaſtri, oltre il premer che fanno, debba-
no
avere un’ altra azion quadrupla, da cui na-
ſcer
debba un effetto quadruplo, diſtinto dalla
velocità
.
Chi però mi dimoſtra, che tale effetto
eſſer
debba una forza?
Oh che altro ſarebbe egli?
diſſe allora il Signor D. Serao. Et io, perchè,
diſſi
, non potrebbe eſſere qualſiſia altra forma, o
accidente
, o qualità, la qual non produceſſe nul-
la
, e non producendo nulla, non meritaſſe pure
il
nome di forza?
Eccovi, diſſe il Signor D. Se-
rao
, un’ effetto, che produr potrebbe.
Egli è
certo
, che come il globo N è ſtato ſpinto per
193169LIBRO II. urto della ſerie da N fino in O, ſe egli con quel-
la
ſteſſa velocità, che ha in O, tornaſſe indietro,
reſpignerebbe
la ſerie da O fino in N;
e in que-
ſto
perderebbe tutto il ſuo movimento.
Vedete
dunque
, che egli eſſendo ſpinto dalla ſerie per lo
ſpazio
NO, acquiſta una virtù di reſpignerla per
lo
ſteſſo ſpazio, e chiuderla altrettanto, quanto
ſi
aprì.
E queſta virtù è la forza viva, della qua-
le
ſe mi chiedete gli effetti, uno può eſſerne il
chiuder
la ſerie, e ridurla a quella ſtrettezza, in
cui
era prima.
Voi dite vero, riſpoſi; ne io ne-
go
, che ſe il globo, tornando indietro, compri-
me
la ſerie da O fino in N, queſta compreſſio-
ne
poſſa prenderſi, ſe voi volete, come un’ ef-
fetto
, immaginando nel globo una forza ad eſſo
riſpondente
;
in quell’ iſteſſa maniera, che eſsen-
do
un corpo caduto da una certa altezza, e po-
tendo
con quella velocità, che ha acquiſtata, ſa-
lir
di nuovo alla altezza medeſima, niente impe-
diſce
, che tal ſalita ſi prenda, come un effetto, e
ſi
immagini nel corpo una forza, che ad eſso riſ-
ponda
.
E di tali forze, quante poſſiamo immagi-
narcene
a piacer noſtro! Noi però non quelle for-
ze
cerchiamo, che eſser poſsono nella noſtra im-
maginazione
, ma quelle, che ſono nella natura;
e conſiderando queſte ſolamente, ſiccome il corpo
riſale
a quella altezza, da cui cadde, non per una
particolar
forza, che produca il ſalire, ma per un
movimento
, che egli ha, e che la gravità va in lui
diſtruggendo
a poco a poco;
così il noſtro
194170DELLA FORZA DE’ CORPI tornando da O in N, chiude la ſerie, non per una
particolar
forza, che produca il chiudere, ma per
quel
movimento, che egli ha, e che l’elaſticità del-
la
ſerie va in lui diſtruggendo a poco a poco, ne
ha
finito di diſtruggerlo, ſe non come egli è giun-
to
in N.
Onde ſi vede, che ſcorrendo il globo da
N
fino in O, l’elaſticità della ſerie produce in lui
quel
movimento, cui poſcia diſtrugge, tornando
egli
da O fino in N;
il che tutto può compierſi
per
una ſola potenza ora producitrice del movi-
mento
, et ora diſtruggitrice.
Per la qual coſa,
quand’
anche per la ſpinta degli elaſtri naſcer do-
veſſe
nel globo N una quali nuova, la qual foſſe
quattro
volte maggiore di quella, che naſce nel
globo
C, io non ſaprei, quale effetto doveſſe at-
tribuirſele
;
e ſe niuno effetto dee attribuirſele, e
s’
ella è pur nata per non far nulla, perchè la chia-
meremo
noi forza?
L’ inerzia, diſſe quivi la Si-
gnora
Principeſſa, potrebbe eſſere una forza viva
di
queſta natura;
tantochè pare che il Padre Ric-
cati
non abbia fatto male a conſtituire la forza vi-
va
nell’ inerzia.
Non ſo però, riſpoſi io, ſe il Pa-
dre
Riccati foſſe per dire, che quattro elaſtri, pro-
ducendo
nel globo N velocità doppia, doveſſer
produrvi
inerzia quadrupla.
Ma voi vi prendete
gioco
di me.
Et io credo, che meglio ſarebbe di
udire
quell’ altra difficoltà, che il Signor D.
Serao
ha
promeſſo di eſporci, deducendola da una ſerie
ſola
di elaſtri;
e che io deſidero grandemente di
intendere
.
Se voi diceſte, ripigliò allora il
195171LIBRO II. D. Serao, che quella non foſſe e molto ingegnoſa,
e
molto bella, e molto forte, fareſte ingiuria al
chiariſſimo
, e incomparabil Bernulli, che già la
propoſe
negli atti di Liſpia dell’ anno 1735;
ne
dubitò
di anteporla, come argomento invittiſſimo,
a
tutte le ragioni, che addur ſi poteſſero per di-
moſtrare
la forza viva di Leibnizio.
E’forſe quel-
la
, diſſi io, che egli adduſſe in un ſuo ſottiliſſimo ra-
gionamento
, nel qual preſe a ſpiegare la vera no-
zione
della forza viva, e conchiuſe dover lei eſſe-
re
una cotal forza ſoſtanziale?
Quella appunto, diſ-
ſe
allora il Signor D.
Serao; e pare, che voi l’ ab-
biate
preveduta;
tante coſe avete ultimamente det-
te
, che pajono dette a poſta per oſcurarne la
chiarezza
e lo ſplendore;
il che però faccendo,
e
quaſi premunendovi, avete moſtrato di aver-
ne
qualche paura;
ne io mi rimarrò di dirla,
benchè
voi abbiate così mal diſpoſto gli animi
di
queſti Signori ad aſcoltarla.
Avendo così detto
il
Signor D.
Serao, et eſſendoſi riſo alquanto, ſog-
giunſe
:
egli mi converrà, s’ io voglio eſſer chia-
ro
, aggiungere una terza figura a quelle due, che
avete
già per le mani;
e tratto fuori calamajo, e
penna
diſegnò una figura, di cui toſto furono
fatte
più copie, acciocchè poteſſe ciaſcuno aver-
ne
una dinanzi agli occhi.
Il che come fatto,
incominciò
il Signor D.
Serao, riguardando nel-
la
figura ſteſſa, a dire:
ſia AL una ſerie compo-
11F. III. ſta di cinque elaſtri, i quali, per non perder tem-
po
a deſcriverli, voglio, che ſieno quei
196172DELLA FORZA DE’ CORPI mi, onde ſi compoſero le due ſerie, di cui s’ è
fin
ora parlato.
Queſta ſerie AL ſi appoggi dall’
una
parte al globo A, dall’ altra al globo L, e
ſia
la maſſa del globo A 4, la maſſa del globo L
1
;
e ſieno amendue i globi da principio trattenuti
per
due potenze eſtrinſeche così che ſtando fermi
et
immobili, ſtringan la ſerie, e l’ obblighino a ſtar-
ſi
ferma et immobile eſſa pure AL.
Stando le co-
ſe
in queſti termini, egli è chiaro, che la ſerie
premerà
egualmente l’ uno, e l’ altro globo, non
eſſendo
ragion niuna, perchè più l’ uno premer
debba
che l’ altro.
Che ſe ad un tratto ſi levino
via
le potenze, che abbiamo detto, aprendoſi ad
un
tempo et egualmente gli elaſtri tutti, ſi allarghe-
toſto la ſerie dall’ una, e dall’ altra parte, ſpin-
gendo
amendue i globi egualmente;
ne ceſſerà di
ciò
fare infino a tanto, che ſia giunta alla ſua natu-
ral
larghezza.
Donde facilmente può intenderſi,
che
ricevendo ſempre 1 due globi, durante la dila-
tazion
della ſerie, eguali impulſi, avranno ſempre
egual
movimento.
Non andrò dietro alle altre
proprietà
tutte di queſta ſerie, che ſono v@ramen-
te
vaghe, e leggiadre;
una ſolo ne noterò, che cre-
do
eſſer neceſſaria al mio intendimento, ed è:
La maſſa del globo A, come abbiam detto di
ſopra
, è quadrupla della maſſa del globo L;
eſ-
ſendo
dunque da principio i globi diſtanti tra lo-
ro
per la linea AL, ſe noi divideremo eſſa linea
AL
in alcun punto C per modo, che la parte CL
ſia
quadrupla della parte CA;
verrà il centro
197173LIBRO II. mune della gravità dei globi a cadere in eſſo pun-
to
C.
E ſi rimarrà poi ſempre quivi, per quanto,
allargandoſi
la ſerie, ſcorrano via i globi, e la.
diſtanza loro AL vadaſi vieppiù accreſcendo; eſ-
ſendo
coſa notiſſima tra i meccanici, che ſe due
corpi
, ſi fuggon l’ un altro per la ſteſſa linea, a-
vendo
ſempre l’un di loro tanta quantità di moto,
quanta
ne ha l’ altro, il centro comune della lor
gravità
ſi riman ſempre la dove era.
E’dunque chia-
ro
che fuggendoſi i due globi A et L, e rimanen-
doſi
ſempre il centro della gravità loro in C, do-
vrà
anche ſempre la diſtanza CL rimaner quadru-
pla
della diſtanza CA.
10 non , ſe io abbia
detto
con aſſai chiarezza;
pure il vorrei. Però ſe
alcun
di voi aveſſe deſiderio di maggior lume, io
il
prego a dirlomi;
dico deſiderio, perchè ſo, che
biſogno
non ne avete.
Eſſendoſi qui taciuto il
Signor
D.
Serao, e tacendoſi ſimilmente gli altri,
queſto
ſilenzio, diſſe la Signora Principeſſa, aſ-
ſai
vi dimoſtra, che non ne abbiamo ne biſogno
ne
deſiderio;
così avete voi pienamente ſoddisfat-
to
all’ uno et all’ altro.
Però potete proſeguire.
Allora
il Signor D.
Serao ricominciò in tal guiſa:
eſſendo
per le coſe dette la diſtanza CL ſempre
quadrupla
della diſtanza CA, egli è manifeſto,
che
de i cinque elaſtri, che forman la ſerie, ne
dovranno
ſempre eſſer quattro ſopra CL, ſopra
CA
uno ſolo;
perciocchè non potrebbono diſ-
porſi
altramente, dovendo eſſer tutti ſempre e-
gualmente
aperti, e dilatati.
Onde appariſce
198174DELLA FORZA DE’ CORPI ramente dovere un certo punto della ſerie rima-
nerſi
immobile, e queſto eſſere il punto C, in cui
è
il centro ſteſſo della gravità dei globi;
e rima-
nendoſi
eſſo immobile, verrà la ſerie tutta ad eſ-
ſer
ſempre diviſa in due parti, l’ una delle qua-
li
ſi ſcaglierà da C verſo L, l’ altra da C verſo
A
, quella quadrupla di queſta.
Le quali coſe ſo-
no
chiariſſime, ſe io già, dicendole troppo ſtret-
tamente
, non le aveſſi fatte oſcure.
Qui parve,
che
il Signor D.
Serao ſi fermaſſe di nuovo. Al-
lora
il Signor Marcheſe di Campo Hermoſo, mi
par
, diſse, che tutto abbiate eſpoſto chiariſſima-
mente
;
ſolo vorrei, che mi eſponeſte una coſa,
che
non avete detta.
Qual è? diſse il Signor D.
Serao. Voi, riſpoſe allora il Signor Marcheſe,
avete
ſuppoſta una proporzion molto comoda,
ſupponendo
il globo A quadruplo del globo L;

perchè
così il centro di gravità C ſi trova eſſere
un
punto, per cui paſſa la ſerie ſteſſa, appoggian-
doviſi
con due lati BC, DC.
Ora io vorrei ſa-
pere
, ſe le coſe dette da voi doveſſero pur rima-
nere
, o in qualche parte cangiaſſero, caſo che il
globo
A non foſſe più quadruplo del globo L;

ma
gli aveſſe altra proporzione;
foſſe per eſem-
pio
triplo;
onde il centro comune della gravi-
dei globi cadeſſe non più in C, ma in t, per
dove
la ſerie non paſſa.
Se il globo A, diſſe al-
lora
il Signor D.
Serao, foſſe, come vi piace or
di
ſupporre, triplo del globo L;
e il centro co-
mune
della gravità foſse in t, per dove la
199175LIBRO II. non paſſa; e voi dovreſte allora condurre la linea
tu perpendicolare ad AL;
poichè queſta linea
taglierebbe
la ſerie in un punto u, il qual
punto
u, allargandoſi poi quanto ſi voglia la
ſerie
, rimarrebbe ſempre immobile;
non che
nell’
aprirſi, e dilatarſi viepiù gli elaſtri, non
doveſſe
egli andar diſcendendo verſo t, ma
ſempre
ſi rimarrebbe nella ſteſſa linea ut, ne
mai
piegherebbe ne verſo A, ne verſo L;
ilche
ſe
voi vorrete dimoſtrare (e potrete farlo faciliſ-
ſimamente
) vi accorgerete ancora, che dividendo-
ſi
tutta la ſerie dal punto u in due parti, l’ una,
cioè
uEFGHIKL, ſi ſcaglierà contra il globo L,
l’
altra, cioè uDCBA, ſi ſcaglierà contro il glo-
bo
A;
e avrà la prima alla ſeconda quella ſteſſa
proporzione
, che ha tL a tA, cioè ſarà tripla di
eſſa
;
e ne ſeguiranno tutte le coſe dette di ſopra.
Ma a me piace ſupporre il globo A quadruplo del
globo
L, onde il centro di gravità ſia in C;
eſ-
ſendo
queſta ſuppoſizion comoda, quantunque
non
neceſſaria.
Avendo il Signor Marcheſe mo-
ſtrato
di contentarſi a queſte parole, il Signor D.

Serao
ſeguitò:
eſercitando la ſerie, come è detto,
nell’
uno e nell’ altro globo egual preſſione, do-
vrà
ſenza dubio eccitarſi nell’ uno, e nell’ altro
egual
quantità di movimento.
D’ altra parte eſ-
ſendo
la cagione, che agiſce nel globo L, qua-
drupla
di quella, che agiſce nel globo A;
percioc-
chè
nel globo L agiſce tutta quella parte di ſerie,
che
ſi ſcaglia da C verſo L, e nel globo A
200176DELLA FORZA DE’ CORPI la parte, che ſi ſcaglia da C verſo A; quindi è,
che
l’ effetto, che ſi produce nel globo L, dee
eſſer
quadruplo di quello, che ſi produce nel glo-
bo
A.
Non può dunque tale effetto eſſere il mo-
vimento
;
il quale abbiam veduto, che è eguale in
tutti
e due i globi.
Sarà ben comodiſſimo il dire,
che
eſſo ſia una cotal forza, la qual ſi miſuri mol-
tiplicando
la maſſa perlo quadrato della velocità,
Come
?
diſſe il Signor Marcheſe. Perchè, riſpoſe
il
Signor D.
Serao, ſe voi immaginerete una tal
forza
nell’ uno e nell’ altro globo, la troverete
appunto
eſſer quadrupla nel globo L.
Non ab-
biamo
noi detto, la maſſa del globo A eſſer 4;
la velocità 1? Una forza dunque, che in lui foſ-
ſe
, proporzionale alla maſſa moltiplicata per lo
quadrato
della velocità, ſarebbe 4.
Abbiamo anche
detto
, la maſſa del globo L eſser 1, la velocità 4,
una
forza dunque, che in lui foſse proporzionale
alla
maſſa moltiplicata per lo quadrato della ve-
locità
, ſarebbe 16, e però quadrupla dell’ altra.

Sarà
dunque comodiſſimo il dire, che l’ effetto,
prodotto
nel globo L, ſia, non già il movimento,
ma
quella forza, che ho detto;
dovendo appunto
l’
effetto eſser quadruplo.
Ed ecco l’ argomento
famoſo
di Bernulli, che io vi ho eſpoſto, così co-
me
ho potuto, ſenza calcolo, e dirò così in mia
lingua
.
Bernulli l’ eſpoſe in maniera diverſa, ſpie-
gandoſi
col calcolo ſenza biſogno;
ma l’ algebra
s’
era fatta tanto famigliare a quel grand’ uomo,
che
era, per così dir, divenuta il ſuo
201177LIBRO II. gio. Qui ſi tacque il Signor D. Serao; e ta-
cendomi
io pure contra l’ eſpettazion di ognu-
no
, la Signora Principeſſa dopo alquanto, a
me
volgendoſi, diſſe:
che dite voi? Io dico, ri-
ſpoſi
, che il Signor D.
Serao fece aſſai bene a dire,
che
io era premunito;
il che dicendo, abbaſtan-
za
ha moſtrato di conoſcere quello, che io potrei
riſpondere
;
ne credo, che ſia alcun di voi, che,
nol
conoſca.
Oh voi direte, ripigliò allora il Si-
gnor
D.
Serao, che la ſerie degli elaſtri altro non
fa
, che premere i globi, e premendogli eccitare
in
loro il movimento;
ogni altra azione, che in
eſſa
ſi finga, eſſer vana et inutile.
Certo che, diſſi
io
allora, ſe la ſerie preme i globi, e premendo-
gli
ſa, che ſi movano, come veggiamo, che mo-
ver
ſi debbono, io non ſo, che farmi di quell’ al-
tra
azione, che i Bernulliani vi fingono;
ne cre-
do
, che ve la ſingano, ſe non per farne uſcire
quella
tal forza viva, di cui ſon vaghi.
A que-
ſto
modo, diſſe il Signor D.
Serao, eſsendo i due
globi
premuti dalla ſerie egualmente, et avendo
per
ciò movimenti eguali, biſognerà dire, che
quattro
elaſtri, di cui ſi compone la parte CL, e
che
ſi adoprano contro il globo L, agiſcano quel-
lo
ſteſso, che agiſce un’ elaſtro ſolo, di cui ſi com-
pone
la parte CA, e che ſi adopra contro il glo-
bo
A;
il che pare inconveniente. Per sfuggir dun-
que
tale inconveniente, ſarà bene il dire, che queſti
elaſtri
hanno un’ altra azione, che non è il pre-
mere
;
dalla qual poi naſce la forza viva. E
202178DELLA FORZA DE’ CORPI rete anche di quelli, i quali vi ſoſterranno che
il
premere non è in alcun modo agire.
Piacemi,
riſpoſi
io allora, che voi diate in queſte ſottigliez-
ze
, perchè così non dovrete più dolervi delle mie.
Io intanto argomento di queſto modo. Che i quat-
tro
elaſtri, onde ſi compone la parte CL, faccia-
no
nel globo L una preſſione eguale a quella,
che
fa un’ elaſtro ſolo nel globo A, certo non dee
parervi
inconveniente;
e l’ inſegnate voi ſteſso,
dicendo
che l’ un de’ globi è premuto da quattro
elaſtri
, l’ altro da uno, e ſon tuttavia premuti e-
gualmente
amendue.
Or ſe l’ uguaglianza di que-
ſte
due preſſioni non ha in ſe inconveniente niu-
no
;
e baſta, ſecondo voi, a ſpiegar l’ uguaglian-
za
de i movimenti;
che cerchiam’ altro? Laſcia-
mo
, che gli elaſtri premano, e niente agiſcano.

Volete
voi, diſse il Signor D.
Serao, che un’ ela-
ſtro
dall’ una parte, e quattro dall’ altra, moven-
doſi
, e ſcagliandoſi, non agiſcan nulla?
Io dico,
riſpoſi
, che premono;
e ſe il premere, ſecondo
voi
, è agire, agiſcono;
ſe non è agire, non agi-
ſcono
;
ma ſolo premono. Che neceſſità ha, che
oltre
il premere, anche agiſcano?
Anzi eſſendo
eſſi
immateriali et incorporei, ne altra ſorma a-
vendo
ſe non di ſemplici preſſioni, io non ſo, che
altro
far poſſano ſe non premere.
E ſe volete in
ultimo
, che io vi dica liberamente;
io non ſo quel-
lo
, che voi vi diciate di quadruplo, perchè non
veggo
qui niente, che ſia quadruplo, Come?
diſ-
ſe
quivi la Signora Principeſsa;
non vedete
203179LIBRO II. che il globo L è ſpinto da quattro elaſtri, il glo-
bo
A da uno ſolo?
Io dico, riſpoſi, che queſti
quattro
elaſtri io non li veggo;
ne credo, che al-
cun
di voi poſsa vederli.
A provar ciò, diſse al-
lora
la Signora Principeſsa, non ſo, ſe baſtaſse
l’
eloquenza del noſtro Padre Cavalcanti, che è pur
tanto
grande.
Molto minore eloquenza, riſpoſi, vi
baſterà
.
Ma ritorniamo di grazia a riteſsere bre-
vemente
quella ſuppoſizione, che con tanta chia-
rezza
ci ha eſpoſta il noſtro Signor D.
Serao; e
veggiamo
ſe mai vi appariſca elaſtro niuno, dico:
elaſtro niuno: intendendo la natura dell’ elaſtro,
non
il nome.
Prima ſi voglion ſupporre cinque
elaſtri
, onde ſi componga una ſerie;
e quidichia-
randoſi
, che eſſi non ſono ne materiali, ne cor-
porei
, e non hanno maſſa niuna, ben ſi vede, che
hanno
il nome di elaſtri, non la natura, ne altro
ſono
che cinque preſſioni, che ſi accozzano ed
uniſcono
inſieme.
Poi ſi vuole, che tutta queſta
preſſione
ſi diſtribuiſca egualmente, e ſi applichi
a
i due globi:
qui pure io non veggo alcun’ ela-
ſtro
;
ne ſo quello, che ſi vogliano intendere, qua-
lor
dicono che l’ un globo è aſſalito da quattro
elaſtri
, l’ altro da uno;
perchè io non veggo ſe
non
due globi aſſaliti da due preſſioni eguali.
Mi
ſi
dice poi, che l’ un globo, fuggendo con più
velocità
, ſi laſcia addietro uno ſpazio CL quadru-
plo
dello ſpazio CA, cui laſciaſi addietro l’ altro
globo
, che fugge con velocità minore.
Et è ve-
riſſimo
;
dovendo appunto ciò naſcere dall’
204180DELLA FORZA DE’ CORPI glianza delle preſſioni. Ma qui io veggo due ſpa-
zj
CL, CA, che potrebbono veramente capir de gli
elaſtri
;
gli elaſtri ſteſſi non veggo: ſe già non vi na-
ſceſſero
all’ improvviſo, e ſenza perchè.
E naſcen-
dovi
pure, per qual ragione dovrebbe dirſi qua-
drupla
la ſomma di quegli elaſtri, che occupaſſe-
ro
la parte CL?
Quadrupla in che? Nel premere?
ma dicono, che preme egualmente. Nell’ eſtenſio-
ne
, e nella grandezza?
ma dicono, che gli elaſtri
non
hanno ne materia, ne corpo, ne maſſa niu-
na
, il che ſe è quale grandezza, e quale eſten-
ſione
aver poſſono?
E poi, che fa qui la grandez-
za
, e l’ eſtenſione?
La quale, qualunque ſiaſi, pur-
chè
reſti la ſteſsa preſſione, reſterà ſempre ne’ glo-
bi
lo ſteſso movimento.
Eſsendomi io qui ferma-
to
alquanto;
è però coſa ſtrana, diſse la Signo-
ra
Principeſsa, che, ſupponendoſi una ſerie di cin-
que
elaſtri, non entri nella ſuppoſizione verun’ ela-
ſtro
.
Et io, ſe voi, diſſi, conſidererete bene la.
ſuppoſizione
, ne vi laſcerete ingannar dal nome,
troverete
, che ella altro non è, che ſupporre cin-
que
preſſioni, le quali così ſi accozzano inſieme, e
diſtribuiſcono
, che vengono a premer due globi
egualmente
verſo due contrarie parti.
Ne qui al-
tro
ha di elaſtro, ſe non il nome.
Et io credo che co-
teſta
ſerie cosi incorporea, come la vogliono, ſia da
concepirſi
non altrimenti, che come una forza re-
pulſiva
di quelle, che piacciono tanto a Neutonia-
ni
, frappoſta a i due globi;
della quale chi vorrebbe
dire
, che quattro parti ſi ſtendeſsero per lo
205181LIBRO II. zio CL, una ſola per lo ſpazio CA? Ben m’ a-
ſpettava
, diſse allora la Signora Principeſsa, che
voi
moſtrereſte il voſtro ingegno.
Signora, riſpo.
ſi, io credo di aver più toſto moſtrata la veri-
.
E poichè il credete, diſse ſubito la Signora.
Principeſſa
, noi vi laſcieremo nell’ opinion vo-
ſtra
, contenti di aver conoſciuto in queſto luo-
go
quanto poſſa o l’ ingegno o la verità.
Intan-
to
fie bene, che finendo una volta di dir degli
elaſtri
, cominciate a dirci delle leggi del moto.

Signora
, riſpoſi, io ho pochiſſimo da dirne, e il
cominciare
e il finire ſarà tutto uno.
Pur, diſſe
la
Signora Principeſſa, diteci quel pochiſſimo;

che
ſe queſti Signori vorranno fare anch’ eſſi il
debito
loro, interrogandovi, ove la coſa il ricer-
chi
, e, quando faccia meſtieri, contradicendovi,
non
finirete forſe così preſto.
Io credo, riſpoſi,
che
come io ho poco da dire, così avranno eſſi
poco
da contradire.
Ma certo a me pare, che eſ-
ſendo
le leggi del moto non altro, che certe re-
gole
, ſecondo cui per cagione dell’ urto ſi diſtri-
buiſce
la velocità a corpi, e ſi fa quando mag-
giore
e quando minore, niente altro ſi richiegga
a
porle in effetto, ſe non l’ azione delle potenze,
che
producono o diſtruggono la velocità, ſenza,
più
.
E ſe io voleſſi entrare ora in ſottigliezze,
direi
facilmente, che foſſe nella natura una po-
tenza
ſola, la qual, non movendoſi eſſa, move
tutte
le coſe;
e mi piacerebbe l’ ἀκίυητου di Ari-
ſtotile
.
Sebbene eſſendo i movimenti varj tra
206182DELLA FORZA DE’ CORPI ro, et avendogli noi notati con varj nomi (che
un
movimento diciamo per eſempio ſalire, et un’
altro
diſcendere, et un’ altro aprirſi, et altro chiu-
derſi
, e così molti, che abbiamo con diverſe voci
diſtinti
) per ciò quella potenza, che gli produ-
ce
tutti, noi la diſtinguiamo in molte.
Ma ella è
forſe
una in ſe ſteſſa, e variando l’ effetto, eſſa
non
varia;
il perchè non ho mai creduto, che
debba
negarſi a Neutoniani, che quella forza, per
cui
ſi riſpingono i corpi, ſia la medeſima, che
quella
, per cui ſi attraggono;
ma gli uomini ſo-
no
troppo avvezzi a conſiderarle come due.
Che
che
ſia di ciò;
che non fa ora d’ uopo di tanta
metafiſica
;
egli è certo, che a far naſcer ne’ cor-
pi
quelle velocità, che le leggi del moto richieg-
gono
, baſtar debbono le potenze, che produco-
no
le velocità ſteſſe:
ſarebbe inutile l’ aggiunger-
vi
la forza viva.
Ne per ciò dico, che le leggi
del
moto la eſcludano;
che ſo bene, ancor quelli,
che
la tengono, e prendono principio da eſſa, aver
pure
trovato via di condurſi alle medeſime leggi,
a
cui ſi conducono gli altri;
e partendo da princi-
pj
diverſi, arrivano alle iſteſſe conſeguenze.
Gli
uni
però, diſſe allora la Signora Principeſſa, vi ſi
condurranno
per vie più facili e più ſemplici;
gli
altri
per vie più compoſte e più faticoſe.
Oh, riſ-
poſi
, non è alcun dubio, che i ſoſtenitori della
forza
viva vi ſi conducono per vie più lunghe e
difficili
;
pur teſſono, e legano inſieme tante di-
moſtrazioni
, e tanti calcoli, e così gli torcono
207183LIBRO II. piegano, che alfin vi giungono. E qui, diſſe al-
lora
la Signora Principeſſa, voi potrete riprender-
li
, che per vie tanto più lunghe e compoſte vo-
glian
condurſi a quelle leggi, a cui altri giungo-
no
per vie più brevi, e più ſemplici.
Tolga Id-
dio
, riſpoſi io allora, ch’ io mai faceſſi motto di
ciò
;
perchè, come ſi viene a un tal luogo, non
credereſte
dell’ eloquenza, ch’ egli hanno.
E ſan-
no
ben dire, che la natura non è poi così ſem-
plice
, come alcuni ſi credono;
e che quello, che
è
compoſto a noi, non è ſempre compoſto alla
natura
;
e che alla natura egualmente è facile la
ſtrada
lunga, e la breve;
ed altre molte di quel-
le
coſe, che il Signor D.
Serao queſta mattina non
potea
ſoffrire.
Pur potreſte, diſſe allora la Signo-
ra
Principeſſa, pregarli a voler liberarſi dal tor-
mento
di quei calcoli, ſe non altro, almeno per
loro
comodo.
Ne queſto pur valerebbe; riſpoſi,
perchè
ſi pregiano di ſoſtenere per la verità quel
martirio
.
Ma tanta coſtanza, diſſe allora riden-
do
la Signora Principeſſa, biſogna bene, che ſia
fondata
in qualche ragione;
e queſta io vorrei
intender
da voi.
Veggo bene, riſpoſi, che voi,
Signora
, mi tentate, interrogandomi di quelle
coſe
, che ſapete meglio di me;
io però non avrò
minor
merito obbedendovi.
La ragione dunque,
che
voi chiedete, ſi è, che quelli, i quali nega-
no
la forza viva, ſi conducono alle leggi del mo-
to
per una certa ſuppoſizione, che i Leibniziani
hanno
in odio, ne voglion farla.
La
208184DELLA FORZA DE’ CORPI ne è, che fingon prima de’ corpi perfettamente
duri
, i quali per niun’ urto poſſano romperſi ne
ſchiacciarſi
;
imperocchè, ſtabilite le leggi del
moto
in tali corpi, paſſano poi facilmente a ſta-
bilirle
negli altri.
Queſta ſuppoſizione, che finge
una
perfetta durezza, non poſſono ſoffrire i Lei-
bniziani
;
e per isfuggirla fanno quel gran giro di
calcoli
.
Che male ha fatto loro, diſſe la Signo-
ra
Principeſſa, una ſuppoſizione, che già tan-
to
amica di Epicuro, e lo provide di tanti ato-
mi
, che pensò poter comporne infiniti mondi?
Queſta ſuppoſizione, riſpoſi io, che fu tanto cor-
teſe
ad Epicuro, è un poco faſtidioſa a Leibni-
ziani
, e dirovvene la ragione, non perchè voi
non
la ſappiate (che i libri ne ſon pieni) ma
perchè
, ſapendola, par tuttavia, che amiate udir-
la
da me.
I Carteſiani, che ſono ſtati i primi cer-
catori
delle leggi del moto, tennero una ſtrada
aſſai
comoda, che fu di cercarle prima ne’ corpi
perſettamente
duri, per poter poi conoſcerle più
facilmente
nei men duri.
Ne parea la loro inten-
zion
da riprenderſi;
non dicendo già eſſi, che ſie-
no
nella natura corpi duriſſimi, ma cercando,
quali
leggi doveſſero oſſervar, ſe vi foſſero.
Chi
è
, che cercando le leggi della fluidità, non le
cerchi
prima nella fluidità perfettiſſima?
e lo ſteſ-
ſo
ſi fa pure in tutti i luoghi della fiſica.
I Car-
teſiani
adunque eſponendo le leggi del moto ne’
corpi
perfettamente duri, ſtabiliſcono, che ſe due
d’
eſſi, avendo quantità eguali di movimento,
209185LIBRO II. incontraſſero, dovrebbon toſto fermarſi, perden-
do
ogni forza loro.
E certo non può intenderſi,
che
due movimenti eguali tra loro, e contrarii,
non
ſi diſtruggano.
E diſtruggendoſi i movimenti
debbono
i corpi fermarſi;
i quali fermandoſi non
è
alcun dubio, che perdono ogni forza.
Ora di
qui
è nato un argomenro aſſai moleſto a Leibni-
ziani
, del quale i Carteſiani ſpeſſe volte ſi vaglio-
no
;
imperocchè ſe la forza doveſſe miſurarſi dal
quadrato
della velocità, potrebbono i due cor-
pi
duriſſimi incontrarſi con eguali quantità di mo-
to
, avendo però forze diſeguali;
e in queſto ca-
ſo
fermandoſi amendue, e perdendo ogni forza,
biſognerebbe
dire, che due forze diſeguali incon-
trandoſi
ſi diſtruggeſſero l’ una e l’ altra egualmen-
te
, il che pare eſſere impoſſibile.
E quindi raccol-
gono
i Carteſiani, che la forza non debba dunque
miſurarſi
dal quadrato della velocità.
I Leibniziani
non
ardiſcon negare, che due corpi duriſſimi,
avendo
eguali quantità di moto, e incontrandoſi
doveſſer
fermarſi.
Non ſapendo dunque, che ri-
ſpondere
, e non potendo levar via la difficoltà, le-
vano
la ſuppoſizione;
e ricuſano aſpramente di
mai
ſupporre alcun corpo duriſſimo.
Ne val pre-
garli
, ne dir loro, che la perfetta durezza non vuol
già
introdurſi nella natura, ma vuol ſolo averſi
per
poſſibile;
e che noi abbiam ben ſuppoſto, per
amor
loro, elaſtri perfettiſſimi, et oltre a ciò im-
materiali
et incorporei;
che tutto è nulla. Così ſi
han
fitto nell’ animo di non voler fermarſi
210186DELLA FORZA DE’ CORPI momento ſolo nel penſiero della perfetta durezza.
La quale oſtinazione, per dir vero, non mi è mai
piaciuta
.
Vedete, diſſe quivi il Signor D. Nic-
cola
, che il Padre Riccatinon ſappia, che voi ab-
biate
dato degli oſtinati a Leibniziani;
perchè pa-
re
, che egli abbia diſapprovato aſſai quel voſtro
ruſticum;
che non ſo come vi uſcì della penna,
parlando
de’ Bernulliani.
E ſappiate, diſſi io al-
lora
, che io inteſi di ſcherzare.
Chi non ſa, che
i
Bernulli, e tutti quegli altri, che hanno illuſtra-
ta
la loro ſcuola, ſono ſtati, e ſono, geometrie
meccanici
, tra quanti ne fiorirono al mondo mai,
eccellentiſſimi
e ſommi?
ma io non credeva poi,
che
foſſer cotanto teneri, che non ſi poteſſe a
qualche
volta ſcherzar con loro.
Non ſapevate voi,
diſſe
quivi il Signor D.
Niccola, che con coteſti
gran
letterati non vuol ſcherzarſi?
Che è ciò? diſ-
ſe
allora la Signora Principeſſa, che io voglio ad’
ogni
modo ſaperlo.
Allora il Signor D. Nicola,
ſappiate
, diſſe, che queſto Signorino ne comen-
tarj
, che diede fuori, della ſua Accademia, eſpo-
ſe
in certo luogo l’ argomento de Carteſiani, che
ora
avete udito;
poi venendo a far menzione del-
la
riſpoſta de’ Bernulliani, che negano di voler
ſupporre
corpi duriſſimi, traſcorſe in un certo:

ruſticum eſt reſpondere.
Io mi ricordo bene di a-
ver
letto quel luogo, diſſe quivi la Signora Prin-
cipeſſa
;
ma non poſi gran fatto mente al ruſticum.
Or
dunque che n’ è avvenuto?
Signora, riſpoſi io
allora
, n’ è avvenuto, che il Padre Riccati
211187LIBRO II. ſtra aver preſo quel ruſticum con ſerietà; e tanto
vi
torna ſopra, e per tal modo, che par quaſi vo-
glia
rivolgerlo ſopra di me;
quantunque io cer-
to
l’aveſſi detto ſcherzevolmente.
Ben vi ſta, diſ-
ſe
allora ſorridendo la Signora Principeſſa;
così
imparerete
di non ſcherzar con gli Dii.
Ma che
avrà
detto il Padre Riccati, diſſe quivi il Signor
D
.
Serao, leggendo negli atti di Lipſia quel ſot-
tiliſſimo
ragionamento di Bernulli, da me poc’an-
zi
rammemorato, la dove e’dice, che voi altri,
che
ſiete contrarj alla forza viva, ſoſtenete quel-
la
voſtra ſentenza per mal talento, e ſiete bugiar-
di
e mentitori?
Il Padre di ciò non fa parola, diſſi
io
allora;
e crede forſe, che a Bernulliani ſtia bene
ogni
coſa;
verſo me, che ſono un’ uom mortale,
è
più ſevero.
Riſe quivi di nuovo la Signora
Principeſsa
;
poi diſſe: torniamo al propoſito; per-
chè
io vorrei pur ſapere da voi, come diciate, che
i
Leibniziani non hanno riſpoſta niuna all’ argo-
mento
de Carteſiani, poc’ anzi detto.
Non glie
ne
avete moſtrato una voi ſteſso ne voſtri comen-
tarj
?
la quale, ſe mi ricordo, è pur queſta: che
qualora
due corpi duriſſimi s’incontrano, agiſcono
l’
un contro l’altro, e contraſtano, non già con le
forze
vive, non potendo eſſi ne ſchiacciarſi ne rom-
perſi
, in che la forza viva ſi adopra;
ma coi mo-
vimenti
ſoli.
E quindi è, che ſe i movimenti ſo-
no
contrarj et eguali, debbono i corpi fermarſi,
quantunque
le forze vive non ſieno eguali;
le qua-
li
poi ſi eſtinguono eſtinguendoſi i movimenti.
212188DELLA FORZA DE’ CORPI Così diſtruggonſi le forze vive, benchè diſeguali,
nell’
incontro de’ corpi duriſſimi, perciocchè in
quell’
incontro non ſi adoprano, e nulla agiſco-
no
;
e ſolo mancano, perchè mancano i movimen-
ti
.
Non è egli queſto, che voi dite poter riſpon-
derſi
da’ Leibniziani?
or come dunque non hanno e-
glino
riſpoſta niuna, ſe voi avete loro offerto queſta?
Signora, riſpoſi, non voglion riceverla, eil Padre
Riccati
, come vedrete, me la reſtituiſce a nome di
tutti
.
Non ſo, ſe il facciano per non avermi niun
obbligo
, o ſe rifiutino il dono, come ſuol farſi,
per
gentilezza;
certo che il Padre Riccati ne ap-
porta
due ragioni, che a me pajono piu toſto
cerimonie
, che ragioni.
Voi ve le vedrete, leg-
gendo
il dottiſſimo libro ſuo.
Pur mi ſarà caro,
diſſe
allora la Signora Principeſſa ſorridendo, di
intender’
ora queſte due cerimonie del Padre Ric-
cati
;
e come voi gli riſpondiate. A me giova, diſ-
ſi
io allora, non riſponder nulla;
perchè ſe i Lei-
bniziani
rifiutano quella riſpoſta, che io ho of-
ferta
loro per difendere la forza viva contro l’
argomento
de’ Carteſiani, meglio ſta.
Non a-
vran
, che riſpondere.
Si, riſpoſe la Signora Prin-
cipeſſa
;
ma ſe voi non moſtrate, che quella vo-
ſtra
riſpoſta poteſſe e doveſſe riceverſi da Leibni-
ziani
, dileguando le ragioni del P.
Riccati, egli
parrà
, che voi gliel’ abbiate offerta di mala fede,
e
ſarete accuſato di frode.
Voi mi ſtringete trop-
po
, riſpoſi;
acciocchè dunque io non vi paja di
mala
fede, ne dobbiate accuſarmi di frode,
213189LIBRO II. rovvi chiaramente vedere, che quella mia riſpo-
ſta
poteva e doveva uſarſi a ſoſtenere la forza vi-
va
contro a Carteſiani;
dileguando per ciò le ob-
biezioni
del Padre Riccati, le quali, ſe ben mi
ricordo
, ſon due;
e la prima è queſta: ſe due
corpi
duriſſimi, dice egli, incontrandoſi, niente
adopraſſero
le loro forze vive, e tuttavia col fer-
marſi
ſubito le perdeſſero, biſognerebbe dire, che
tali
forze ſi eſtingueſſero ſenza avere operato nul-
la
;
e ciò è, ſecondo lui, un grandiſſimo aſſur-
do
, perciocchè le ſorze non vogliono eſſer nate
al
mondo inutilmente, ne perire ſenza aver pro-
dotto
il loro effetto.
Queſta ragione non mi par
già
una cerimonia, diſſe allora la Signora Prin-
cipeſſa
.
Et io, ſe voi, diſſi, la eſaminerete bene,
e
conſidererete, da qual principio ella parta, la
troverete
così vana, che comincierà forſe a parer-
vi
una cerimonia.
Ella parte, diſſe allora la Si-
gnora
Ptincipeſſa, e ſi trae da quel principio, che
una
forza non poſſa eſtinguerſi in natura, e pe-
rire
, ſe non operando, e faccendo il ſuo effetto.
Ma parvi egli, diſſi io allora, che tal propoſizio-
ne
ſia da metterſi così ſenza dubio alcuno tra i
principj
?
Parvi egli, che ſia una propoſizion tan-
to
chiara, e tanto evidente, che doveſſe per amor
d’
eſſa rifiutarſi una riſpoſta, che io offeriva con
tanto
affetto a Leibniziani, e che era loro cotan-
to
utile?
Allora il Signor D. Niccola, voi ſiete
diſſe
, troppo rigoroſo;
perchè mettiamo pure, che
non
ſia quella propoſizione, come un
214190DELLA FORZA DE’ CORPI di Euclide; è però vera, ne vuol negarſi; percioc-
chè
egli è pure ſecondo la conſuetudine della natu-
ra
, che niuna forza ſi eſtingua e periſca mai ſe non
operando
, e faccendo alcun’ effetto;
la qual con-
ſuetudine
io potrei dimoſtrarvi con innumerabili
eſempli
, ſe ſi poteſſer qui ora ſcorrere tutte le
parti
della fiſica come della meccanica.
E voi
ſapete
, che alle conſuetudini della natura vuolſi
aver
riguardo.
Si veramente, riſpoſi; e per que-
ſto
riguardo io non voglio già, che i Leibnizia-
ni
dicano eſsere alcun corpo nel mondo, in cui
periſca
la forza viva ſenza operar nulla;
io gli
pregava
ſolamente a voler dire, che la forza vi-
va
potrebbe perire ſenza operar nulla, ſe foſse-
ro
al mondo de’ corpi duriſſimi, i quali però non
vi
ſono.
Nel che niente ſi offende la conſuetudine
della
natura, la qual vuol eſsere oſservata ne cor-
pi
, che ſono, e non in quei, che non ſono.
Sicco-
me
la conſuetudine, che hanno tutti i corpi, come
ſon
poſti in libertà, di cadere, niente ſi offenderebbe
ſupponendo
un corpo non grave, il qual per ciò
non
cadeſſe;
perciocchè quella conſuetudine è
ne
corpi per queſto appunto perchè ſon gravi;
così quella conſuetudine, che ogni forza ſi eſtin-
gua
faccendo alcun effetto, è forſe nella natura,
perchè
non ſono nella natura corpi duriſſimi, i
quali
ſe vi foſſero, quella conſuetudine non ſa-
rebbe
.
Voi dite beniſſimo, diſſe allora il Signor
D
.
Nicola, che le conſuetudini della natura deb-
bono
oſſervarſi corpi, che ſono, non in
215191LIBRO II. che non ſono; pure ſe voi volete ſupporre due
corpi
ſommamente duri, nell’ incontro de’ quali
periſcano
le forze vive, biſogna bene, che nella
voſtra
ſuppoſizione ſia qualche ragione, perchè
perir
debbano.
Or qual ſarà queſta ragione?
perchè ſe non agiſcono, ne pur potranno diſtrug-
gerſi
l’ una l’ altra;
poichè queſto ſarebbe agire;
anzi
quand’ anche agifsero, pur non potrebbon
diſtruggerſi
amendue, eſsendo tra loro diſeguali.

Vedete
dunque in coteſta ſuppoſizione, di cui
vorreſte
, che i Leibniziani ſi ſerviſsero, non.

debbano
eſtinguerſi due forze vive ſenza che vi
ſia
ragione alcuna, perchè ſi eſtinguano.
A me
pare
, diſſi io allora, che ſe nella mia ſuppoſizio-
ne
le forze vive ſi eſtinguono, abbiano una bel-
liſſima
e grandiſſima ragione di eſtinguerſi.
Qua-
le
?
diſse il Signor D. Niccola. Et io riſpoſi:
perchè
manca loro il ſoggetto.
E quale è il ſog-
getto
della forza viva?
non è egli il corpo moſso?
certo
che il corpo non l’ha, ſe non quando ſi mo-
ve
, e inquanto ſi move;
mancando dunque il cor-
po
moſso (il qual manca nella ſuppoſizion mia,
ſecondo
cui incontrandoſi i due corpi toſto ſi fer-
mano
) manca alla forza il ſoggetto;
e ciò po-
ſto
qual più bella ragione potrebbe ella avere di
perire
e di eſtinguerſi?
che ſon pur così tutti i
modi
, et accidenti, e forme, e qualità, che
levando
via i ſoggetti loro, ſi partono eſse pure
e
ſi dileguano, ne aſpettano altra ragione per an-
darſene
.
Ne vale il dire, che queſta non è la
216192DELLA FORZA DE’ CORPI ſuetudine della natura; perchè ſebbene per lo più
le
forze non mancano ſe non producendo il lo-
ro
effetto;
non è però, che non aveſsero ogni
ragion
di mancare, qualunque volta ſi toglieſse
il
ſoggetto loro, benchè nulla produceſsero.
Sic-
come
conſuetudine è della natura, che il colore
nel
corpo non manchi, ſenza che un’ altro ve
ne
ſucceda;
e tuttavia avrebbe egli ogni ragion
di
mancare, quantunque niun’ altro colore gli
ſuccedeſse
;
ſolo che il corpo, che n’ è il ſog-
getto
, ſi levaſse.
Eſsendomi io qui taciuto, la
voſtra
ſpeculazione, diſse il Signor D.
Serao, mi
piace
;
ma temo, che alcuni l’ avranno per trop-
po
cercata, ne vorranno conſentirvi, avendo pau-
ra
di tanta ſottilità.
Quaſi che un’ argomento,
riſpoſi
io, doveſse averſi per falſo, perchè è ſta-
to
cercato.
Ma io non veggo, che gran ſottigliez-
za
ſia in queſto.
E’ egli forſe così gran ſottigliez-
za
il dire, che il ſoggetto della forza viva è il
corpo
, in quanto è moſso?
O è gran ſottigliezza
il
dire, che, mancando il ſoggetto, non altro ſi
ricerchi
, perchè mancar debba la qualità?
E ſe
queſte
due coſe ſon vere, la conſeguenza non
viene
ella da ſe, ſenza aſpettar pure d’ eſser cer-
cata
?
Sono alcuni però così tardi, diſse il Signor
D
.
Serao, che non intenderanno queſto ſteſso.
Non però i Leibniziani, riſpoſi io, che ſono fi-
loſofi
acutiſſimi, ſe mai al mondo ne furono, e
non
hanno in tal laude chi gli ſuperi.
E’ vero,
diſse
allora il Signor D.
Nicola; et io credo,
217193LIBRO II. eſſi non vorranno valerſi di quella voſtra riſpo-
ſta
contra Carteſiani piuttoſto per un’ altra ragio-
ne
, la qual’ è, che incontrandoſi due corpi du-
riſſimi
, e niente eſercitandoſi in quell’ incontro
le
forze vive, verrebbe con ciò ad offenderſi una
certa
legge di natura, della quale, avendola tro-
vata
eſſi, ſono oltremodo geloſi.
Voi volete di-
re
, riſpoſi io, quella legge, che chiamar poſſia-
mo
di continuità, per cui vogliono, che niun,
corpo
trasferir ſi poſſa da uno ſtato ad’ un’ altro,
ſe
non a poco a poco, e paſſando per tutti li
ſtati
intermedij;
intanto che ne eſſendo in quie-
te
poſſa acquiſtar ſubito qualſiſia velocità, ne a-
vendo
qualſiſia velocità poſſa ritornar ſubito al-
la
quiete, ma debba aver prima ricevuti l’ un,
dopo
l’ altro tutti i gradi delle velocità interme-
die
;
e così vogliono, che intervenga in tutte quan-
te
le qualità.
Cosi è, diſſe il Signor D. Nicola;
e per non offendere una tal legge ſi aſterranno i
Leibniziani
di dire, che nell’ incontro dei corpi
duriſſimi
niente ſi eſerciti la forza viva.
Voi vo-
lete
, riſpoſi io allora ſorridendo, tirarmi alla ſe-
conda
di quelle due ragioni, che adduce il Padre
Riccati
, e che io ho detto poco ſopra, parermi
due
cerimonie.
Ma ſe ho da dirvi la verità, que-
ſta
ragione non l’ bo gran fatto eſaminata;

non
che io non l’ abbia creduta molto inge-
gnoſa
;
ma mi è paruta inutile e fuor di propo-
ſito
;
e così parendomi, ſono ſtato men diligente
nel
leggerla.
Però quì è meglio, che la
218194DELLA FORZA DE’ CORPI ghiate voi, il qual pare, che l’ abbiate letta e
conſiderata
meglio.
Io l’ ho letta, diſſe il Signor
D
.
Niccola, e conſiderata anche oggi col Signor
Marcheſe
di Campo Hermoſo, eſſendo nella li-
breria
del Signor Governatore.
Ma non ſo già,
perchè
ella abbia dovuto parervi fuor di propoſi-
to
.
Perchè, diſſi, ſe noi ponghiamo, che due
corpi
duriſſimi, incontrandoſi, ſubito ſi fermino;
già abbiamo per queſto ſteſſo diſprezzata la legge
della
continuità, faccendo, che due corpi da quel-
la
velocità, che hanno, paſſino toſto alla quiete.

Ne
accade il cercar poi, ſe ceſſando in quell’ in-
contro
di eſercitarſi la forza viva, venga di nuo-
vo
a diſprezzarſi la legge della continuità;
alla
quale
chi ha contravvenuto la prima volta non te-
merà
di contravvenir la ſeconda.
Il perchè parmi,
che
il Padre Riccati o ſoſtenendo la continuità ne-
gar
doveſſe, che i corpi ſi fermino, o laſciando,
che
ſi fermino, non doveſſe cercar più la continui-
.
E perciò mi parve quella ſua ragione fuor di
propoſito
.
A me però piacerebbe, diſſe quivi la
Signora
Principeſſa, di intenderla;
perchè io av-
viſo
, che debba eſſere una ragion molto forte.

Come
?
riſpoſi io. Perchè, diſſe ella, parmi che
voi
ſtudiate di declinarla, dicendo, che è fuor di
propoſito
;
et io ho udito dire a molti ſavj uomi-
ni
, eſſer’ uſo degli oratori, ove incontriſi alcuna
obiezion
molto forte, mettere ogni ſtudio per if-
fuggirla
.
Qui tutti riſero, et io diſſi: giacchè voi,
Signora
, avendomi per oratore, poco di me vi
219195LIBRO II. date, anche per queſto fie meglio, che la ragione
del
Padre Riccati vi ſia eſpoſta dal noſtro Signor
D
.
Nicola, il quale benchè ſia più eloquente di
me
, a voi però pare, che abbia meno artificio;
e
queſto
ſorſe è l’ effetto d’ un’ artificio maggiore.
Allora la Signora Principeſſa tuttavia ridendo diſ-
ſe
:
come vi piace. E il Signor D. Nicola ſubito
preſe
a dire.
Io eſporrò la ragione del Padre Ric-
cati
, e farollo per modo, che non avrete a temer
d’
artificio;
e ſe d’ alcuna coſa non mi ſovveniſ-
ſe
, potrà avviſarmene il Signor Marcheſe di Cam-
po
Hermoſo, con cui oggi l’ ho letta;
ſenza che
io
ho qui il libro ſteſſo.
Egli dunque non è qui-
ſtion
d’ altro;
ſe non ſe di vedere, ſe, incontran-
doſi
i corpi duriſſimi, e niente eſercitandoſi in
quell’
incontro le forze vive, ſia ciò contrario al-
la
legge della continuità.
Il Padre Riccati dice
eſſer
contrario, e lo dimoſtra molto ingegnoſamen.

te
, introducendo una ſerie infinita di contuſioni
ſempre
più piccole a queſto modo.
Sienoi due
corpi
, che con eguali quantità di moto, come or
ſupponghiamo
, ſi incontrano, prima alquanto du-
ri
;
e nell’ incontrarſi producano in loro una qual-
ſiſia
contuſione.
Egli è certo, che in quella con-
tuſione
, qualunque ſiaſi, agiſce e ſi eſercita tutta
la
forza viva, che hanno.
Sieno i corpi alquan-
to
più duri;
ſarà la contuſione minore; e non per
tanto
ſi eſerciterà in eſſa tutta la forza viva;
e
divenendo
i corpi ſempre più duri, diverrà la con-
tuſione
ſempre minore, e tutta la forza viva
220196DELLA FORZA DE’ CORPI corpi ne più ne meno ſi eſerciterà ſempre in eſſa.
Per queſta ſuppoſizione, come ognun vede, noi
avremo
una ſerie di infinite contuſioni ſempre più
piccole
corriſpondente ad una ſerie di infiniti cor-
pi
ſempre più duri;
e la ſerie delle contuſioni ver-
finalmente a terminarſi nella contuſion nulla,
che
ſi farà ne corpi duriſſimi.
Or dunque ſe eſer-
citandoſi
tutta la forza viva in ogni contuſion del-
la
ſerie, quando s’ incontrano corpi più e più du-
ri
, laſciaſſe poi di eſercitarſi ſolo nell’ ultima, quan-
do
s’ incontrano i corpi duriſſimi;
voi vedete, che
l’
eſercizio di eſſa eſſendo ſtato ſempre il medeſi-
mo
in tutti gli altri termini della ſerie, manche-
rebbe
ad’ un’ tratto nell’ ultimo;
il che cerro è
contrario
alla legge della continuità, alla quale
non
dee contravvenirſi.
E ſe il Padre Riccati vi ha
perdonato
il primo peccato, laſciando, che i due
corpi
duriſſimi, che voi ſupponete, nell’ incontro
loro
toſto ſi fermino, il che pure era contrario
alla
legge della continuità, non s’ è egli obbliga-
to
per ciò di perdonarvi il ſecondo;
et ha forſe
voluto
darvi tempo di ravvedervi da voi ſteſſo.

Avendo
così detto il Signor D.
Niccola, ſorriſe
alquanto
.
Et io, non ſo, riſpofi, che gran pec-
cato
ſia contravvenire in una qualche ſuppoſizione
a
coteſta legge della continuità, la qual non è
forſe
nella natura;
e quando anche vi foſſe, ſa-
rebbe
tuttavia lecito ſuppor dei corpi, che la tra-
ſgrediſſero
;
come talora ſe ne ſuppongono alcuni,
che
traſgrediſcon le leggi della gravità.
Se ſia
221197LIBRO II. natura la continuità, diſſe quivi il Signor D. Nico-
la
, e ſe, eſſendovi, poſſa tuttavia il filoſofo nelle
ſue
ſuppoſizioni non curarla, ſon due quiſtioni,
che
potremo far poi.
Ma prima è da vedere, ſe
venga
a traſgredirſi la legge della continuità, qua-
lunque
volta nell’ incontro de’ corpi duriſſimi
manchi
l’ eſercizio della forza viva;
perciocchè
di
qui comincia la ragione del Padre Riccati, al-
la
quale ſe voi non verrete ſubito, parrà alla Si-
gnora
Principeſſa, che voi mettiate ſtudio per de-
clinarla
.
Ecco, riſpoſi, che io vi vengo ſubito,
e
dico, che ſe coteſta ragione mi parve una vol-
ta
, non avendola ben inteſa, fuor di propoſito;
ora che voi me l’ avete fatta intender meglio, mi
par
falſa.
Come falſa? diſſe il Signor D. Nicco-
la
.
Non è egli dunque vero, che ſe nella ſerie
delle
contuſioni l’ eſercizio della forza viva ſi tro-
va
eſſere in tutti gli altri termini, non può per
riſpetto
della continuità mancare tutto ad un trat-
to
nell’ ultimo?
Queſto, riſpoſi, è lo ſteſſo, che
dire
:
ſe la forza viva ſi eſercita per tutto, ove
ſi
fa contuſione, dovrà eſercitarſi anche, dove
non
ſe ne fa.
Che è ciò? diſſe il Signor D. Nic-
cola
;
et io, non dite voi, ripigliai, che in tutti
gli
altri termini della ſerie ha qualche contuſio-
ne
, fuor che nell’ ultimo, in cui non ne ha niu-
na
?
e argomentate, che debba nell’ ultimo eſer-
citarſi
la forza viva, perciocchè ſi eſercita in tut-
ti
gli altri?
voi dunque argomentate, che la for-
za
viva debba eſercitarſi, dove non è
222198DELLA FORZA DE’ CORPI perciocchè ſi eſercita dove ne è. A coteſto modo
potreſte
anche argomentare, che ſe la penna ſi ri-
chiede
a ſcrivere ſette verſi, e la ſteſſa anche a
ſcriverne
ſei, e la ſteſſa a cinque, e così di mano
in
mano, dovrà la ſteſſa richiederſi anche a non
ſcriverne
niuno.
Il quale argomento vedete, co-
me
i dialettici ſieno per comportarvelo;
che anzi ar-
gomentando
dal contrario direbbono:
la penna ſi
richiede
a ſcriver dei verſi, dunque a non ſcriver-
ne
non ſi richiederà;
e ſimilmente: a fare qualſiſia
contuſione
adopraſi la forza viva, dunque a non
farne
niuna, non ſi adoprerà.
Qui il Signor D.
Niccola ridendo, queſta iſteſſa ſottigliezza, diſſe,
mi
aveva oggi propoſta il Sig.
Marcheſe di Cam-
po
Hermoſo, a cui ſubito ho riſpoſto, che mi
parea
ſimile alle voſtre.
Allora io rivolto al Si-
gnor
Marcheſe, piacemi, diſſi, che voi conſen-
tiate
meco, e ſiate amico della mia opinione.
Io
cominciava
ad eſſere, diſſe il Signor Marcheſe;

ma
tante coſe mi ha poi dette il Signor D.
Nic-
cola
, che me ne ha diſtolto.
Ditelemi di gra-
zia
, riſpoſi.
Le dirò, diſſe il Signor Marcheſe,
ſe
egli me ne darà licenza, e vorrà correggermi,
dove
io erri.
Ne di licenza, diſſe il Signor D.
Niccola
, avete voi biſogno, ne di correzione;

pur
l’ una potete prendervi, ſe credete di aver-
ne
biſogno;
ne l’ altra vi negherò io, ſe mi par-
, che l’ abbiate.
Ben vi dico, che ſtiate ſopra
di
voi con queſt’ uomo.
Di che avendo ſorriſo
il
Signor Marcheſe, così incominciò:
la
223199LIBRO II. della continuità non richiede già ella, che nella
ſerie
delle contuſioni, di cui s’ è detto, la forza
viva
debba agire nell’ ultima, che è la contuſion
nulla
;
anzi permette, che in queſta niente agiſca;
ben vorrebbe, che dovendo l’ azicne della forza
viva
eſſer nulla nell’ ultima contuſione, comin-
ciaſſe
a ſminuirſi nelle contuſioni antecedenti, ne
arrivaſſe
ad eſſer nulla ſe non che a poco a po-
co
;
il che ella non faccendo, perciocchè in tutte
le
antecedenti contuſioni è ſempre la medeſima,
perciò
contravviene alla continuità.
Voi volete
dire
, ripreſi io allora, che ſecondo la legge
della
continuità, l’ azione della forza viva non
può
nell’ ultima contuſione eſſer nulla, ſe
prima
non ſi è a poco a poco ſminuita.

Così
è, diſſe il Signor Marcheſe.
Ma non
ſi
è ſminuita, ſeguitai io;
dunque ſecondo la leg-
ge
della continuità, non può l’ azione della for-
za
viva nell’ ultima contuſione eſser nulla;
e così
ritorna
quell’ argomento fallaciſſimo:
la forza vi.
va
agiſce, dovunque ſi fa contuſione, dunque an-
che
dove non ſe ne fa.
Anzi io dico, rifpoſe qui-
vi
il Signor Marcheſe, che ſe l’ azione della forza
viva
divien nulla ne corpi duriſſimi, dove non è
contuſion
niuna, biſogna, che negli altri men du-
ri
, ne quali le contuſioni ſi fanno ſempre minori,
ſi
ſia ſminuita a poco a poco:
e queſto è quello,
che
richiede la legge della continuità.
E che ri-
chiederà
ella dunque, riſpoſi io, coteſta legge, ſe
l’
azione della forza viva non s’ è ſminuita?
Io
224200DELLA FORZA DE’ CORPI mi ſpiego forſe abbaſtanza, diſse il Signor Mar-
cheſe
.
Ma la legge della continuità certamente ri-
chiede
, che l’ azione della forza viva o non ſia
nulla
nell’ ultima contuſione, o ſe è nulla nell’ ul-
tima
, abbia cominciato a ſminuirſi nelle antece-
denti
.
Noi torniamo, riſpoſi, a quello ſteſso; per-
chè
ſe la legge della continuità richiede o l’ una
o
l’ altra delle due coſe, mancando l’ una, richie-
derà
l’ altra;
e però mancando lo ſminuimento
dell’
azione nelle contuſioni antecedenti, richie-
derà
, che l’ azione non debba eſser nulla nell’ al.
tima; e così vi ricondurrà a quella ſteſſa fallacia:
la
forza viva agiſce dove ſi fa contuſione, dun-
que
anche dove non ſi fa.
Dunque, diſſe il Si-
gnor
Marcheſe, ſe io avrò una certa quantità o
forma
coſtante, la qual tenga dietro a tutti gli
altri
termini di una qualche ſerie, accompagnan-
doſi
con ciaſcuno, io non potrò argomentar per
queſto
, che debba la ſteſſa accompagnarſi ancor
con
l’ ultimo.
Voi potrete, riſpoſi; e ſe l’ ar-
gomentar
voſtro non ſarà evidente, ſarà tut-
tavia
molto probabile.
Ma nol potrò già io, diſ-
ſe
il Signor Marcheſe, nel caſo noſtro.
Perchè?
riſpoſi
.
Et egli: perchè avendo noi propoſta una
ſerie
di contuſioni, voi volete, che in tutte le al-
tre
contuſioni ſi adopri la medeſima azione della
forza
viva;
ma non nell’ ultima. Quale è, diſſi,
queſt’
ultima?
Queſt’ ultima, riſpoſe il Signor
Marcheſe
, è la contuſion nulla, che ſi fa ne cor-
pi
duriſſimi, nell’ incontro de’ quali voi
225201LIBRO II. che la forza viva niente agiſce. Par dunque a voi,
riſpoſi
io, che la contuſion nulla entri nella ſerie
delle
contuſioni, e poſſa dirſene un termine?
E
perchè
, diſſe il Signor Marcheſe, non vi entre-
rebbe
?
Et io riſpoſi, perchè non è contuſione;
che tanto è l’ eſſere contuſion nulla, quanto è il
non
eſſere contuſione di modo alcuno.
E ſe la
contuſion
nulla non è contuſione, io non veggo,
come
poſſa ella entrar nella ſerie delle contuſioni.

Vi
entra, riſpoſe il Signor Marcheſe, per queſto
appunto
, perchè non è contuſione, e non eſſen-
do
contuſione, è contuſion nulla;
poſciachè le
contuſioni
, che compongon la ſerie, ſi vanno di
mano
in mano ſminuendo, e vanno finalmente a
terminarſi
nel nulla.
E quante ſerie fanno quello
ſteſſo
! Vedete già, che la ſerie dei numeri 9, 8, 7,
procedenti
contra il naturale ordin loro, come è
giunta
all’ 1, cade nel nulla, che chiaman zero.

E
le ordinate nella parabola andando contro al
vertice
non vanno eſſe pure a finirſi nel nulla?

Et
io nego, riſpoſi, che coteſto nulla ſia mai ter-
mine
di veruna ſerie.
Ne vi concedo, che il ze-
ro
entri, come termine, in quella ſerie di nume-
ri
, che avete propoſta.
Come? diſſe il Signor Mar-
cheſe
;
ogni termine di quella ſerie ſi forma levan-
do
al precedente l’ unità:
così levando al 9 l’ u-
nità
ſi forma l’ 8, levando all’ 8 l’ unità ſi forma
il
7, e così procedendo ſi conduce la ſerie fino
ll’
1;
e levando poi a queſto 1 ſimilmente l’ uni-
ne viene il nulla, cioè ne viene quell’
226202DELLA FORZA DE’ CORPI termine, in cui finiſce la ſerie. Ne viene, riſpoſi
io
, il nulla, cioè non ne vien nulla;
che mi dite
voi
dunque, che ne viene un termine?
Anzi io ſo-
ſtengo
, che ſe levando dall’ 1 l’ unità non ne vien
nulla
, queſto è argomento, che la ſerie è finita in
quell’
1 ;
e quell’ 1 è l’ ultimo termine della ſerie.
Pur, diſſe il Signor Marcheſe, niun matematico,
tenendo
dietro a quella ſerie, ſi fermerà nell’ 1;

ma
tutti procederanno fino al zero, avendolo per
un
termine.
Se voi, diſſi, volete ſeguire l’ imma-
ginazione
dei matematici, non che al zero, ma
procederanno
più oltre, e vi moſtreranno altri
ed
altri numeri minori del zero ſteſſo:
- 1,
-2
, -3, e continveranno così la ſerie in infini-
to
.
Ma queſte non ſono altro, che eſpreſſioni vio-
lente
dei matematici, che eglino ſteſſi non bene in-
tendono
;
e che lor ſi permettono, perchè anche
con
eſſe, uſandole con certa regola, ſi conducono
al
vero.
E ſimilmente lor ſi permette di innalzare
qualſiſia
linea a qualſiſia dimenſione, chiuden-
do
nelle loro eſpreſſioni quello, che non poſ-
ſon
comprender nell’ animo.
Ma eſſi hanno ri-
dotto
ad arte quell’ ardimento, e ne traggono
la
verità.
Per la qual coſa ſe noi vogliamo una
ſerie
, la qual ſia, non nella immaginazione
dei
matematici, ma nella natura, non è da crede-
re
, che entrino in eſſa ne il zero, ne il -1, ne
il
-2, ne quegli altri termini, che diconſi eſſer
minori
del nulla;
ma la ſerie ſi terminerà nell’ u-
nità
;
e ſe vorrà la natura aggiungere alcuna
227203LIBRO II. o forma a ciaſcun termine di una tal ſerie, per
riſpetto
della continuità lo verrà aggiungendo a
tutti
i termini di mano in mano, finchè arrivi all’
1
, e quivi ſi fermerà ;
poco curando del zero, e
di
quegli altri termini minori del zero, che i ma-
tematici
ſi hanno finto, e che ella non conoſce.
E queſta è la ragione, perchè nella ſerie delle con-
tuſioni
propoſta dal Padre Riccati, quantunque
in
ciaſcun termine, cioè in ciaſcuna contuſione,
troviſi
l’ azione della forza viva;
non è però da
dire
, che per riſpetto della continuità debba tro-
varſi
anche nella contuſion nulla;
perchè, come
potete
aver inteſo, la contuſion nulla non è un
termine
di quella ſerie, ſe non nella mente dei ma-
tematici
;
e la natura non l’ha per tale. Voi mi a-
vete
, diſſe quivi il Signor Marcheſe, ſoprappreſo
con
coteſte ragioni.
Pur non mi ſi può levar di
teſta
, che la ſerie delle ordinate in una parabola,
procedendo
contro al vertice, non vada a termi-
narſi
in quella, che chiamano ordinata zero, et è
un’
ordinata nulla;
e di vero trovanſi in eſſa quel-
le
proprietà medeſime, che trovanſi in tutte le al-
tre
, e pare che la continuità ſteſſa ve l’abbia reca-
te
.
Or peichè non potrebbono quelle contuſioni,
che
il Padre Riccatiha propoſto, venirſi ſminuen-
do
a quel modo, che ſi ſminuiſcono le ordinate
della
parabola?
così che doveſſero terminarſi eſſe
pure
nella contuſion zero o nulla, a cui però do-
veſſe
attribuirſi quello, che a tutte le altre contu-
ſioni
s’ è attribuito, come all’ ordinata zero
228204DELLA FORZA DE’ CORPI parabola quello ſi attribuiſce, che s’ è attribuito
a
tutte l’ altre.
Et io vi dico, riſpoſi, che la ſerie
delle
ordinate nella parabola non ſi termina, ne
può
mai terminarſi nell’ ordinata nulla;
perchè ſe
l’
ordinata è nulla, non è più ordinata.
In che dun-
que
ſi termina?
diſſe il Signor Marcheſe. Et io ri-
ſpoſi
:
mai non ſi termina; ma venendo a impic-
colirſi
le ordinate a poco a poco, ſcorrono per
tutti
gli ordini delle piccolezze infinite, ne mai ſi
incontran
nel nulla;
il quale non è in niuno di
quegli
ordini, et è fuori di tutta la ſerie.
E ſi-
milmente
ſe voi levaſte ad una linea la ſua metà,
e
a quel, che reſta, levaſte di nuovo la ſua metà,
e
così procedeſte in infinito, componendo una.
ſerie di tutte le metà levate, ſarebbon le linee d’
una
tal ſerie, l’ una dell’ altra, ſempre più pic-
ciole
;
e niuna però ne ſarebbe mai, la qual foſſe
nulla
;
eſſendo ognuna la metà della precedente
linea
, ne potendo il nulla eſser metà di linea veru-
na
.
Et io credo, che di gran lunga ſi ingannin co-
loro
, i quali penſano, che una coſa per impicco-
lirſi
poſsa mai diventar nulla;
e ſi immaginano,
che
le coſe piccole ſieno più facili ad annientarſi,
che
le grandi.
Laonde anche ſi perſuadono, che,
ſe
la natura voleſse ridurre una coſa a niente;
do-
veſse
prima a poco a poco rimpiccolirla, e condu-
cendola
per una ſerie di infinite piccolezze far fi-
nalmente
, che ſi incontraſse nel nulla;
il qual-cammi-
no
ſe la natura teneſse, non la ridurrebbe al niente
giammai
;
concioſiachè il niente non
229205LIBRO II. in niuna ſerie di piccolezze, quali che eſſe ſieno.
E ſe voleſſe pur la natura ridur la coſa al nien-
te
, biſognerebbe, che una volta la diſtruggeſſe
tutta
ad un tratto, abbandonando tutti gli ordini
delle
infinite piccolezze, e ſaltando, per così di-
re
, fuor della ſerie.
Se quello è vero, che dite,
et
a me par che ſia, diſſe allora il Signor Mar-
cheſe
;
com’ è dunque, che i matematici van pur
tutto
’l nominando l’ ordinata zero, e fanno
intorno
ad eſſa le dimoſtrazioni?
Ciò fanno, diſ-
ſi
, perchè quell’ ordinata, che eſſi chiamano ze-
ro
, non è veramente nulla;
ma per l’ infinita ſua
piccolezza
credono di poterla traſcurare nelle
miſure
comuni;
e cosi traſcurandola la fanno di-
ventar
nulla nella lor mente.
Che ſe foſſe vera-
mente
nulla in ſe ſteſſa, non potrebbono eſſi poi
averla
per una lineetta compoſta di infinite altre,
come
vedrete ch’ e’ fanno, maſſimamente nel cal-
colo
differenziale.
Voi dunque nella ſerie delle
ordinate
, che avete propoſta, ne troverete infini-
te
, che ſaranno infinitamente piccole;
non ne tro-
verete
niuna, che ſia veramente nulla.
E ſimil-
mente
avverrà nella ſerie delle contuſioni, la quale,
come
che proceda ad altre ed altre contuſioni ſem-
pre
più piccole in inſinito, non però mai verrà ad
incontrarſi
in una, che ſia perfettamente nulla,
come
quella ſarebbe de corpi perfettamente du-
ri
.
Laonde quantunque la legge della continui-
richiedeſſe, che l’ azione della forza viva, per
tener
dietro alla ſerie delle contuſioni, ſi
230206DELLA FORZA DE’ CORPI taſſe in tutte egualmente, eziandio nelle infinita-
mente
piccole;
non per ciò richiederebbe, che el-
la
doveſſe anche eſercitarſi nella contuſione de cor-
pi
perfettamente duri, la quale eſſendo veramen-
te
nulla, non entra, ne può entrare in quella ſe-
rie
.
E chi voleſſe ſupporre tali corpi, e diceſſe,
niente
eſercitarſi nel loro incontro la forza viva,
non
offenderebbe in niun modo la legge della
continuità
.
Eſſendomi io qui taciuto non meno,
che
il Signor Marcheſe di Campo Hermoſo;
man-
co
male, diſſe il Signor D.
Serao, che queſto gio-
vane
ha ſtudiata la dialettica in Alcalà ;
ne men
vi
volea per tener dietro alle voſtre ſottigliezze.
Ma tante già ne avete dette, che la Signora Prin-
cipeſſa
ne ſarà ſazia, e vorrà bene, che voi venia-
te
all’ altra parte della voſtra propoſta.
Queſte
ſottigliezze
, diſſe la Signora Principeſſa, mi ſo-
no
piaciute, perchè potrebbono anche eſſer ve-
re
.
Ne però meno mi piacerà, che ſi venga all’
altra
parte, che voi dite.
Qual è? diſſi io allora.
Voi
diceſte, riſpoſe il Signor D.
Serao, che ſup-
ponendoſi
i corpi duriſſimi, e dicendoſi, che la
forza
viva niente ſi eſerciterebbe nel loro incon-
tro
, ciò nulla offenderebbe la legge della conti-
nuità
;
e di queſto avete già favellato abbaſtanza;
forſe
anche troppo.
Aggiungeſte poi, che quand’
anche
quella ſuppoſizione foſſe contraria alla leg-
ge
della continuità, pur non ſarebbe da rifiutar-
ſi
;
eſſendo lecito ſecondo voi formar talvolta ſup-
poſizioni
contrarie alle leggi ſteſſe della
231207LIBRO II. le quali leggi ſtringono i corpi, che ſono; non
quei
, che ſi fingono.
Aggiunſi ancora, diſſi io
quivi
, che la legge ſteſſa della continuità io non
ſo
, ſe ſia veramente nella natura.
Anche di que-
ſto
dunque, diſſe il Signor D.
Serao, ſarà bene
dir
poi.
Ora piacemi, ſe piace a coteſti Signori,
che
ci moſtriate, come ſia lecito ai filoſofi formare
una
ſuppoſizione, che a qualche volta ſia contra-
ria
alle leggi della natura;
perchè io metto pure
tra
le leggi della natura la continuità, e così ne
ſono
geloſo, che non vorrei, che la oſſervaſſero
ſolamente
i corpi, che ſono, ma quelli ancora,
che
ſi ſuppongono.
Se voi, riſpoſi, ne ſiete geloſo
fino
a queſto ſegno, biſogna ben dire che voi ſia-
te
oltre modo geloſo.
Perciocchè quante altre
leggi
ha nella natura, che i filoſofi traſcurano nei
corpi
, che piace lor di ſupporre;
e non per tan-
to
ſi hanno per buone le ſuppoſizioni loro?
Qual
coſa
più contraria alle leggi della natura, che ſup-
porre
una verga, la cui gravità ſia tutta raccolta
in
un ſol punto?
pur ſi concede ai filoſofi di ſup-
porla
per trovar le leggi dei pendoli.
Quanti di
queſti
eſempi potrei addurvi, per cui chiaro ap-
parirebbe
eſſere già tra i ſiloſofi una licenza quaſi
comune
di formar ſuppoſizioni, che ſi oppongo-
no
alle leggi della natura, ne ſono però meno
utili
, ne meno comode! Voi queſto, diſſe qui-
vi
la Signora Principeſſa, mi avete perſuaſo con
l’
eſempio dei pendoli;
pur non poſso negarvi,
che
il ſuppor coſa, che ſi opponga a qualche
232208DELLA FORZA DE’ CORPI ge della natura, a prima viſta non mi ſpaventi,
parendomi
, che non poſsa naſcerne, ſe non di-
ſordine
e conſuſione.
Il Padre Riccati, diſse qui-
vi
il Signor D.
Niccola, ne è in grandiſſimo ti-
more
ancora egli, prevedendo ruine ſpaventevo-
li
.
Quali ruine? diſse la Signora Principeſsa; a
cui
riſpoſe il Signor D.
Niccola: dice il Padre
Riccati
, ſe non m’ inganno, alla pagina 343.
(acciocchè non ſia queſti quel ſolo, che ſi ricor-
da
le pagine) che ſe una ſola legge della natu-
ra
veniſse meno, gli parrebbe che l’ univerſo ſi
ſconvolgeſse
, e ritornaſse toſto nel caos.
E ſe
alcun’
uomo aveſse pur l’ ardimento di ſuppor-
re
tal coſa, mancherebbongli di preſente i prin-
cipj
della ragione, ne avrebbe più modo ne via
di
ſtabilire più toſto una concluſione, che un’ al-
tra
.
Voi vedrete queſti timori, leggendo il dia-
logo
decimo.
Io non ſon tanto pauroſa, diſſe la
Signora
Principeſſa, quanto è il Padre Riccati;

il
quale non potrà mai decidere, ſe una coſa, la
qual
ſia fuori delle leggi della natura, ſia però in
ſe
ſteſsa poſſibile;
perciocchè non arriſchiandoſi
di
ſupporla, non potrà mai eſaminarla.
In fatti,
diſse
il Signor D.
Niccola, egli non vuol ne con-
cedere
, che i corpi perfettamente duri ſieno poſ-
ſibili
, ne negarlo;
e come giunge a queſto luo-
go
, ſi umilia, e venera i conſigli della divina ſa-
pienza
, e laſcia ai preſontuoſi il quiſtionare ſopra
l’
incontro di due corpi duriſſimi.
Se queſta è pre-
ſunzione
, diſſe la Signora Principeſsa, io ho
233209LIBRO II. ſcrupolo tutta la filoſofia; parendomi, che poche
quiſtioni
abbia men ſublimi di queſta.
Indi a me
rivolta
, deſidero bene, diſſe, che, poichè voi non
avete
tanta paura, e vi l’ animo di ſuppor coſe
alle
leggi della natura contrarie, mi diſcopriate,
come
ciò poſſa farſi ſenza timore.
Et io allora così
incominciai
:
Signora, facil coſa ſarebbe e molto
ſpedita
il ſoddisfarvi;
ſe i filoſofi, che oggidì fanno
tanto
rumore delle leggi della natura, e non hanno
altro
in bocca, aveſſero poſto cura di ſpiegare di-
ligentemente
quello, che per nome di legge voglia-
ſi
intendere;
ma, non ſo come, più vaghi di nomi,
che
di diffinizioni, hanno cominciato a introdur
voci
, et a riceverne, a guiſa che il popolo fa, ſen-
za
determinarne il ſignificato.
E troverete moltiſ-
ſimi
, che altro mai non nominano nei lor diſcorſi,
che
idea chiara e diſtinta, ſemplicità della natura,
analogia
, legge, ed alrri nomi ſomiglianti;
e pochiſ-
ſimi
troverete, ſe ne troverete alcuno, ai quali ſof-
fra
l’animo di fermarſi a ſpiegarne con diligenza la
ſignificazione
;
di che tanto più ſono a mio giudicio
da
riprendere, che di queſti ſteſſi nomi ſi ſervo-
no
nel formar le regole del vero e diritto argo-
mentare
;
onde altro che conſuſione e oſcurità non
può
naſcere.
Ma venendo al nome di legge, che
tanto
oggidì s’ uſa nelle ſcuole de’ſiſici, egli è
certamente
uno di quelli, che, non eſſendo ſtati
fino
ad ora ſtretti da niuna certa diffinizione, van-
no
vagando liberamente, e prendendo ora un ſen
timento
, et ora un’ altro, di che molti non
234210DELLA FORZA DE’ CORPI dendoſi ſi inganano. Io dunque per non errare,
qualor
ſento profferir legge di natura, prima di
acconſentire
a ciò, che altri ne dice, ſoglio con-
ſiderare
attentamente, in qual ſignificato prenda
un
tal nome colui, che lo profferiſce.
E per quan-
to
mi torna alla memoria, parmi di averlo udito
prendere
in molte maniere;
benchè due ſono le
più
comuni.
Primamente ſogliono chiamarſi leg-
gi
certe conſuetudini più generali e più coſtanti,
che
la natura ſegue nel produrre et ordinar le co-
ſe
;
le quali conſuetudini ſono bene ſpeſſo acciden-
tali
all’ eſſenza de’ corpi, e molte volte arbitrarie
alla
natura iſteſſa.
Leggi ancora ho udito chiamar
talvolta
certi principj, che piuttoſto neceſſità do-
vrebbon
dirſi, che leggi;
come, che il tut-
to
debba eſſer maggiore di qual ſivoglia delle ſue
parti
;
e che due coſe immedeſimate con una terza
debbano
altresì eſſere immedeſimate tra loro;
et
altre
tali neceſſità eterne et immutabili, che ven-
gono
ſotto nome di aſſiomi, ne poſſon dirſi pro-
priamente
conſuetudini introdotte dalla natura,
eſſendo
@osì antiche, come la natura ſteſſa.
Or
dunque
conſiderando io queſti due varj ſentimenti,
che
ſi danno al nome di legge, dico che io non mi
arriſchierei
già di formare una ſuppoſizione, che
foſſe
contraria ad un aſſioma;
come che ſieno ſtati
molti
eccellentiſſimi metafiſici, a’ quali ha dato l’
animo
di farlo.
E la ragione ſi è, perchè ſe gli
aſſiomi
ſono, come io credo che ſieno, legati tut-
ti
inſieme, e congiunti;
anzi immedeſimati l’
235211LIBRO II. con l’ altro, così che un ſolo e ſempliciſſimo vero
conſtituiſcano
;
parmi, che ſe uno ſe ne levaſſe via,
ſi
leverebbono tutti, ne più reſterebbe alcun prin-
cipio
alla ragione;
et io avrei tutti i timori del
Padre
Riccati.
E certo che vano ſarebbe l’ argo-
mentare
, tolto via i principj, perciocchè tolto via
queſti
, è tolto l’ argomentare ſteſſo.
Ma non però
tanto
timor mi farebbe una ſuppoſizione, per cui
ſi
levaſſe alcuna di quelle conſuetudini, che ſopra
abbiamo
detto;
perciocchè toltone una, potrebbo-
no
rimanerne molte altre, che non dipendeſſer da
quella
, e ſempre ci rimarrebbon gli aſſiomi, i qua-
li
eſſendo ſtrettiſſimamente congiunti con la ragio-
ne
, la ſeguirebbono fin nel caos;
laonde non man-
cherebbe
alla mente ne materia ne modo di argo-
mentare
, e trovare quante verità ciaſcun voleſſe.
E noi ſappiamo, che Carteſio, filoſoſo grandiſſimo,
gittate
via tutte le altre leggi della natura, ebbe ar-
dimento
di entrare col penſiero nel caos, null’ al-
tro
recando ſeco, che gli aſſiomi, e alcune poche
leggi
del moto;
e ſperò di trarne la vera forma dell’
univerſo
.
Conſiglio in vero ardimentoſo, e da non
permetterſi
, che a Carteſio.
Ma io, ſenza entrare
nel
caos, mi arriſchierei bene di ſupporre dei cor-
pi
, i quali o non ſi attraeſſer l’ un l’ altro, o foſ-
ſer
gravi non a miſura della materia loro, ma ſe-
condo
altra proporzione;
che ſebben queſte coſe
foſſer
contrarie alle conſuetudini della natura, pur
potrebbono
rettamente conſiderarſi;
et io vorrei,
ſe
aveſſi tanto ingegno da ſaper farlo, compor
236212DELLA FORZA DE’ CORPI pra eſse volumi intieri tutti pieni di concluſioni
veriſſime
;
le quali potrebbono anche eſſere utiliſ-
ſime
;
perciocchè molte volte avendo veduto quel-
lo
, che avvenir debba ad un corpo, il qual non oſ-
ſervi
certa legge della natura, più facilmente ſi paſ-
ſa
a veder quello, che debba avvenirgli, oſſervan-
dola
.
Il perchè io credo fermamente, che non ſie-
no
da vietarſi ai filoſofi ſimili ſuppofizioni;
e quei,
che
le vietano, e dicono, la noſtra mente non po-
tere
andar più avanti, ove una ſola legge di natura
ſi
tolga, confondono le leggi della natura;
non.
accorgendoſi, che quel, che dicono, è forſe vero,
ſe
la legge, che viene a toglierſi, ſia un’ aſſioma;

ſe
ſia ſol tanto una conſuetudine, non è vero cer-
tamente
.
Il ſamoſo Beccari in Bologna ha diſco-
perto
tanti corpi eſſer fosfori, che oramai può cre-
derſi
, che ſieno tutti:
del qual ritrovamento non
ſo
, ſe alcun’ altro ſiaſi fatto a noſtri tempi ne più
vago
ne più leggiadro.
Potrà dire alcuno, queſta
eſſer
legge di natura, che tutti i corpi ſien fosfori.

Diremo
noi per ciò, che ſe alcuno ſupponeſſe un
corpo
non fosforo, doveſse toſto mancare a lui la
ragione
, e ritornare il mondo nel caos?
E per ac-
coſtarmi
a quella ſuppoſizione, per cagion della.

quale
avete voluto, che io entri in queſta diſputa,
voglio
dire alla ſuppoſizione de’ corpi duriſſimi,
io
non veggo, per qual ragione il Padre Riccati
debba
averne tanta paura, e temer, che per eſsa
doveſse
mancargli la ragione;
perchè ſebbene a.
lui
pare, che per eſſa ſi levi la legge della
237213LIBRO II. , queſta legge però, quando ben foſse nella na-
tura
, non ſarebbe altro, che una conſuetudine,
e
levata eſsa, ne rimarrebbon dell’ altre, e reſte-
rebbon
certamente gli aſſiomi, ne la ragione ver-
rebbe
meno, ne il mondo perirebbe;
ſolamente,
ſuppoſti
tali corpi, mancherebbe, come egli ar-
gomenta
, la continuità;
ne queſto ſteſso potreb-
be
egli argomentare ſenza ſupporli.
Sebbene che
giova
fermarci in queſta controverſia, ſe prima
non
ſi dimoſtri la continuità efsere veramente una
legge
di natura?
Voi dunque negate, diſſe allora
il
Signor D.
Serao, che le coſe, per inſtituto della
natura
loro, traggano alla continuità.
Io nol
nego
già, riſpoſi;
aſpetto che il mi dimoſtriate.
Ne voglio, che mi dimoſtriate, che la continui-
ſia un principio o un’ aſſioma;
a me baſta.
ſol
tanto, che mi facciate vedere, che ella ſia.

una
perpetua, e general conſuetudine.
Queſto,
diſſe
il Signor D.
Serao, non è difficile a dimo-
ſtrarſi
, ſe non quanto è difficile raccoglier qui
tutti
gli eſempi, che trar ſi poſſono dalla meccani-
ca
e dalla fiſica, ne quali apertamente ſi vede,
quanto
ſia la natura coſtante oſſervatrice della con-
tinuità
.
E per far vedere, diſſe quivi il Signor D.
Niccola
, quanto la continuità regni in tutte le.

coſe
, potrebbono anche trarſene innumerabili
eſempi
dalla geometria.
Io credo, riſpoſe il Si-
gnor
D.
Serao, che la geometria ſia ſtata la pri-
ma
, che abbia ſcoperto la continuità alla mecca-
nica
et alla fiſica;
le quali due ſcienze non
238214DELLA FORZA DE’ CORPI farebbono forſe mai avvedute, ſe la geometria
non
la moſtrava loro.
Ma queſto Signore conce-
derà
facilmente la continuità nelle coſe, che ſi
conſiderano
da voi altri geometri, negandola in
quelle
, che ſi conſiderano dai fiſici.
Et io allora,
ne
in quelle, diſſi, ne in queſte la negherò;
aſ-
petterò
bene, che mi ſi dimoſtri nell’ une, co-
me
nell’ altre.
Mentre queſti ragionamenti tra.
noi erano, ci accorgemmo, che il naviglio aven-
do
fatto ſuo giro, cominciava di accoſtarſi a ter-
ra
;
e già vedevamo venirci incontro le belle ſpiag-
ge
di Baja, cui di lontano ſeguivano le erboſe
rive
dell’ ameno e dilettevol Pozzuolo;
e raden-
do
con la nave una iſoletta, che di boſchetti a-
dorna
, e di caſe, uſciva tutta feſtoſa dell’ onde,
vedemmo
alquanti paſtori, che ſopra v’ erano,
al
dolce ſuono di più ſampogne lietamente dan-
zare
con alquante leggiadre paſtorelle vezzoſa-
mente
inghirlandate.
La qual viſta traſſe a ſe gli
occhi
di tutti, maſſimamente del Signor Marche-
ſe
di Campo Hermoſo;
che poſcia a me rivolto,
qual
parte è, diſſe, ne’ beati contorni di Napoli,
che
non ſia piena d’ allegrezza e di riſo?
tal ch’
io
mi credo, che gli amori, e le grazie ſe gli
abbian
preſi per lor ſoggiorno;
invitandovi ſpeſ-
ſo
ancor le muſe.
E vi verran volentieri, riſpoſi
io
, ricordandoſi del divin Sannazzaro, che ve le
traſſe
altra volta così ſoavemente con quelle ſue
piſcatorie
;
nelle quali imitò così bene l’ inimita-
bil
Virgilio.
E ben mi credo, che queſte
239215LIBRO II. e queſti ſcogli, e queſt’ onde appreſe l’ abbiano,
e
le ripetan talvolta;
e già, non ſo come, mi
par
di udire il lamentevol canto di Licida, di
cui
non poſſo mai ricordarmi, ſenza che a mente
mi
torni il pianto di Coridone.
Qui la Signora
Principeſſa
, a me rivolta, diſſe:
laſciate pianger
Coridone
, e riſpondete a quello, che il Signor
D
.
Serao, e il Signor D. Niccola teſtè dicevano:
e già la vaga iſoletta, ſcorrendo oltre il naviglio,
avevamo
laſciata addietro;
quando io riſpoſi: Si-
gnora
, io ho già detto che ſto aſpettando, come
la
continuità mi ſi dimoſtri o nella geometria, o
nella
meccanica, o in tutte quelle ſcienze, che eſſi
vorranno
.
Io non aſpettava già io, diſse quivi il
Signor
D.
Nicola, che voi voleſte, che la conti-
nuità
vi ſi dimoſtraſse nelle coſe de’ geometri;
per-
ciocchè
fra quante eſſi ne conſiderano, qual n’ ha,
o
ſia linea, o ſia ſuperficie, o ſia corpo, o di qual’
altra
maniera voi vogliate, in cui non ſi oſſervi
una
coſtante e perpetua continuità?
Qual progref-
ſione
ha nelle idee dei geometri, quale andamen-
to
, qual ſerie, in cui paſsandoſi da un termine
ad
un’ altro, non ſi tocchino tutti i gradi, che
vi
ſono frappoſti?
Così procedono le ordinate in
tutte
le linee curve;
e con eſse ſi eſprimono, co-
me
ſapete, e rappreſentano tutte le altre quantità.

E
le curve ſteſse, ſeguendo ſempre una medeſima
legge
, ritengono perpetuamente la lor natura, ne
mai
ſi trasformano ſubitamente l’ una nell’ altra.

Di
che ſe io voleſſi recarvi gli eſempi, prima
240216DELLA FORZA DE’ CORPI tempo mi mancherebbe, che le parole. Ma a voi
ſta
di moſtrarmi una figura ſola, una progreſſion
ſola
, un ſolo andamento, in cui troviſi diſconti-
nuità
.
Eccovi, ſubito riſpoſi: il triangolo. Do-
ve
trovate voi, diſse il Signor D.
Niccola, la di-
ſcontinuità
nel triangolo?
Nell’ orlo, riſpoſi io,
o
vogliam dir nel perimetro;
il quale procedendo
dall’
una eſtremità della baſe ſino all’ altra con
uno
andamento ſempre retto, ſubito poi ſi torce,
e
va a ſormare un lato, faccendo con la baſe un’
angolo
di qualſivoglia grandezza ſenza aver fatto
prima
gli altri angoli minori;
e giunto poi alla
cima
del triangolo, ſi torce ſimilmente di nuovo,
faccendo
all’ improvviſo un’ altro angolo;
fatto il
quale
ſi riconduce a quella eſtremità della baſe,
onde
partì.
Ed eccovi la diſcontinuità, che chia-
ramente
appariſce nell’ andamento del perimetro.
Qui ridendo il Signor D. Niccola, ben veggo, diſ-
ſe
, che vi prendete diletto di noi.
E chi non ſa,
che
il perimetro di un triangolo non ci ſi forma
nell’
animo per una progreſſione, la qual ci porti
a
formarlo;
ma è una poſizione di tre linee, che
ſi
prendono, e collocano a piacer d’ ognuno.
E
potrebbe
anche uno formarſi un triangolo, il cui
perimetro
compoſto ſoſse di tre linee curve tra lo-
ro
diverſiſſime;
in cui certamente non ſarebbe la
continuità
;
perchè chi vuole eſiggerla in quelle
coſe
, che formanſi ad arbitrio?
Et io vorrei ſape-
re
, riſpoſi, qual ſia quella figura, che i geometri
non
ſe l’ abbian formata ad arbitrio.
Che ſe
241217LIBRO II. d’ ordinario le formano, che appariſce in ogni lor
parte
la continuità;
a ciò gl’ inducono certe re-
gole
, che eſſi ſi hanno propoſto nel formarle;
dalle quali regole ſe vorranno partire (e potran-
no
ſempre, che il vogliano) incontreranno nelle
lor
figure tante diſcontinuità, quante ne vorran-
no
;
ne tali figure ſaran per queſto da rimoverſi dal-
la
conſiderazion dei geometri, e ſaranno così belle
e
così buone, come le altre.
Et acciocchè non pa-
ja
, che io abbia addotto l’ eſempio del perimetro
nel
triangolo pernon averne altro, quantunque fa-
cilmente
ſi intenda, che quello, che ho detto del
triangolo
, può ſimilmente dirſi di ogni altro poli-
gono
, e di tutte le linee curve, ove ne piaccia di
trasformarle
in poligoni;
vedete di grazia un’ an-
golo
ſolo fatto da due linee rette:
il quale, diſtra-
endoſi
viepiù le linee, et allargandoſi, viepiù cre-
ſce
, e più ſempre creſcendo, come le linee vengono
a
porſi in dirittura l’ una dell’ altra, improv viſamen-
te
divien nullo.
Il che certamente è contrario alla
continuità
, la qual vorrebbe, che ogni quantità di-
veniſſe
nulla a forza di impiccolirſi;
e voi vedete,
che
l’ angolo divien nullo nel ſuo creſcere.
E ve-
dete
però, diſſe quivi il Signor D.
Niccola, che
diſtraendoſi
vie più le linee, vie più ancora creſce
l’
arco, che è miſura dell’ angolo;
e queſt’ arco,
mettendoſi
le linee in dirittura l’ una dell’ altra.
,
non
diviene già egli nullo;
anzi ſi fa maggiore che
mai
;
laonde pare, che dove voi trovate diſcontinui-
, ſi trovi anzi continuità.
E ſimilmente potrei
242218DELLA FORZA DE’ CORPI re del perimetro del triangolo; perchè, comunque
ſia
l’ andamento dei lati, ſe voi però da tutti i pun-
ti
della baſe condurrete altrettante linee ad’ eſſa
perpendicolari
, le quali vadano a terminarſi nei la-
ti
, trover te che queſte, cominciando da una e-
ſtremità
della baſe van ſempre creſcendo a poco a
poco
, ſenza laſciare addietro verun’ accreſcimento
quantunque
piccoliſſimo, in fin a tanto che giun-
gano
alla cima del triangolo;
alla qual giunte co-
minciano
toſto a ſminuirſi, e paſſando per tutti gl’
infiniti
gradi della diminuzione ſi ritornan nel nul-
la
.
E queſte perpendicolari ſegnano con le loro e-
ſtremità
il perimetro del triangolo, il qual per ciò
par
nato da una certa continuità.
Avendo così det-
to
il Signor D.
Niccola, io non nego, riſpoſi, che
dove
io trovo diſcontinuità, non poſſa trovare al-
tri
la continuità, dipendendo tutto queſto dalla
diverſa
maniera, con cui vogliono le coſe riguar-
darſi
.
E forſe che non è ſigura niuna tra quelle, che
vengono
in mente a geometri, in cui ſe alcune di-
ſcontinuità
appariſcono, non abbiano, per così dir,
ſotto
ſe una perpetua continuità, che le ſegue, e in
certo
modo le regge.
Ma altro è, che non ſia nelle
idee
de’ geometri diſcontinuità niuna;
altro è,
che
quelle, che vi ſono, ſieno ſempre accompa-
gnate
da qualche continuità.
E di vero per quan-
to
voi troviate la continuità nella ſerie degli ar-
chi
, che tengon dietro all’ angolo, mentre egli ſi
va
accreſcendo;
negar però non potete, che ſia
diſcontinuità
nell’ angolo iſteſſo, divenendo
243219LIBRO II. nel corſo del ſuo accreſcimento improvviſamente
nullo
.
Anzi ſe voi conſidererete gli archi, non in-
quanto
ſono archi, ma inquanto ſono miſure d’
angoli
, troverete la diſcontinuità anche in loro;
perchè divenendo l’ angolo nullo, benchè l’ arco,
inquant’
è arco, divenga maggiore, divien però
nullo
, inquanto è miſura dell’ angolo.
E ſimil-
mente
è da concedere, che il triangolo nell’ an-
damento
del ſuo perimetro non ſegue in niun mo-
do
la continuità;
benchè la ſeguano queile perpen
dicolari
, che v’ è piaciuto ora di fingere;
le
quali
avreſte potuto ſimilmente fingere anche in
un
triangolo, che chiamerebbeſi miſtilineo, un la-
to
del quale foſſe un’ arco d’ una parabola, e l’
altro
foſſe un’ arco d’ una ciſſoide;
il cui perime-
tro
non ſi direbbe però avere continuità;
poichè
tenendo
per qualche tratto la forma di una curva,
paſſerebbe
ſubitamente a prender la forma di un’
altra
.
Io dico dunque, che può eſſere nelle idee
de’
geometri alcuna diſcontinuità, benchè ſia for-
ſe
accompagnata ſempre da qualche continuità;
e
forſe
anche, ſe così volete, naſca da eſſa;
come ſe
voi
voleſte, che dalla ſerie di quelle perpendicola-
ri
, da voi poco fa rammemorate, avendo eſſa
continuità
, ne naſceſſe un perimetro, che non l’
ha
.
Ma non potrebbe dirſi queſto ſteſſo, cioè che
la
diſcontinuità ſia ſempre accompagnata, o naſca
da
qualche continuità;
ſe non vi foſſe diſcontinui-
niuna.
Avendo io detto queſte coſe, il Signor
D
.
Niccola già diſponevaſi di riſpondere;
244220DELLA FORZA DE’ CORPI do avvedutoſi che il Signor Marcheſe di Cam-
po
Hermoſo moſtrava aver voglia di fare qualche
domanda
, a lui rivolto, non commetterò io, diſſe,
che
la noſtra compagnia ſi reſti priva di quello, che
vi
è venuto nell’ animo.
Perchè, ſe alcuna doman-
da
avete a fare, fatela.
Et egli allora, la noſtra
compagnia
, diſſe, non potrebbe deſiderare di udir
me
, avendo udito voi due.
Voi non ſapete, riſpo-
ſi
, tutto quello, che noi poſſiamo deſiderare;
per-
chè
vi prego di voler dire;
e ardiſco pregarvene
anche
a nome degli altri.
Allora il Signor Marche-
ſe
, a me rivolto, diſſe:
Se la natura del vero ſof-
fre
alcuna diſcontinuità, come voi dite, nelle li-
nee
, e neile figure, e nelle altre idee de’ geome-
tri
, e negli andamenti loro;
io vorrei ſapere, don-
de
avvenga, che in ogni linea curva ſi trovi ſem-
pre
continuità;
che di quante io n’ ho vedute (e
molte
già ne vidi ſtudiando algebra in Palermo
ſotto
la diſciplina del Signor D.
Luigi Capece)
niuna
parmi di averne incontrata mai, che la leg-
ge
della continuità non oſſervaſſe;
ſeguendo ognu-
na
ſempre la ſteſſa regola ſenza mai allontanarſe-
ne
;
ne pervenendo mai le ordinate al zero ſenza
prima
impiccolirſi a poco a poco;
ne trasferendo-
ſi
mai dall’ eſſere poſitivo al negativo, ſenza eſſere
paſſate
prima per lo zero, o aver varcato li ſpazj
interminabili
dell’ infinito.
E quella continuità
quanto
valeva a render vaga e leggiadra ogni cur-
va
! Qui ſi tacque il Signor Marcheſe, et io incon-
tanente
riſpondendo, piacciavi, diſſi, di
245221LIBRO II. re, che io non ho mai negato, che ſia continuità
nelle
idee dei geometri;
ho detto ſolo, niuno aver-
mi
finqui dimoſtrato, che eſſe non poſſano talvol-
ta
incorrere in alcune diſcontinuità, le quali per-
avventura
potrebbon naſcere da quella iſteſſa re-
gola
di continuità, che le accompagna.
E voi for-
ſe
ne avreſte trovate alcune in quelle voſtre curve,
che
già oſſervaſte, ſe preſo dalla vaghezza del-
la
continuità, e da eſſa rapito, aveſte potuto
cercar
altro.
Ne io però mi meraviglierei, ſe in
quelle
voſtre curve aveſte anche trovata per tutto
la
continuità ſenza diſcontinuità niuna;
percioc-
chè
i geometri ſe le compongono a modo loro,
proponendoſi
una certa regola di formarle, che
ſoglion
chiudere in una equazione, e non volen-
do
, che appartengano alla curva ſe non quei pun-
ti
, che ſecondo quella regola ritrovano;
e perchè
quella
regola trae a continuità, per ciò ogni cur-
va
, che eſſi compongono, moſtra continuità per
tutto
;
ne mai parte da quella ſteſſa regola; per-
ciocchè
come potrebbe partirne, ſe la compongon
con
eſſa?
Non è dunque, che tutte le curve, che
venir
poſſono in penſiero, abbiano di lor natura
una
coſtante e perpetua continuità;
e ſe i geome-
tri
in tutte quelle, che ſtudiano, la trovano;
ciò
non
è, perchè tutte le immaginabili curve l’ abbia-
no
, ma perchè eſſi non ſtudiano, ſe non quelle,
che
l’ hanno.
Se noi con un piano tagliaſſimo un
corpo
, la cui ſuperficie foſſe di molte, e tra lor
varie
, ſuperficie compoſta, chi potrebbe
246222DELLA FORZA DE’ CORPI terſi, che quella linea, la qual naſceſſe dal taglio
della
ſuperficie e del piano, aveſſe in ogni ſua par
te
continuità?
Ne ſo già, ſe voi poteſte tanto ſi-
curamente
affermarmi, che volendo riferire una
tal
linea ad un certo aſſe, e comporla per ordina-
te
, doveſſero aver queſte quel bell’ ordine e quel-
la
vaga continuità, che tanto nelle voſtre curve vi
piacque
.
E per tornare a coteſte curve, che bella
continuità
trovate voi , dove le ordinate ſten-
dendoſi
dall’ una parte in infinito, paſſano to ſto a
ſtenderſi
in infinito dall’ altra?
nel qual luogo ſi
direbbe
eſſere diſcontinuità ſomma, ſe ella non
naſceſſe
da quella iſteſſa regola, con cui piac-
que
da principio formar la curva, e che eſſen-
do
continva, pur fa naſcere qualche diſconti-
nuità
.
E come la regola, con cui ſi formano
le
linee curve, e le figure tutte, dipende dall’
arbitrio
dei geometri, così poſſono eſſe avere con-
tinuità
, e non averla;
ne la natura del vero le
sforza
all’ uno od all’ altro, valendo in ciò la vo-
lontà
degli uomini.
Avendo io dette queſte coſe,
il
Signor Marcheſe, moſtrando di acconſentire, riſ-
poſe
.
Queſta ragione però non dovrebbe valervi
nelle
opere della natura, le quali, non dalla vo-
lontà
degli uomini, ma dalla volontà di lei ſteſſa
ſi
movono e ſi reggono.
Et io, vedete, diſſi, che
non
ſia per queſto iſteſſo più difficile il dimoſtrare
la
continuità nelle opere della natura, che in quel-
le
degli uomini;
perchè, ſe la natura le move e
regge
a modo ſuo, chi può ſapere, ſe ella ſi
247223LIBRO II. voluto imporre, qual prima e principal legge, la
continuità
, così che niun corpo per niuno acci-
dente
, che avvenir poſſa, debba poter paſſare da
una
qualità ad un’ altra, et avendo una forma
prenderne
una nuova, ſenza aver prima avute
tutte
le qualità o forme intermedie?
E ſe noi in
moltiſſime
coſe, che non ſo già ſe in tutte, tro-
viamo
la continuità, potrebbe ella eſſere una con-
leguenza
di qualche regola o legge, la quale in-
ducendo
continuità in moltiſſime, laſciaſſe però
luogo
alla diſcontinuità in alcune.
E qual potreb-
be
eſſere coteſta legge?
diſſe il Signor Marcheſe;
et io riſpoſi: le leggi ſteſſe del moto, le quali ſe ſi
avverranno
in corpi duriſſimi, non ſolamente per-
metteranno
nel loro incontro qualche diſcontinui-
;
ma la vorranno, e la chiederanno. E chi ſa, ſe
la
natura, per isfuggire ogni diſcontinuità, abbia
voluto
guardarſi di produrre verun corpicciuolo
duriſſimo
, chenti erano gli atomi d’ Epicuro?
Chi
ſa
, ſe i globetti della luce, i quali ſi dice, che arri-
vando
a toccare la ſuperficie di alcun corpo, che
non
abbia virtù di riſpignerli, perdono toſto il
lor
movimento, chi ſa, dico, ſe non ſieno duriſ-
ſimi
, o in altro modo ſciolti dell’ obbligo della
continuità
?
e la natura intanto ſeguendo in tutto
le
leggi del moto, le quali ſole a lei baſtano per
produrre
qualunque aſpetto dell’ univerſo, permet-
ta
a queſti aſpetti medeſimi, et ai corpi, che gli
formano
, qualche diſcontinuità?
Avendo io fin-
quì
detto, e penſando di dir più oltre, il
248224DELLA FORZA DE’ CORPI D. Serao mi ſi fe incontro con queſte parole. Voi
però
durereſte gran fatica a moſtrarmi un’ eſempio
ſolo
, in cui foſſe diſcontinuità;
e diſcorrete pure
a
voglia voſtra per tutta la meccanica, e per tutta
la
fiſica, quant’ ella è;
io potrei ben di preſente
moſtrarvene
mille, in cui trovereſte una perſetta
continuità
.
E voi ſapete, che gli eſempi vogliono
uſarſi
in queſta controverſia, non le ſottigliezze.
Io certo, riſpoſi, non prenderei ora la fatica di
addurvi
tutti gli eſempi della diſcontinuità;
e ſo
già
, che alcuni, avendoſi fitta nell’ animo la con-
tinuità
, qualunque effetto lor ſi preſenti, in cui
eſſa
non appariſca, tanto s’ ingegnano, e ſtudiano
tanto
, che trovano finalmente la via di ſupporve-
la
;
e potendovela ſupporre, par loro, che vi ſia.
E
ſe io vi diceſſi, che un corpo venendo a percuo-
tere
obliquamente in un piano, acquiſta ſubito due
direzioni
, una delle quali è perpendicolare ad eſſo
piano
, ſenza aver prima acquiſtato tutte le dire-
zioni
intermedie, che ſono tra queſta, e quella, che
avea
;
e ſe vi diceſſi, che l’ acqua ſgorgando dal fian-
co
di un’ vaſo, nel primo ſuo uſcire acquiſta ſu-
bito
tutta quella velocità, che avr@bbe a poco a
poco
acquiſtata, ſe ſoſſe caduta da tanta altezza,
quanta
ne ha l’ acqua nel vaſo;
e ſe altri effetti di
tal
maniera vi proponeſſi;
io ſon certo, che voi vi
ingegnereſte
tanto, che finalmente trovereſte la via
di
ridurli a continuità;
e in ciò forſe tante ſotti-
gliezze
adoprereſte, che non dovreſte più rifiutare
le
mie.
Ma io non ho biſogno di gran
249225LIBRO II. za per perſuadermi, che poſſa un corpo eſtrema-
mente
roſſo eſſer viciniſſimo ad’ un’ altro eſtre-
mamente
verde, così che dal roſſo ſi venga al ver-
de
ſenza paſſare per li colori frappoſti.
E lo ſteſ-
ſo
potrei ſimilmente dire di tutte le altre qualità.
Perchè non potrebbe un corpo oltremodo duro
per
alcun’ accidente eſſere viciniſſimo ad’ un’ altro
ſommamente
molle;
et uno denſiſſimo ad un rariſſi-
mo
?
Ne accade che voi vi affatichiate di addurre i
mille
eſempi, in cui chiara appariſca la continuità;

perchè
io non nego, che la continuità non ſi oſ-
ſervi
in moltiſſime opere della natura;
ne potreb-
bon
però i mille eſempi dimoſtrarla evidentemen-
te
, e metterla fuori d’ ogni dubio;
ſolamente le
acquiſterebbono
una qualche probabilità.
Ne quel-
li
ſorſe, diſſe quivi il Signor D.
Serao, che ſoſten-
gono
la continuità, l’ hanno per coſa evidente;

baſtando
loro, che ſia molto probabile.
Ma voi
vorreſte
l’ evidenza per tutto.
Io non vorrei già,
riſpoſi
, l’ evidenza per tutto, ſapendo beniſſimo,
che
ſon molte coſe, in cui non poſſiamo ſperarla.

Vorrei
bene, che le coſe evidenti foſſero pi-
gliate
, come evidenti, e le probabili, come pro-
babili
.
Il che ſe tutti faceſſero, non ſarebbon tan-
ti
, quanti ne ſono, i quali rifiutano un ſiſtema, d’
altronde
comodiſſimo, per queſto ſolo, che egli ſi
oppone
ad un principio, che eſſi amano, e che al-
tro
non è ſe non probabile;
perciocchè o il ſiſte-
ma
par loro comodo, e ſe è così, il principio dee
cedere
, e dargli luogo, ceſſando per allora d’
250226DELLA FORZA DE’ CORPI ſer probabile; o il ſiſtema non è ne comodo ne
adattato
agli effetti, ed egli allora dee riſiu-
tarſi
per queſto, non perchè ſi opponga a quel
tale
principio.
E certo che, quanto a me, io non
rifiuterei
un ſiſtema, il qual mi ſpiegaſſe comodiſ-
ſimamente
tutti gli effetti, per queſto, che incor-
reſſe
talvolta in qualche diſcontinuità;
e più toſto
che
rigettare il ſiſtema per ritenere la continuità,
rigetterei
la continuità per ritenere il ſiſtema.
E
quelli
, che fanno il contrario, parmi, che abbia-
no
la continuità per più che probabile.
Io non ſo
quello
, diſſe qui il Signor D.
Serao, che tutti fan-
no
.
So bene che io ho udito molti, che ſoſtene-
vano
la continuità non altro che come coſa aſſai
veriſimile
;
e dicevano di valerſene per non avere
alcun’
altro principio più certo;
e in ciò moſtra-
vano
una modeſtia grandiſſima.
Vedete, riſpoſi,
non
foſſer di quegli (che moltiſſimi n’ ha) i quali
cominciano
con gran modeſtia, e finiſcono con
gran
baldanza.
Perchè conoſcendo la debo-
lezza
de’ principj loro, cominciano col propor-
li
umilmente:
egli ſi par veriſimile: facile coſa è
da
concederſi:
ſembra che il buon ſenſo detti; e
tanto
van dietro i pauroſi con quelle forme piene
di
modeſtia e di umiliazione, proteſtando pure di
non
ſaper nulla di certo, che è uno sfinimento ad
udirli
;
procedendo poi oltre col diſcorſo, depongo-
no
tutta l’ umiltà a poco, a poco, e ſtabiliſcono final-
mente
le conſeguenze loro con tanto orgoglio,
quanto
appena ſi comporterebbe ad’ un geometra;
251227LIBRO II. ne avvertono, che ſe furono tanto timidi nei prin-
cipj
, conveniva loro eſſer più timidi nelle conſe-
guenze
.
Riſe quivi il Signor D. Serao, etio non
nego
, diſſe, che queſto errore non ſia oggidì di
molti
, i quali come giungono al fine dellor diſcor-
ſo
, più non ſi ricordano la debolezza di quei prin-
cipj
, ſopra cui lo fondarono, e vogliono ſpacciar
per
ſicura una conſeguenza, che hanno tratta da.
principj non ſicuri. Non cosi però parmi, che fac-
cia
Giovanni Bernulli in quel ſuo nobiliſſimo ragio-
namento
, la dove dalla continuità della natura.

paſſa
a dimoſtrare, non dover eſſer nel mondo al-
cun
corpo duriſſimo, e ne leva via per fino la ſup-
poſizione
.
Voi ſapete che l’ accademia di Parigi,
ſupponendo
i corpi duriſſimi, avea chieſto, che ſi
cercaſſero
quelle leggi del moto, che più loro ſi
conveniſſero
.
Riſpoſe Bernulli, che non potean.
quelli
ſupporſi, eſſendo contrarj alla continuità.

Io
non mi ricordo bene le ſue ragioni;
ma ſe do-
veſſe
argomentarſi per via dell’ autorità, et io vo-
leſſi
valermi di quella di un così grand’ uomo, che
ha
creduto non poter ſupporſi in verun modo i
corpi
duriſſimi, ſolo perchè alla continuità ſi op-
pongono
;
quale autorità mi opporreſte voi? Quel-
la
, riſpoſi, dell’ accademia di Parigi;
che pur gli
aveva
ſuppoſti, e non doveva aver avuto tanta.

paura
di contravvenire alla continuità.
Ma noi, cre-
do
, non vogliam moverci ne per l’ una autorità
ne
per l’ altra, come che ſieno e l’ una e l’ altra.

graviſſme
.
, diſse il Signor D. Serao, ma
252228DELLA FORZA DE’ CORPI li, volendo paſsare a quella ſua conſeguenza, che
egli
ſi avea propoſto:
cioè, che i corpi duriſſimi
non
poſsan ne eſsere ne ſupporſi:
e volendo per-
ciò
incominciare dal principio della continuità,
egli
non lo aſsunſe già così ad arbitrio, ma lo pro-
con alquante ragioni, che da molti ſi pigliano
come
evidenti, e che voi avrete ben lette.
So, ri-
ſpoſi
, che già le leſſi;
ma ora non le ho a memo-
ria
;
ben parmi, quando le leſſi, che più, che le
ragioni
, mi moveſse l’ autorità dell’ uomo;
alla.
quale però abbiamo detto di non volere ora atte-
nerci
.
E ſe io non aveſſi molti eſempi nella na-
tura
, che mi rendono alquanto probabile la con-
tinuità
, le ragioni di Bernulli non me l’ avrebbo.

no
fatta mai parer tale.
Ma dir ciò è nulla, eſsen-
doci
di quelle ragioni dimenticati e voi et io;
il
che
è anche argomento, che non ci doveſser pa-
rere
di tanto peſo.
Qui ridendo il Signor D. Nic-
cola
, la voſtra dimenticanza, diſse, non vi ſervi-
punto a sſuggir di dirne il parer voſtro;
per-
chè
io ho qui il libro del Padre Riccati, in.

cui
ſono le ragioni ſteſse di Bernulli, tradotte nel-
la
noſtra volgar lingua diligentemente, et io poſso
leggervele
così che la dimenticanza non vi ſcuſi;

oltreche
il luogo, che le contiene, è aſſai breve,
ne
a leggerlo ſi richiederà troppo lungo tempo.
Be-
ne
ſtà, diſſe la Signora Principeſſa;
et io avrò ca-
ro
, che noi chiudiamo il noſtro preſente ragiona-
mento
, conſiderando le ragioni di quel valentiſſi-
mo
uomo;
perchè ſe io ben conoſco queſte
253229LIBRO II. che andiam radendo a ſiniſtra, noi ſiamo già ſotto
Baja
, e poichè il vento s’ è fatto alquanto gagliar-
detto
, non andrà molto, che noi ſaremo à Poz-
zuolo
.
Mentre la Signora Principeſſa così diceva,
il
Signor D.
Niccola traſſe fuori il libro, e rivol-
gendone
quà e le carte, s’ avvenne alla pagina
343
, ove vide, che il Padre Riccati, parlando di
Bernulli
, dice aver lui fatto vedere chiariſſimamen-
te
, che un corpo, il qual ſia d’ una perfetta durez-
za
, involve maniſeſta contradizione.
Oh! qui,
diſſe
, dovrebbon eſſere le ragioni, onde Bernulli
dimoſtra
la continuità.
E guardando alla ſeguente
pagina
:
eccole diſse, e cominciò a leggere = In
effetto un ſomigliante principio di durezza non po-
trebbe eſiſtere.
Egli è una chimera, che repugna alla
legge generale, che la natura oſſerva coſtantemente
in tutte le ſue operazioni.
Io parlo di quell’ ordine.
immutabile e perpetuo, ſtabilito dalla creazione dell’
univerſo, che ſi può appellare legge di continuità,
in virtù della quale tutto ciò, che s’ eſeguiſce, ſi
eſeguiſce per gradi infinitamente piccioli = Fin qui,
diſſi
io allora, interrompendolo, non altro ſi fa,
che
propor la coſa con gran pompa di parole;
niente ſi prova, ne ſi dimoſtra. Abbiate pazienza,
diſſe
il Signor D.
Nicola; che quì cominciano le
prove
;
et eſſendoſi di nuovo poſto a leggere, re-
citate
le prime parole = Sembra, che il buon ſenſo
detti = riſtette alquanto, e ſorridendo diſse:
voi
direte
queſta eſſere una di quelle forme piene di
modeſtia
, con cui cominciano i pauroſi, per
254230DELLA FORZA DE’ CORPI poi con orgoglio. Certo, diſſi, le dimoſtrazioni
dei
geometri non ſoglion così cominciarſi:
Sembra
che il buon ſenſo detti.
Ma queſto che fa; ſe le ra-
gioni
, che ſoggiugne Bernulli, ſieno chiariſſime,
et
evidentiſſime?
Però leggetele. Allora il Signor
D
.
Nicola ricominciò = Sembra che il buon ſenſo
detti, che verun cangiamento non poßa farſi per ſal-
to;
per ſalto non opera la natura. Non v’ ha coſa,
che paſſar poſſa da una eſtremità all’ altra ſenza paſ-
ſare per tutti i gradi di mezzo = Qui non potendo
tenermi
, ſon queſte, diſſi, quelle dimoſtrazioni
chiariſſime
et evidentiſſime?
Ma la Signora Prin-
cipeſſa
interrompendomi, voi ſiete, diſſe, impa-
ziente
fuor di modo;
e intanto il Signor D. Ni-
cola
ſeguitò a leggere = E qual conneſſione ſi con-
cepirebbe tra due eſtremità oppoſte indipendentemente
da ogni conneſſione di ciò, che è tra mezzo?
= e let-
te
queſte parole ſi fermò alquanto.
Io allora, non
fo
, diſſi, ſe queſta a voi paja una ragione;
a me.
certamente o non pare, o non pare almeno di
quella
tanta evidenza, che a ſtabilire un principio
infallibile
, e neceſſario ſi richiederebbe.
Avendo
io
così detto, e tacendomi, parve, che gli altri pur
ſi
taceſſero, et io ſeguitai:
io dico dunque, che.
ſe
un corpo, ſcorrendo uno ſpazio, dee paſſare da
un
luogo ad un’ altro, dee paſſare altresì per li
luoghi
interpoſti ſeguitamente, ſalvo ſe egli non
vi
foſſe portato per miracolo;
e può dirſi, che l’
un
termine di quel corſo ſi connetta con l’ altro
per
la ſerie di quei luoghi, che la natura vi ha.
255231LIBRO II. realmente frappoſti. E ciò intendo io beniſſimo.
Ma non ſo già, perchè debba neceſſariamente dir-
ſi
lo ſteſſo, qualunque volta un corpo paſſi da qual-
ſiſia
forma o qualità ad un’ altra:
per eſempio dal
roſſo
al verde, dalla luce all’ oſcurità, dal movi-
mento
più veloce al meno;
tra le quali forme e.
qualità
noi concepiamo in vero de i gradi, per paſ-
ſare
dall’ una all’ altra col penſiero più comoda-
mente
;
ma queſti gradi realmente non vi ſono,
ſe
già la natura non ve gli fa a poſta.
Ne però,
cred’
io, ha biſogno di farli;
perciocchè ſe le leg-
gi
per eſſa ſtabilite richiedſſero, che un corpo roſ-
ſo
ſubitamente diventaſſe verde;
quel roſſo e quel
verde
ſi connetterebbono tra loro abbaſtanza per
quella
ſteſſa legge, che richiedeſſe prima l’ uno e
poi
ſubitamente l’ altro, ne avrebbono biſogno
d’
altra conneſſione.
E ſimilmente ſe due corpi du-
riſſimi
, incontrandoſi, ſubitamente ſi fermaſſero,
così
chiedendo le leggi del moto;
et io foſſi do-
mandato
della cagione, che connetteſſe inſieme.

quel
movimento con quella ſubita quiete, non.

dubiterei
di riſpondere, tutta la conneſſione eſſer
poſta
nelle leggi del moto, che in quel caſo vor-
rebbono
, che la quiete ſuccedeſſe ſubito al movi-
mento
.
E tal conneſſione baſterebbe loro ſenza i
gradi
frappoſti;
perciocchè la natura congiunge in-
ſieme
le qualità, e le connette, com’ ella vuole, e
vuol
talvolta congiungerle, traendole per tutti gl’
interpoſti
gradi;
e potrebbe anche voler farlo d’
altra
maniera.
Secondo voi dunque, diſſe
256232DELLA FORZA DE’ CORPI il Signor D. Serao, potrebbe la natura volere
due
coſe tra loro ſconneſſe.
Non le vorrebbe ſcon-
neſſe
, riſpoſi;
connettendole col volerle. E quan-
do
anche le voleſſe ſconneſſe;
non ſo, quale aſſur-
do
ne ſeguiſſe.
Ma ſe voi farete, ripigliò il Si-
gnor
D.
Nicola, tanti comenti, non ſarà mai, che
per
noi ſi venga a capo di queſta lezione.
Aſcolta-
te
l’ altro argomento, che ſegue, che vi parrà for-
ſe
miglior del primo;
e ſeguì di leggere = Se la
natura poteſſe paſſare da un’ eſtremo all’ altro, per
eſempio dal ripoſo al movimento, dal movimento al
ripoſo, da un movimento al contrario, ſenza paſſar
per tutti li movimenti inſenſibili, che conducono dall’
uno all’ altro, egli converrebbe, che il primo ſtato
foſſe diſtrutto, ſenza che la natura ſapeße, a qua-
le ella doveße determinarſi;
giacche per qual ra-
gione la natura ne preferirebbe uno in particola-
re, di cui ſi potrebbe chiedere, perchè queſto più
toſto che qualunque altro?
concioſiacbè non eſſen-
dovi legamento alcun neceſſario tra queſti due
ſtati, niente di paſſaggio dal movimento al ripo-
ſo, dal ripoſo al movimento, o da un movimento
all’ oppoſito, ragion veruna non la determinerebbe a
produr’ una coſa più toſto che l’ altra = Avendo
finqui
letto il Signor D.
Nicola, e ſcorſi con l’
occhio
i ſeguenti verſi, vide, che gli argomenti,
da
Bernulli addotti, per iſtabilire la continuità,
erano
al fin venuti;
laonde chiuſo il libro, che
vi
par, diſſe a me rivolto, di queſto ſecondo ar-
gomento
?
et io diſſi: a me par, che Bernulli
257233LIBRO II. bia la natura per molto ignorante: volendo, che
ella
, qualor rimove dallo ſtato ſuo un qualche
corpo
, non poſſa ſapere in qual’ altro ſtato deb-
ba
riporlo, ſe una ſerie di gradi infinitamente
piccoli
non venga a moſtrargliele.
Nel che par-
mi
, che egli non ſolamente voglia, che la natu-
ra
oſſervi la continuità nelle coſe, ma che non ab-
bia
, ne poſſa avere verun’ altra legge, cui oſſer-
vare
;
perchè ſe alcuna ne aveſſe, potrebbe que-
ſta
inſegnarle ciò, che la continuità non le inſe-
gnaſſe
.
E certo che ſe foſſero al mondo due cor-
pi
duriſſimi, i quali veniſſero con movimenti egua-
li
ad incontrarſi, quand’ anche la legge della con-
tinuità
non vi foſſe, e per ciò nulla poteſſe pre-
ſcriver
loro;
preſcriverebbeſi però loro il fermarſi
da
un’ altra legge, che mi pare molto più impor-
tante
e molto più neceſſaria, ed è, che due mo-
vimenti
debban l’ un l’ altro diſtruggerſi, ove ſie-
no
eguali e contrarj:
e la natura ſeguendo una
tal
legge, non avrebbe, cred’ io, da confonderſi,
ne
da vergognarſi di non ſapere quello, che far
ſi
doveſſe.
Qui fattoſi innanzi il Signor D. Serao,
veramente
, diſſe, io credeva, che quegli argo-
menti
di Bernulli, eſſendo tanto famoſi, e ricevu-
ti
da molti, come dimoſtrazioni evidentiſſime,
doveſſero
eſſer più forti.
Pure ſe la legge della
continuità
è probabile, che non può negarſi;
ſi
vuol
ſeguirla.
Et 10, ſe ſi attendano, diſſi, gliar-
gomenri
, con cui Bernulli la dimoſtra, appena che
mi
paja probabile.
Pure poichè è tale, non
258234DELLA FORZA DE’ CORPI do io negare ora, che la natura il più delle volte
la
oſſervi, ſi vuol ſeguirla, ma ſempre con incer-
tezza
, e con timore;
ne dir ſi dee, che ſieno aſſur-
di
, e chimere, e involvano contradizion manifeſta
tutte
le ſuppoſizioni, le quali poteſſero in alcun
caſo
contrariarla;
perchè troppo certa conſeguen-
za
ſi trarrebbe da troppo incerto principio;
e ſe
alcuna
di queſte ſuppoſizioni foſse comodiſſima
ai
filoſofi, come quella è de corpi perfettamente
duri
, la quale così ſpeditamente ci moſtra le leg-
gi
del moto, io non vorrei certo per riſpetto del-
la
continuità rigettarla;
in tanto che la ſuppoſizio-
ne
ſteſsa degli atomi di Epicuro, ſe non foſse per
altro
aſsurda, com’ è, io non dubiterei diriceverla,
quantunque
nell’ urto di due atomi poteſse indur-
ſi
diſcontinuità;
perchè ben potrebbe la continui-
eſsere una conſuetudine, che la natura oſser-
vaſse
ne corpi, e negli aſpetti ſenſibili delle coſe,
e
non ne principi ultimi.
Mentre queſte ed’ altre
coſe
tra noi ſi ragionavano, la nave era giunta
alle
rive di Pozzuolo, ſenza che niuno di noi ſe
ne
avvedeſſe.
Pure accortici, che ſtava ferma e
congiunta
al lido;
la Signora Principeſsa, guar-
dato
intorno, aſsai, diſse, ſi è per voi della ra-
gione
de corpi duriſſimi, e della continuità diſpu-
tato
.
Quello, che reſta a por fine alla quiſtione
della
forza viva, rimetteremo ad’ altra ora;
e ciò
detto
in piè levataſi moſtrò di voler ſmontar del
navilio
, il che fecero ſimilmente tutti gli altri.
Et avviatici pian piano verſo caſa, eccoil
259235LIBRO II. Governatore venirci incontro col Sig. D. Felice Sa-
batelli
, e col Signor Conte della Cueva;
che giun-
ti
erano poche ore innanzi da Napoli.
Eranvi an-
she
altri Signori deſideroſi di riverire la Signora
Principeſſa
.
Di che fu fatta maraviglioſa feſta,
abbracciandoſi
or gli uni or gli altri, et or una
or
altra coſa dicendoſi.
Nella quale allegrez-
za
dimoſtrò alcun diſpiacere il Signor Conte del-
la
Cueva di non eſſere aſſai per tempo arrivato a
Pozzuolo
, onde poter’ eſſer con noi nella nave.
Il che ſentendo la Signora Principeſſa, forſe per
tormentarlo
alcun poco, aſſai più diſpiacere av-
reſte
, gli diſſe, ſe ſapeſte i ragionamenti, che vi
ſi
ſon fatti;
e brevemente gli eſpoſe le quiſtioni
avute
.
Perchè egli prendendo vie più ſdegno dell’
eſser
tardi venuto, ſi dolſe alquanto col Signor
D
.
Felice dell’ indugio; il quale fattoſi innanzi,
avrei
, diſse, pur volentieri udito diſputare d’ una
dimoſtrazion
nuova, ulcita, non ha gran tempo,
ſopra
la forza viva;
et è del chiariſſimo Padre Ric-
cati
;
e mi par tanto ingegnoſa, e tanto bella. Ma
ſento
eſsere alcuni, che non ſe ne vogliono per-
ſuadere
.
Credo, diſse allora la Signora Principeſ-
ſa
, che noi ne abbiamo qui uno.
Ma ſappiate,
che
delle molte coſe, che ſono ſtate propoſte, re-
ſta
queſt’ una ſola, di cui non s’ è ancor diſputa-
to
.
Mentre il Signor Conte della Cueva, e il Si-
gnor
D.
Felice inſieme con la Signora Principeſ-
ſa
andavano tra lor ragionando;
io, e gli altri, ri-
maſi
alquanti paſſi addietro, gli ſeguivamo.
260236DELLA FORZA DE’ CORPI eglino intanto, come poi ſeppi da loro ſteſſi, di-
viſaron
del modo di introdurre la diſputa appreſ-
ſo
cena, e così trarmi a dover dire ſopra la dimo-
ſtrazione
del Padre Riccati.
In quella arrivammo
a
caſa il Signor Governatore, dove appena entra-
ti
, la Signora Principeſsa, rivoltaſi alla compa-
gnia
, diſse di voler tutti ſeco a cena;
indi pro-
cedendo
oltre per le camere fu ricevuta tra varj
ſuoni
, cui ſeguirono alcune belliſſime danze, al-
le
quali molti furono preſenti ſino alla fine;
altri
per
pigliar’ aria fino a tanto che l’ ora del cenar
veniſse
, ſu la riva del mare a lor diporto n’ an-
darono
.
Fine del Secondo Libro.
261237
DELLA FORZA DE CORPI
CHE
CHIAMANO VIVA
LIBRO III.
AL
SIGNOR
GIAMBATISTA MORGAGNI.
GRandiſſima quiſtione è ſempre ſta-
ta
a mio credere, Signor Giamba-
tiſta
cariſſimo, e aſſai difficile a,
ſcioglierſi
, ſe nello ſtudio dell’ ar-
ti
e delle ſcienze più giovi agli uo-
mini
il deſiderio della novità, o
più
nuoccia;
perchè ſe noi conſidereremo quelli,
il
cui numero è ſenza fallo grandiſſimo, i quali
traſportati
da un tal deſiderio corrono dietro a,
ſtraniſſime
opinioni, allontanandoſi non meno dalla
comune
conſuetudine, che dalla verità, e in quel-
le
, per così dire, urtando rompono miſeramente,
la
nave del loro ingegno, egli ci converrà di affer-
mare
, che ſia coſa a tutti pericoloſiſſima, et a,
moltiſſimi
molto dannoſa lo ſtudio della novità,
Ne
queſto danno ſolo ne viene, che molti da amo-
re
di novità tratti incorrono in opinioni ſtrane e
falſe
;
ma quelli ancora, che in alcune vere ſi av-
vengono
, ſcoprendo ciò, che ne’ tempi
262238DELLA FORZA DE’ CORPI era ſtato naſcoſto, ſogliono di queſto ſteſſo trar
pregiudicio
graviſſimo.
Imperocchè conſiderando
e
vagheggiando i ritrovamenti loro, tanta vanità
ne
prendono, che non vogliono più lodar di nul-
la
gli antichi, e gli hanno in diſprezzo, e gli deri-
dono
;
e quel che è peggio, ſpaventano altamente
i
giovani dal fermarſi eziandio per breve ora ad
apprendere
le dottrine antiche, dicendo loro, do-
verſi
avanzar le ſcienze, e non eſſere da ritornare
a
quelle coſe, che già da gran tempo il mondo ſa:
il che ſe tutti faceſſero, ne foſſe più alcuno, che a
quelle
ritornaſſe, non molto andrebbe, che niuno
più
le ſaprebbe.
E queſti tali oltre che ſpogliano
il
mondo, quanto è in loro, di tutti gli antichi
ritrovamenti
, cadono anche in un’ altro errore.

grandiſſimo
, per cui ſommamente nuocciono ai
preſenti
uomini, et anche a loro ſteſſi;
non avver-
tendo
, che i ritrovamenti antichi furono anch’ eſſi
nuovi
una volta, ne ſono divenuti antichi, ſe non
per
l età, che è ſucceduta loro, il che ſimilmen-
te
avverrà delle preſenti invenzioni;
che perderan-
no
la novità a poco a poco, e diverranno antiche,
come
le altre.
Il perchè mal proveggono alla glo-
ria
noſtra coloro, che, diſprezzando gli antichi,
laſciano
a i poſteri un’ eſempio di diſprezzare an-
che
noi.
E tanto più queſto mi par vero, quando
conſidero
, che la lunghezza del tempo confonde.

inſieme
moltiſſime età, e fa comune a tutte la lau-
de
di ciaſcuna.
Concioſiachè ſebbene le invenzio.
ni
antiche ſieno uſcite per grandiſſimi intervalli
263239LIBRO III. una dopo l’ altra; e la poeſia abbia preceduto di
lungo
ſpazio la dialettica;
e l’ eloquenza ſia ſtata
aſſai
prima della muſica;
ne ſieno certamente nate
ad
un tempo e l’ aritmetica, e la geometria, e la
notomia
, e la medicina, e la chimica;
ne l’ archi-
tettura
abbia ſorſe aſpettato la ſcoltura, e la pittu-
ra
per uſcire al mondo;
ed altre arti ſieno venute
in
altri ſecoli;
pur di tutte ſi da laude ſenza diſtin-
zione
alcuna agli antichi, come ſe queſti foſſero
tutti
d’ un tempo, e componeſſero, per così dire,
una
ſola ſamiglia.
E ciò avviene, cred’ io, perchè
eſſendoſi
quelle età per tanto ſpazio da noi allon-
tanate
, non ci accorgiamo della diſtanza, che han-
no
tra loro, e però di moltiſſime ne facciamo una
ſola
.
Ora ſe le coſe procederanno ne’ tempi avveni-
re
, come ne’ paſſati ſempre ſon procedute, verrà
una
volta, che confondendoſi anche l’ età noſtra
con
le paſſate, entreremo noi pure in quella co-
munità
, e così ſaranno lodati gli antichi dei ritro-
vamenti
noſtri, come noi dei loro.
La qual coſa
non
abbaſtanza intendono quelli, che traſportati
dall’
amore della novità inſegnano ai poſteri di
diſprezzare
gli antichi, non badando, che tra po-
co
ſaremo antichi ancor noi;
e che ſe quelli, che
dopo
noi naſceranno, vorranno rivolgere tutto lo
ſtudio
loro a ritrovare le coſe nuove, traſcureran-
no
le noſtre.
Per queſte ed altre ragioni io direi
certamente
, che ſoſſe da ſvellere e levar via del
tutto
dall’ animo degli ſtudioſi la vaghezza della
novità
, veggendo in quanti errori ſpeſſe
264240DELLA FORZA DE’ CORPI gl’ induca, e come ne guaſti e corrompa il
giudicio
;
ſe già d’ altra parte non conſide.
raſſi di quanti comodi e beni a queſta ſteſſa.
vaghezza
ſiam debitori.
Perciocchè qual ritrova-
mento
avrebbono mai fatto o i moderni, o gli
antichi
filoſofi, ſe non ſi foſser laſciati condur
da
eſsa?
Da eſsa nacquero tutte le arti, e tutte
le
ſcienze;
per eſsa ſi accrebbono; ne altro che per
eſsa
giunſero a quel ſommo grado di perfezione,
in
cui or le veggiamo.
Imperocchè tutte le coſe,
che
ſi producono, ſon nuove, ne poſsono accre-
ſcerſi
, ſe non per la aggiunta d’ altre nuove;
le
quali
trovar non ſi poſsono ſe non da chi le cerca;

ne
alcuno le cerca, ſe non è moſso da diſio di no-
vità
.
Il perchè parmi, che chi vuole fermarſi a
quello
, che ritrovaron gliantichi, ſenza andar più
avanti
, e ſenza aggiunger nulla, non ben ſegua
quegl’
iſteſſi antichi, che pur vorrebbe ſegurre;
i
quali
ſi ingegnarono ſempre con ogni sforzo di ag-
giungere
qualche coſa alle già ritrovate;
cio che
egli
non fa.
E benchè ſia da comportarſi a mol-
ti
, che non potendo o per l’ inſtituto della lor
vita
, o per la mancanza delle opportunità e dei
comodi
, che ſono in mano della fortuna, avan-
zarſi
a ſcoprire nuove cognizioni, ſi contentino
di
poſsedere le già ſcoperte dagli altri, le quali
in
verità ſono oramai tante, che è molto ſapere
il
ſapere eſse ſole;
tuttavia non debbono queſti ta-
li
ſgridar lo ſtudio della novità ai giovani, il qua-
le
eſsendo retto e temperato da buon giudicio
265241LIBRO III. trebbe una volta condurgli a ſcoperte graviſſime
ed
utiliſſime.
Perciocchè voler chiuder la ſtra-
da
a tutte le invenzioni nuove è lo ſteſſo,
che
accuſar gli antichi, che già l’ aprirono, e fare
ingiuria
ai poſteri, in grazia de’ quali fu aperta.
Io credo dunque, Signor Giambatiſta cariſſimo,
che
ſia coſa convenientiſſima, e alla profeſſion
del
filoſofo ſommamente accomodata, il deſide-
rio
della novità;
così veramente che non tragga
l’
uomo ad opinioni ſtravolte e contrarie alla ra-
gione
, ne egli per li ſuoi ritrovamenti nuovi s’ in-
duca
a diſprezzare ſuperbamente gli antichi:
d el
qual
vizio non ſon privi coloro, i quali benchè
niente
attribuiſcano a ſe medeſimi, onde pajono
temperatiſſimi
;
pur vogliono, che tutto attribuir ſi
debba
a quelli della loro età, o della loro ſcuola, o
del
loro ordine, ne credono d’ eſſer ſuperbi, perchè
lo
ſono a nome di molti.
E che il diſio della novi-
temperato di queſta maniera ſia giovevoliſſimo,
potrei
dimoſtrarvelo con mille eſempi, ſe voi ſteſ-
ſo
non ne foſte uno così chiaro, e cosi eccellente,
e
così maraviglioſo, che rendete inutili tutti gli
altri
.
Perchè laſciando le altre parti della filoſofia,
che
voi avete voluto più toſto ſapere, che profeſ-
ſare
;
nella notomia certamente, che avete preſa,
non
ſenza invidia, cred’ io, dell’ altre ſcienze,
con
tanto ſtudio ad’ illuſtrare, avete aſſai chiara-
mente
dimoſtrato, quale eſſer debba in un filoſo-
fo
perſettiſſimo l’ amore della novità.
Imperocchè
avendo
voi fatto tanti ritrovamenti nuovi, e
266242DELLA FORZA DE’ CORPI ſingolari, e così illuſtri e maraviglioſi, qual ne è
ſtato
non ſommamente conſentaneo, e del tutto
corriſpondente
all’ oſſervazione et al vero?
e quan-
tunque
non ſi diſdirebbe al noſtro ſecolo diante-
porſi
a tutti gli altri, che ſono ſtati di voi privi;
quando però è ſtato mai che voi vogliate valervi
della
felicità e virtù voſtra a diſprezzo d’ altrui?

che
anzi avete voluto nell’ ampiezza quaſi infinita
del
voſtro animo ricevere non ſolo i ritrovamenti
da
voi fatti, ma quelli ancora, che fecero le età
paſſate
;
e queſti tutti avete ſottiliſſimamente con-
ſiderati
, ed apprezzati ciaſcuno, ſecondo che con-
veniva
, volendo ſtudiarli e ſaperli non men che i
voſtri
;
e di tanto poi gli avete con l’ingegno ab-
belliti
et ornati, che eglino ſteſſi, per quel ch’io
creda
, più toſto voſtri eſſer vorrebbono, che dei
loro
primi ritrovatori.
E queſto è quello, ch’ io
vorrei
, che faceſſe ognuno nella profeſſion ſua,
maſſimamente
il filoſofo;
in cui tanto non ripren-
do
io l’amore della novità, che voglio anzi, che
s’
ingegni e ſi sforzi, quanto può, di andar dietro
alle
coſe nuove, uſando di quella temperanza, di
cui
voi avete laſciato a i poſteri nelle voſtre divi-
ne
opere un’ eſempio cotanto illuſtre.
Ne ſolamen-
te
voglio, che egli ſtudj quelle coſe, che egli ſpe-
ra
di poter trovar da ſe ſolo;
ma perchè molte
ne
ſono, che un ſolo uomo facilmente ritrovar
non
potrebbe, voglio, che pongaſi in comunità
con
molti, contentandoſi, ſe non ha tutta la lode
del
rittovamento, di averne qualche parte;
e
267243LIBRO III. chè ne ſono ancor di quelle, che una ſola età com-
piere
non potrebbe, ricercandoviſi l’ oſſervazio-
ne
perpetua e coſtante di molti ſecoli, per ciò vo-
glio
ancora, che egli ſi metta in ſocietà coi paſſati,
perfezionando
quello, che eſſi ci laſciarono di im-
perfetto
, e conducendo a fine i ritrovamenti, che
eſſi
finir non poterono.
Nel che però dovrà guar-
darſi
da un’ errore, in cui cadono molti, i quali
per
aver data l’ultima mano credono, eſſi ſoli do-
ver’
eſſer lodati dell’ invenzione;
la quale in vero
è
un’ opinione ſuperba e irragionevole;
percioc-
chè
dell’ invenzione lodar ſi debbono tutti quelli,
che
hanno fatto quel, che potevano, eche era pur
neceſſario
di fare per trovar la coſa;
e come a tro-
varla
è neceſſario quaſi ſempre cercarla prima in
più
maniere, e tentar varj mezzi, e incamminarſi
per
varie vie, et errar molte volte, e tornare ad-
dietro
;
così quelli, che prima di noi tentarono,
benchè
ſi avvolgeſsero in molti errori, ne tempo a-
veſſero
di giunger, dove noi ſiamo giunti, pur fe-
cero
quello, che era neceſſario di fare, acciocchè
noi
vi giungeſſimo, e debbono venire a parte dell’
invenzione
.
E certo io non dirò mai, che il mara-
viglioſo
ſiſtema del mondo propoſtoci ultimamen-
te
dall’ incomparabil Neuton ſia il ritrovamento
d’
un’ uomo ſolo, ne lo direbbe, cred’ io, lo ſteſ-
ſo
Neuton, che ſiccome d’ ingegno e di ſapere
parve
, che ſuperaſſe tutti gli altri, così di mode-
razione
e di prudenza non fu ſuperato da niuno.
Imperocchè quel ſiſtema non potea ſtabilirſi
268244DELLA FORZA DE’ CORPI prima averne provato molti, il che fecero l’ un
dopo
l’ altro più filoſofi in più ſecoli, Pittagora,
Ariſtotele
, Tolomeo, Copernico, Ticone, Keple-
ro
, Carteſio, ed’ altri aſſai, che precedettero il
grandiſſimo
Neuton;
i quali ſe errarono, fecero
quegli
errori, che avrebbe dovuto far l’ ultimo,
ſe
non gli aveſſero fatti eſſi per lui.
Onde io dico,
che
quel ſiſtema, a giudicarne rettamente, non
uno
ſolo lo ritrovò, ma lo ritrovarono tutti in-
ſieme
.
La qual coſa ſe il filoſofo intenderà be-
ne
, avendo l’ animo applicato a ſcoprimenti
nuovi
, vorrà metterſi in compagnia non ſolo
dei
paſſati, ma ancor di quei, che verranno;
e
come
cercherà di perfezionare le coſe, che gli an-
tichi
ci laſciarono meno perfette, così vorrà la-
ſciarne
alcune meno perfette, che dovranno poi
dai
poſteri perfezionarſi;
ne avrà timore di perder
la
lode del ritrovamento, che ſarà ridotto a per-
fezione
da altri;
come ne anche avrà timore di pro-
por
ſiſtemi non ancora abbaſtanza provati, e tra-
mandare
ai ſecoli avvenire i ſuoi dubj, e le ſue
ragionevoli
ſuſpizioni;
benchè in queſto corra pe-
ricolo
, che ſieno una volta conoſciute falſe, e riget-
tate
.
Ma egli non dovrà reſtarſi per ciò; anzi, ſpe-
rando
bene, dovrà aver coraggio, e commetterſi
alla
fortuna;
perchè io ſon d’ opinione, che niu-
no
poſſa eſſere filoſofo perfettiſſimo, ſe non è an-
cora
in qualche parte fortunato;
come i capitani
grandiſſimi
, ne quali oltre la ſcienza et il valore
anche
la fortuna richiedeſi;
e lo ſteſſo può dirſi
269245LIBRO III. del medico, che cura l’ infermo, e del trafficante,
che
fa venire le merci, e del nocchiero, che con-
duce
la nave.
E ſimilmente il filoſofo, ſe ha qual-
che
ſiſtema bello, ingegnoſo, veriſimile, ma che
richiegga
ancora altre prove, dee raccomandarlo
ai
poſteri, e avventurarlo;
e così hanno fatto gran-
diſſimi
uomini e dottiſſimi.
Ne certamente poteva
l’
immortal Neuton eſſer tanto ſicuro di quel ma-
raviglioſo
ſiſtema, che egli formò delle comete,
condottovi
quaſi dalla ſola ragione;
quanto ora.
ſiam noi, condottivi non dalla ragion ſolamente,
ma
da moltiſſime oſſervazioni, e da così gran nu-
mero
di calcoli:
ne potè egli aver per certiſſima, e
fuor
d’ ogni dubic quella forma ſchiacciata, che
diede
alla terra, non avendo veduto quelle tante
miſure
, che preſe poi in varie parti del mondo da
matematici
Italiani, Spagnuoli, e Franceſi l’ han-
no
mirabilmente confermata.
Ma egli avendo con-
cepite
nell’ animo belliſſime, e ragionevoliſſime
opinioni
, confidoſſi nella loro probabilità, e chia-
i poſteri a farne prova;
il che gli è ſucceduto
felicemente
;
ed ha conſeguito maggior gloria,
avendo
ſaputo ſenza tante oſſervazioni e miſure
affermar
quello, che niuno s’ ardiva d’ affermare
ſenza
di eſſe.
Così io voglio, che il filoſofo inten-
to
a cercar novità, ſia qualche volta ardimentoſo,
contenendoſi
però ſempre dentro ai limiti della ra-
gione
;
ne laſci di cominciar quello, che egli non
può
compiere, contentandoſi, che ſia compiuto
dai
poſteri;
e ſoffra di partir la lode dell’
270246DELLA FORZA DE’ CORPI ne con loro; ſiccome anche dovrà partirla coi paſ-
ſati
in tutte le coſe, che eſſendo ſtate da eſſi laſcia-
te
imperfette, avrà egli ſaputo perfezionare.
E a
queſto
modo ſi metterà in compagnia di tutti i fi-
loſofi
, che ſono ſtati per l’ addietro, e che ſaranno
dopoi
, come ſe foſſer tutti una comunità ſola, e
formaſſero
, per così dire, una ſola accademia.
Ma di queſte coſe abbiamo detto abbaſtanza, pa-
rendomi
oramai tempo, ch’ io m’ accoſti ad eſ-
porvi
il ragionamento ultimo, che in Pozzuolo
ſopra
la forza viva in quella onoratiſſima compa-
gnia
, che ſopra vi diſſi;
alla quale s’ erano aggiun-
ti
il Signor D.
Felice Sabatelli, e il Signor Con-
te
della Cueva.
Il qual ragionamento perciocchè
fu
d’ intorno ad una dimoſtrazion nuova, che
il
Padre Riccati ha propoſta in un ſuo belliſ-
ſimo
libro, volendo per eſſa dimoſtrare, che.

la
forza viva debba eſſere in ciaſcun corpo pro-
porzionale
al quadrato della velocità;
potrà
forſe
per ciò parervi, che non a caſo ſiaſi per
me
fino ad ora del diſiderio della novità ra-
gionato
.
Perchè quantunque il Padre Riccati non
alcuna
ſentenza nuova introduca, ma ſol propon-
ga
un’ argomento nuovo a ſoſtenere una ſentenza
già
quaſi vecchia;
pur queſto ancora è novità; e
dove
ſi faccia rettamente, e con giudicio, merita
tutte
le lodi, che a i gran ritrovamenti ſi conven-
gono
.
E certo il Padre Riccati non è venuto a
quel
ſuo argomento ſenza aver prima voluto e co-
noſcere
et eſaminar ſottilmente tutti quelli,
271247LIBRO III. erano uſciti per l’ addietro; e lo ha fatto in verità
con
tanta acutezza d’ ingegno, e profondità di
ſcienza
, che ciò ſolo baſtar poteva ad acquiſtargli
grandiſſima
fama tra i matematici;
avendo poi ve-
duto
, quella fentenza, che egli amava, eſſere
ancor
biſognoſa di qualche forte ragione, che la
ſoſteneſſe
, poichè ne quelle di Leibnizio, ne quel-
le
di Bernulli gli parevan baſtanti, ha voluto tro-
varne
una nuova;
e l’ ha trovata in vero molto
ingegnoſa
, e tanto bella, che non laſcia più
deſiderar
le altre.
Et io certamente conſen-
tendo
al Padre Riccati, che le ragioni addotte
già
da Leibnizio e da Bernulli non foſſero abba-
ſtanza
valevoli, conſento ancor facilmente, che
tutta
la quiſtione ormai riducaſi a veder ſolo, ſe
ſia
abbaſtanza valevole la ragione addotta da lui
ſteſſo
.
Il che voi intenderete nei ragionamenti,
che
prendo ora a narrarvi;
dove ſe troverete alcu-
no
, che ſi opponga al Padre Riccati, non per que.
ſto dovrete credere che egli non lo ſtimi grandiſſi-
mamente
, e non faccia verſo lui, come egli ha
fatto
verſo Bernulli, e Leibnizio, a quali oppo-
nendoſi
non ha laſciato tuttavia di grandiſſima-
mente
ſtimarli.
Nacquero dunque i ragionamenti
a
queſto modo.
Dopo molti e varj diporti, e ſol-
lazzi
, eſſendo l’ ora del cenar venuta, fummo tutti,
ſecondo
l’ invito fattone, nelle ſtanze della Signo-
ra
Principeſſa, e quivi in una belliſſima camera,
vagamente
ornata, con due fineſtre riguardanti ſo-
pra
il mare, che al lume della luna era
272248DELLA FORZA DE’ CORPI a vedere, con eſſa e con altri Signori lietamente
cenammo
.
Finito il mangiare, e non eſſendo an-
cora
levate le tavole, attendendo ognuno quello,
che
la Signora Principeſſa comandaſſe;
ella a me
rivolta
grazioſamente diſſe:
ſe io vi pregaſſi di vo-
ler
proſeguire il ragionamento fatto oggi ſopra la
forza
viva, dicendone quello, che vi rimanea;
ſo, che farei coſa grata a queſti Signori, che vo-
lentieri
vi aſcoltano;
ma voi direſte, che ſiete ora-
mai
ſtanco, et avreſte ragione.
Signora, riſpoſi
io
, non direi già queſto;
che così poca coſa non mi
ſtanca
;
direi bene, che io non ſo quello, che mi
rimanga
da dover dire, avendone già detto oggi
tutto
quello, che io ſapeva e mi ricordava.
Vor-
rei
poter ricordarmene più per poter più dirne, e
far
così coſa grata (ſe pur grato è l’ aſcoltarmi)
non
tanto a queſti Signori, quanto a voi.
Allo-
ra
il Signor D.
Nicola, che mi ſedeva appreſſo,
rimanea
, diſſe, da diſputare ſopra quella dimo-
ſtrazione
ultima, che il Padre Riccati ha propo-
ſta
nel libro ſuo per far vedere, che la forza viva
de
corpi debba eſtimarſi ſecondo il quadrato della
velocità
;
la qual dimoſtrazione ſe io aveſſi a me-
moria
(giacchè troppo lungo ſarebbe il ricercarla
e
leggerla nel libro ſteſſo) non vi farei buona la
voſtra
ſcuſa;
ne buona pure, cred’ io, ve la fa-
rebbe
la Signora Principeſſa;
perchè io vi eſpor-
rei
, quanto poteſſi, brevemente la dimoſtrazione;

et
ella vi obbligherebbe di dirne il parer voſtro.

Ma
quello, che non poſſo io, il potrà forſe
273249LIBRO III. Signor D. Felice, che ha letto il libro attenta-
mente
.
Così è, diſſe il Signor D. Felice, e quella
dimoſtrazione
, che voi dite, ho lungamente con-
ſiderata
, et eſaminata da me ſteſſo più volte;
più
volte
ancora col Signor Conte della Cueva.
Dun-
que
, riſpoſi io, potrete eſporlaci voi, e il Signor
Conte
, e dirne il giudicio voſtro meglio di ogni
altro
.
Quanto a me, io vi aſcolterò con piacere
grandiſſimo
.
Ma non vogliamo già noi, diſſe allo-
ra
la Signora Principeſſa, che voi ſolamente aſcol-
tiate
;
oltre che non conviene, che il Signor D.
Felice faccia egli tutta la fatica. Egli dunque eſ-
porrà
la dimoſtrazione, e voi ne eſporrete il giu-
dicio
voſtro.
Meglio ſarebbe, riſpoſi io, udir quel-
lo
del Signor Conte della Cueva, che ha conſide-
rato
, e ſa la dimoſtrazione meglio di me.
Il Signor
Conte
della Cueva, riſpoſe ſubito il Signor D.

Felice
, dovrà ajutar me;
perchè eſſendo la dimo-
ſtrazione
molto ſottile, e dovendola io per cagion
della
chiarezza cominciar di lontano, et eſſendo al-
quanto
avvolta e lunga, potrei tratto tratto aver bi-
ſogno
di chi mi ſovveniſſe.
Voi, diſſi, a coteſto mo-
do
volete difendere il Signor Conte, e liberarlo
d’
ogni fatica;
ma ſe di lui avete biſogno ad eſ-
porre
la dimoſtrazione, non avete certamente bi-
ſogno
di tutti;
però queſti altri Signori, come voi
l’
avrete dichiarata, potranno giudicarne eſſi;
e
ognuno
il farà meglio di me.
Eſſi eſporranno il
giudicio
loro, diſſe la Signora Principeſſa, o con-
fermando
il voſtro, o opponendoviſi.
E rivolta
274250DELLA FORZA DE’ CORPI Signor D. Felice, cominciate voi, diſſe, e date
buon
eſempio;
acciocchè egli ancora impari di
obedire
.
Io ſon preſto di farlo; diſſe il Signor D.
Felice; ma prima fa di meſtieri, ch’ io vi diſegni
alcune
figure, ſopra cui dovrò ſpiegarmi.
Ciò der-
to
, furono toſto recati per ordine della Signora
Principeſſa
calamajo e penne;
et eſſendoſi già ca-
vati
fuori alcuni di que’ fogli, ove contenevanſi
le
figure, ſopra cui s’ era tutto quel diſputato,
preſone
uno il Signor D.
Felice, et avendo alquan-
to
fra ſe penſato, due figure vi aggiunſe, et appo-
ſe
a ciaſcuna il numero, che conveniva.
Delle
quali
furono toſto fatte più copie, acciocchè cia-
ſcuno
una ne aveſſe.
Allora il Signor D. Felice,
eſſendo
ſtato alquanto ſopra di ſe, incominciò.

Grave
, e difficil carico, oltre quanto poſſa crede-
re
chi non abbia a portarlo, mi ha impoſto la Si-
gnora
Principeſſa, volendo, che io vi referiſca
una
delle più belle, e più ingegnoſe dimoſtrazio-
ni
, che ſieno uſcite intorno alla quiſtione della
forza
viva, quale ſi è veramente quella del Padre
Riccati
;
ne per ciò sfuggo di ſottopormivi, aman-
do
meglio di cader ſotto il peſo obedendo, che, non
obedendo
, ſtarmi in piedi.
Voglio bene, che queſto
mi
concediate, che io vi riferiſca la dimoſtrazione,
non
con quell’ ordine ſteſſo, con cui l’ ha eſpoſta l’
autore
, ma a modo mio;
perchè ſe io in queſta par-
te
non mi valeſſi del mio arbitrio, non potrei ſer-
vire
all’ altrui, eſſendomi impoſſibile di riferirla
così
appunto, come ſta nel libro.
Io la eſporrò
275251LIBRO III. que, come io l’ ho nell’ animo, ſenza partirmi pe-
dal ſentimento dell’ autore, e ſtudierò, quanto
per
me ſi potrà, la brevità.
E perchè giova ſem-
pre
, quando uno vuole incamminarſi in un diſcor-
ſo
, ſaper prima il fine, a cui eſſo tende, e la via,
in
cui metteſi, per arrivarvi:
ſappiate, che inten-
dimento
del Padre Ri@cati è, che debba eſſere nel-
la
natura una forza, la qual ſi miſuri col quadra-
to
della velocità;
e ciò perchè, ſe non foſſe una
tal
forza, interverrebbe un @aſo, in cui non ſareb.
be eguaglianza tra la cagione, e l’ effetto; di che
ſi
ſdegnerebbono i metafiſici, che tale uguaglian-
za
hanno per un principio manifeſtiſſimo.
Queſto
caſo
poi vuole, che ſia la compoſizione, e la riſo-
luzione
dei movimenti, quando o di due ſe ne com-
pone
uno, che è ſempre minore della ſomma di
quei
due, o uno in due ſi riſolve, la cui ſomma
è
ſempre maggior di quell’ uno.
Così egli intro-
duce
quella ſua forza viva per ſoſtenere l’ ugua-
glianza
della cagione e dell’ effetto, e farſi amici i
metafiſici
.
Il che ſe egli ottenga, e come, vedre
tevel
voi;
io ve ne dirò la dimoſtrazione, dopo
che
avrò dichiarate alcune propoſizioni, che all’
autore
piace di aſſumere, e che la coſa iſteſſa ri-
chiede
;
e comincierò in tal guiſa. Ciò detto ſo-
praſtette
di nuovo alquanto;
indi impoſto a tutti,
che
guardaſſero nella figura quarta, ſeguitò:
La
11F. IV. linea SA, che ſola io voglio ora conſiderare nel-
la
preſente figura, ſia una corda elaſtica, che a-
vendo
un’eſtremo immobilmente piantato nel
276252DELLA FORZA DE’ CORPI to S, con l’ altro ſi attacchi a un globo A, e
contraendoſi
, a cagione dell’ elaſticità ſua, lo ti-
ri
verſo S per uno ſpazietto infiniteſimo ap.
Qui
par
certamente, che ſieno da concederſi due coſe,
delle
quali, come vedrete, il P.
Riccati ſi vale
aſſai
deſtramente.
La prima ſi è, che l’ azion della
corda
altro non ſia, che l’ accoreiarſi;
di fatti a che
altro
tende l’ elaſticità?
Il quale accorciamento ſen-
za
dubio miſurar ſi vuole dallo ſpazio Ap, eſſendo
chiaro
, che di tanto viene la corda ad accorciarſi,
quanto
eſſo ſpazio è lungo.
La ſeconda coſa, che mi
par
pur da concedere, ſi è, che eſſendo lo ſpazietto Ap
infinitamente
piccolo, la corda preme e tira il glo-
bo
egualmente in qualunque punto di eſſo;
ſe già
non
voleſſimo tener conto di quelle differenze,
che
per la loro infinita piccolezza poſſono traſcu-
rarſi
, e debbono.
Onde ſegue, che il globo per
tutto
quel tempo, in cui ſcorre lo ſpazio Ap ve-
nendo
verſo S, ſia ſempre da una egual preſſione
ſollecitato
e moſſo, ne più ne meno come un grave,
il
qual cada verſo il centro della terra;
e per ciò
in
quel breve corſo, che egli fa da A fino in p,
oſſervi
tutte le leggi della gravità, e ſia lo ſpazio
A
p proporzionale al quadrato di quella velocità,
che
egli avrà acquiſtata giunto in p.
Avendo fin
quì
detto il Signor D.
Felice, ſi tacqüe così un po-
co
;
et io allora, ſe voi, diſſi, non avevate altro da
proporci
, non vi facea meſtieri di tanto lungo proe-
mio
.
Come? riſpoſe il Sig. D. Felice; io non vi ho an-
corpropoſto
ne detto nulla.
A me parea, riſpoſi
277253LIBRO III. che voi aveſte detto ogni coſa; perchè il voſtro
diſcorſo
non tende egli a dimoſtrare, la forza
viva
dover eſſer proporzionale al quadrato della
velocità
?
Or ſe l’ azion della corda è lo ſteſſo
accorciarſi
, come voi dite;
e ſe l’ accorciar-
ſi
ſi miſura dallo ſpazio, e lo ſpazio è pro-
porzionale
al quadrato della velocità;
ſi vede ſu-
bito
, che l’ azione dovrà eſſere proporzionale al
quadrato
della velocità;
e per ciò anche l’ effetto,
cui
potremo chiamar forza viva:
col quale argomen-
to
può eſſer finita la quiſtione.
Si; ſe il Padre Ric-
cati
, riſpoſe quivi quaſi ridendo il Signor D.
Fe-
lice
, foſſe così frettoloſo, come voi.
Ma egli non
ha
tanta fretta, e dimoſtra le coſe a ſuo comodo.
Pertanto non ſi ferma a coteſto voſtro argomen-
to
;
ma paſſa più avanti, volendo far vedere la ne-
ceſſità
della forza viva per mezzo della compoſi-
zione
del moto.
E queſto è il fine, a cui ſi dirige
la
dimoſtrazion ſua, come ſopra ho detto;
alla
quale
io verrò accoſtandomi a poco a poco, giac-
chè
ſopra le coſe finora dette parmi, che non abbiate
dubio
alcuno.
Qui fermoſſi alquanto; e tacendo-
mi
io tuttavia, feceſi innanzi il Signor D.
Nicola,
e
non crediate già, diſſe, che, perchè egli ſi taccia,
vi
conceda però la ſeconda delle due coſe, che
avete
dette, cioè che il globo eſſendo portato da
A
in p per una preſſione continva et eguale, deb-
ba
per queſto oſſervare le leggi della gravità.
An-
zi
di queſto, ripreſi io allora, non voglio diſputar
punto
, e ſon preſtiſſimo di concederlo, ſe il
278254DELLA FORZA DE’ CORPI D. Felice così vuole. E quando io aveſſi voglia di
diſputare
, mi piacerebbe più toſto negar la prima
delle
due coſe, che egli ha detto.
Voi, diſſe allo-
ra
il Signor D.
Nicola, ſiete più corteſe dopo ce-
na
, che non foſte oggi;
perchè oggi diſputandoſi
degli
elaſtri, che nell’ aprirſi urtano un globo,
quantunque
il globo ſia portato per uno ſpaziet-
to
infiniteſimo da una preſſione continua, e ſem-
pre
eguale, non avete però mai voluto concedere
che
egli debba per ciò ſeguire le leggi della gravi-
;
e quelle ragioni, che adducevate oggi, ben
parmi
, che potrebbono ſimilmente addurſi nel ca-
ſo
noſtro.
Se a voi pare, riſpoſi io allora, che
quelle
ragioni, che io ho addotte oggi in propo-
ſito
degli elaſtri, debban valere anche ora in pro-
poſito
della fune, e voi fatele valere, quanto vi
piace
;
che io non vi contraſterò punto, ne ſopra
ciò
ſarò moleſto a niun di voi due.
Io vorrei bene,
che
mi ſi dimoſtraſſe la prima delle due coſe, che
il
Signor D.
Felice ha dette, cioè che l’ azion del-
la
corda ſia l’ accorciarſi.
Difficilmente, diſſe qui-
vi
la Signora Principeſſa, potrebbe dimoſtrarſi co-
ſa
, che par tanto chiara;
e ſe voi volete negarla,
crederanno
queſti Signori, che voi vogliate far
prova
del voſtro ingegno.
Io non ſo, riſpoſi,
quanto
foſſe per giovarmi il farne prova;
ma ſe
la
coſa è tanto chiara, quanto voi dite, almeno
mi
ſi ſpieghi.
Che biſogno ha di ſpiegazione? riſpo-
ſe
ſubito la Signora Principeſsa, perciocchèche altro
fa
la corda elaſtica, quando ella tira il globo da
279255LIBRO III. fino in p, ſe non accorciarſi? Che altro fa! ripi-
gliai
io;
tira il globo, cioè lo muove da A fino
in
p;
e queſta è l’ azion ſua. Oh, diſſe quivi il
Signor
D.
Felice, queſto tirare il globo da A ſi-
no
in p, non è lo ſteſſo, quanto alla corda, che
l’
accorciarſi?
Vedete, riſpoſi io allora, ſe è lo
ſteſſo
.
S’ io dirò, la corda eſſerſi accorciata, ti-
rando
il globo da A fino in p, e dimanderò qual
ſia
la miſura di tale accorciamento, neſſuno dubi-
terà
che la miſura non ſia lo ſteſſo ſpazio Ap,
ſenza
più;
ma ſe io dirô, la corda aver tirato e
moſſo
il globo da A fino in p, e dimanderò qual
ſia
la miſura di un tal movimento, e dell’ azione,
che
l’ha prodotto, voi certo non riſponderete, la
miſura
eſſerne lo ſpazio Ap, ma miſurerete il mo-
vimento
, ſecondo la comun regola, dalla maſſa e
dalla
velocità;
e la ſteſſa miſura ſarà dell’ azione.
Vedete dunque, che altro è accorciarſi, altro è
movere
il globo;
et io diſtinguendo queſte due
coſe
, dico, che l’azion della corda è movere il
globo
, cioè produrre in eſſo un certo movimen-
to
, non l’ accorciarſi.
Io credo, diſſe quivi il Si-
gnor
D.
Felice, che voi troverete pochi, i quali
vi
concedano, che lo ſteſſo accorciarſi non con-
tenga
in ſe azione.
Contiene in ſe azione, riſpoſi,
perchè
contiene in ſe il movere, non potendo in-
tenderſi
accorciamento ſenza moto;
ma biſogna
avvertire
, che oltre il moto ricercaſi all’ accorcia-
mento
anche una certa direzione;
perciocchè ſe la
corda
premeſſe, e moveſſe il globo non verſo
280256DELLA FORZA DE’ CORPI ma verſo la parte contraria, moverebbe il globo,
ma
non ſi accorcerebbe:
allora ſolo ſi accorcia,
quando
move il globo con la direzione verſo S;
e
perciocchè
la direzione non conſtituiſce in niun
modo
l’ azione, la quale è la ſteſſa, qualunque
direzione
abbia, per ciò tutta l’ azione della cor-
da
nell’ accorciarſi, non è altro, che movere il
globo
.
Ma alcuni confondono ogni coſa, e ſi for-
mano
una certa idea dell’ accorciamento, la qual
veramente
dovrebbe miſurarſi dal ſolo ſpazio;
e
in
quella credono, che conſiſta l’ azione.
Nel che
ſi
ingannano, perchè, ſe ciò foſſe, ne ſeguirebbe,
che
purchè il globo ſi tiraſſe per lo ſteſſo ſpazio,
qualunque
ne foſſe la velocità, doveſse l’ azione
eſser
ſempre la ſteſsa, eſsendo ſempre lo ſteſso ac-
corciamento
.
Appena aveva io dette queſte paro-
le
, che il Signor Marcheſe di Campo Hermoſo
moſtrò
di voler dire;
laonde il Signor D. Felice,
che
già era preſto di riſpondere, ſopraſtette, e il
Signor
Marcheſe così diſſe:
ſe niun globo, ne al-
tro
corpo foſse attaccato alla corda, e doveſse el-
la
accorciarſi ſenza tirar nulla, vorrei ſapere, qual
ſarebbe
allora l’ azion ſua;
perciocchè pare, che
in
quel caſo ella non faceſse altro che accorciarſi.
In quel caſo, riſpoſi io allora, ella tirerebbe ſe
medeſima
, cioè tirerebbe verſo il punto S tutte
quelle
parti, che compongono l’ eſtremſtà A del-
la
corda ſteſsa, le quali avendo la loro maſsa co-
, come il globo ha, lo ſteſso potrebbe dirſi di
loro
, che del globo ſi è detto.
Anzi non altro
281257LIBRO III. tendiamo noi per queſto globo, ſe non quella
maſsa
, che è poſta all’ eſtremo A, o ſia eſsa un
corpo
attaccato alla corda, o ſia una parte della
corda
medeſima.
Qui eſsendoſi il Signor Marche-
ſe
taciuto, ripigliò il Signor D.
Felice in tal gui-
ſa
.
Io non vorrei, che perchè il P. Riccati moſtri
quaſi
ſempre di riporre l’ azion della corda nello
ſteſso
accorciarſi, ſi credeſse per ciò, che egli la
miſuraſse
dallo ſpazio ſolo:
che queſto ſarebbe
troppo
grande errore.
Anzi la miſura egli e dallo
ſpazio
, e dalla potenza, moltiplicando l’ uno per
l’
altra;
così che eſsendo p la potenza, s lo ſpazio,
vuol
, che l’ azione ſia ps.
Perchè vedete, che
quand’
anche lo ſpazio reſti lo ſteſso, può tutta-
via
l’ azione eſser varia, potendo variar la po-
tenza
.
E per queſto ſi vede, riſpoſi io, che l’ a-
zione
non è poſta nell’ accorciarſi;
poichè l’ accor-
ciamento
, preſo così, come ſuol prenderſi, ſi mi-
ſura
pur ſempre dallo ſpazio ſolo;
e ſi dirà comu-
nemente
l’ accorciamento della corda eſſer ſempre
lo
ſteſſo, purchè il globo ſcorra ſempre lo ſteſſo
ſpazio
Ap, di qualunque maniera lo ſcorra.
Ma
io
vorrei ben ſapere, non variandoſi lo ſpazio,
qual
varietà naſcer poſſa nell’ azione e nell’ effet-
to
dal variar ſolo della potenza.
Qui fattoſi
innanzi
il Signor Conte della Cueva, naſce, diſ-
ſe
, queſta varietà:
che ſe la potenza è maggiore,
il
globo ſcorrerà lo ſteſſo ſpazio anche più preſta-
mente
.
Cioè, riſpoſi io, in minor tempo. Così è,
diſse
il Signor Conte.
Dovrà dunque,
282258DELLA FORZA DE’ CORPI io, eſsendo minore il tempo, ſtimarſi maggior l’
azione
;
e perchè ſi ſtima anche maggiore, eſsendo
maggiore
lo ſpazio;
qual coſa è più facile, che
il
dire, che ella ſarà proporzionale alla velocità,
e
produrrà la velocità ſteſsa;
così che l’ azion del-
la
corda ſarà il producimento della velocità del
globo
;
cioè il movere, non l’ accorciarſi? Se voi
parlate
, diſse allora il Signor Conte, affin di con-
fondermi
, non è al mondo più eccellente parla-
tore
;
perchè di vero voi mi avete così confuſo,
che
ormai comincia a parermi, che qualora una
fune
ſi accorcia, l’ azion ſua non ſia l’ accorciarſi.
Ma che? quando un corpo riſcalda, non diciam
noi
, che l’ azion ſua ſi è il riſcaldare?
e quando
un
corpo riſplende, non diciam noi, che l’ azion
ſua
ſi è il riſplendere?
e quando un corpo cade,
non
diciam noi, che l’ azion ſua ſi è il cadere?

or
perchè dunque, qualor s’ accorcia una fune,
non
direm noi, che l’ azion ſua ſia l’ accorciarſi?

Se
noi, riſpoſi, andremo dietro a coteſto voſtro
argomento
, biſognerà dire, che quando uno ſi
ripoſa
, la ſua azione è il ripoſarſi.
Non già, riſ-
poſe
ſubito il Signor Conte, poichè nel ripoſarſi
non
è azion niuna;
concioſiachè chi ſi ripoſa per
queſto
appunto ſi ripoſa, perchè non fa nulla;
e
certo
biſogna guardarſi da un’ inganno, che ſpeſ-
ſe
volte naſce dalla conſuetudine;
perciocchè eſ-
ſendo
conſuetudine dei verbi ſignificar qualche
azione
, a noi pare, che tutti debbano ſignificar-
ne
alcuna;
il che però non è vero; come ſi
283259LIBRO III. in ſtare, ſedere, giacere, ed altri, dove non è a-
zion
niuna, ma noi portati dalla conſuetudine ve
la
immaginiamo.
Voi dite beniſſimo, riſpoſi;
come
ha alcuni verbi, che non ſignificano azion
niuna
;
così n’ ha moltiſſimi, che ſignificando al-
cuna
azione, non ſignifican però eſſa ſola, ma ſi
traggon
dietro qualche altro ſentimento, che con-
giungono
con l’azione, e che biſogna poi ſeparar
da
eſſi, chi vuol intendere l’ azion ſola.
Così ſe
voi
dite, che il ſole riſcalda, non crediate, che ſia
qui
altra azione del ſole, ſe non quella di movere
certe
minutiſſime particelle;
ma naſcendo in noi
per
tal moto un non ſo qual ſentimento, che calo-
re
chiamiamo, il verbo riſcaldare abbraccia anche
queſto
;
e così dite del riſplendere, e così del ca-
dere
:
il qual verbo cadere ſignifica inſieme e il mo-
vimento
, che ha il corpo, e la direzione all’ in giù;
ma tutta l’ azione però è nel movimento ſolo. E
lo
ſteſſo ſimilmente avviene del verbo accorciarſi,
per
cui s’ intende e il movimento, e la direzione;

ma
l’ azione non è altro che il movimento;
e cre-
do
, che in tutti i verbi, che ſi uſano parlando de’
corpi
, non altra azione ritroverete mai, ſe non
quella
di movere, o diſporre al movimento;
per-
ciocchè
la natura queſto ſolo opera, et agiſce ne
corpi
, ne in altro ſi eſercita, per quanto ſaper ne
poſſiamo
;
onde poi ſegue, che le potenze, che
producono
il movimento, o lo diſtruggono, ba-
ſtino
da ſe ſole ad’ ogni effetto.
Avendo io finqui
detto
, mi fermai.
Allora il Signor D. Felice,
284260DELLA FORZA DE’ CORPI voi, diſſe, vorrete ſottilizzar tanto ſopra o-
gni
coſa, e diſcender fino alle quiſtioni gramati-
cali
, non ſarà mai, ch’ io giunga ad’ eſporvi la di-
moſtrazione
del Padre Riccati.
Se ella è fondata,
diſſi
io allora, nelle coſe, che avete fin qui eſpoſte,
io
comincio già da ora ad averla per una dimo-
ſtrazione
aſſai incerta.
Certo, diſſe il Signor D.
Felice ridendo, ſe voi vi oſtinate in coteſte ſot-
tigliezze
, ella non avrà luogo;
ne accade, che io
proceda
più avanti.
No, diſſi; perchè, per udirla,
io
ſon diſpoſto di concedervi, ſe volete, che l’ a-
zion
della corda ſia l’ accorciarſi;
vedete, che il
Signor
D.
Niccola non ſi oſtini egli a negarvi, che
il
globo venendo da A in p ſegua le leggi della gra-
vità
.
Io non nego queſto, diſſe il Signor D. Nic-
cola
;
ſolo ho temuto che voi voleſte negarlo. Ma
giacchè
voi così d’ improvviſo vi ſiete renduto tan-
to
docile, fie meglio laſciar procedere avanti il Si-
gnor
D.
Felice, e vedere, come vada la dimoſtra-
zione
a finire.
Prima di eſporlavi, diſſe allora il
Signor
D.
Felice, io debbo avvertirvi di alcune
altre
poche coſe;
il che farò conſiderando la cor-
da
SA non più da ſe ſola, come finora ho fatto,
ma
in altro modo;
vedrete voi, ſe vi piacerà di
concederle
.
Sia dunque AD un piano, che faccia
con
la corda AS un’ angolo, che 10 voglio al pre-
ſente
ſupporre acuto.
Il globo A appoggiandoſi
al
piano, et eſſendo tirato dalla corda, ne poten-
do
ſeguire la direzione AS, ne ſegua un’ altra ſul
piano
ſteſſo.
Ciò preſuppoſto, la corda tiri il
285261LIBRO III. bo ſecondo la direzione AD per uno ſpazietto in-
finiteſimo
da A fino in r;
ſe noi condurremo dal
punto
r una linea rp perpendicolare ad AS, dice
il
Padre Riccati molto ſottilmente, che l’ azione,
che
avrà fatto la corda traendo il globo da A fino
in
r nella direzione AD, ſarà eguale a quella azio-
ne
, che avrebbe fatta, traendolo nella direzione
AS
da A fino in p.
La qual propoſizione voi non
dovete
negarmi, ſe già non volete togliermi quel-
lo
, che pur poc’ anzi mi avete conceduto.
Percioc-
chè
ſe l’ azion della corda ſi è pur l’ accorciar-
ſi
, chi non vede, che traendo il globo per u-
no
ſpazio infiniteſimo da A fino in r, e paſſan-
do
eſſa corda in Sr, viene ella ad accorciarſi
della
lunghezza Ap?
(dico della lunghezza Ap,
traſcurando
, come s’ uſa, le differenze infinita-
mente
piccole) e della ſteſſa lunghezza Ap ſareb-
beſi
pure accorciata traendo il globo da A fino in
p nella direzione AS;
onde ne ſegue, che ſe l’ a-
zion
della corda è pur l’ accorciarſi, debba ella
nell’
uno, e nell’ altro caſo eſſere la medeſima, eſ-
ſendo
nell’ uno e nell’ altro caſo il medeſimo ac-
corciamento
.
E vedete, come conſenton le coſe
tra
loro, e, per così dire, ſi accordano.
Percioc-
chè
il globo A, ſcorrendo la lineetta Ar, acquiſta
quella
ſteſſa velocità, e quella ſteſſa forza, che av-
rebbe
acquiſtata ſcorrendo Ap;
il che è chiaro, ſe
voi
pure mi attenete quello, che poco fa mi
avete
conceduto, cioè che il globo ſegua et oſſer-
vi
in queſto ſuo breviſſimo corſo le leggi della
286262DELLA FORZA DE’CORPI vità; poichè ſe egli le oſſerva, chi non vede, che
egli
, venendo da A in p, è come un grave, il qual
cada
per una linea verticale dall’ altezza Ap, e ve-
nendo
da A in r, è come un grave, il qual cada.
dalla altezza medeſima per un piano inclinato Ar?
Se
egli ha dunque la ſteſſa velocità, e la ſteſſa for-
za
così in p, come in r, non è da maravigliarſi,
che
l’ azion della corda, o il tragga in p, o il trag-
ga
in r, ſia ſempre la ſteſſa.
Il che voi, come ho
detto
, non potete negarmi, ſe già non volete tor-
mi
quelle propoſizioni, che poco fa mi avete li-
beralmente
laſciate.
Vedete, diſſe quivi il Signor
D
.
Nicola, di non valervi troppo della coſtui libe-
ralità
;
perchè ſe egli vedrà in ultimo, che il voſtro
argomento
lo ſtringa, ſi ripiglierà quello, che vi
ha
donato;
ne vorrà farvi buona una dimoſtrazio-
ne
, che abbia tanto biſogno della liberalità altrui.

Farà
egli, riſpoſe il Signor D.
Felice, quello, che
gli
piacerà;
ne è mio carico di ſoſtenere la dimo-
ſtrazione
del Padre Riccati, ma ſol di eſporla;
al-
la
quale io potrei entrar di preſente;
ma forſe,
queſti
Signori avran, che dire ſopra quello, che,
ora
ho ſtabilito.
Qui parve, che il Signor D. Feli-
ce
ſi fermaſſe alquanto;
e allora la Signora Princi-
peſſa
, io non vi leverò già, diſſe, le propoſizioni,
che
queſto Signore vi ha donate;
vedrà egli, ſe,
voi
ne facciate buon uſo.
Vorrei bene, che mi
ſoddisfaceſte
di una mia curioſità.
Voi conſiderate
il
globo A ne più ne meno, come ſe egli foſſe,
un
corpo grave, e il punto S foſſe il centro
287263LIBRO III. terra, che a ſe lo traeſſe; perchè ciò poſto ſarebbe
A
p la diſceſa verticale, et Ar la diſceſa per un,
piano
inclinato, e ſeguirebbon tutte le coſe ap-
punto
, che avete dette.
Io vorrei dunque ſapere,
perchè
non più toſto abbiate voluto valervi dell’
eſempio
di un corpo grave, il qual ſi mova per la
ſua
propria gravità, ſenza introdur qui una corda
elaſtica
, ſopra cui vedete quanti dubj ſon nati.
Ma forſe nella dimoſtrazione, che voi ci eſporre-
te
, ſarà neceſſario aver ſuppoſto il globo più toſto
tirato
da una fune, che ſpinto dalla ſua natural
gravità
.
E’ egli così? Non credo, Signora; riſpoſe
il
Signor D.
Felice; che anzi il Padre Riccati av-
viſa
in più d’ un luogo quello ſteſſo, che avviſate
voi
;
e dice poterſi anche intendere in vece dell’ a-
zion
della fune l’ azion della gravità;
ma pure egli
ama
l’ eſempio della fune, e a queſto ſempre,
tien
dietro, qual che ne ſia la cagione.
Io credo,
diſſi
io allora, che la cagion ſia, perchè immagi-
nando
il globo tirato da una fune elaſtica, facil
coſa
era, che ognuno, ſenza avvederſene, traſcor-
reſſe
a credere che l’ azione foſſe lo ſteſſo accor-
ciamento
, e però doveſſe miſurarſi dallo ſpazio;

perciocchè
il nome di accorciamento ci riſveglia.

principalmente
l’ idea d’ uno ſpazio ſminuito.
E
troppo
ha egli biſogno d’ imprimere nella men-
te
degli uomini, che l’ azione s’ abbia.

a
miſurar dallo ſpazio.
Se egli aveſſe imma-
ginato
un globo cadente per la ſua natural gravi-
, non avrebbe avuto luogo quel verbo
288264DELLA FORZA DE’ CORPI ciarſi, ne ſarebbe ſtato così facile il perſuadere,
che
l’ azione doveſſe eſſere per lo ſpazio miſura-
ta
.
Io credo dunque, che egli abbia ſeguito l’ e-
ſempio
della corda elaſtica, per la comodità del
vocabolo
.
Lo ſteſſo comodo avrebbe avuto egli,
diſſe
allora il Signor D.
Felice, ſe laſciando da.
parte la corda, ſi foſse ſervito dell’ eſempio della
gravità
;
ſolo che gli foſse piaciuto di dire, che
l’
azione della gravità non è già movere il corpo,
cioè
produrre in eſso un certo movimento, ma.

l’
accoſtarlo al centro della terra;
poichè il nome
di
accoſtamento, non men che quello di accor-
ciamento
, riſveglia in noi principalmente l’ idea.

d’
uno ſpazio ſminuito;
ne difficil ſarebbe dare ad
intendere
, che eſſo pure doveſſe dallo ſpazio mi-
ſurarſi
.
E voi vedete, che conſiderandoſi il globo
A
, come un grave cadente, l’ accoſtamento ſuo al
centro
S ſarebbe ſempre lo ſteſſo, o cadeſſe egli in
p, o cadeſſe in r;
onde ſubito ſi conchiuderebbe
anche
l’ azione eſſere ſempre la ſteſſa.
, riſpoſi
io
;
ma pochi peravventura trovereſte, che foſſer
diſpoſti
di concepire l’ azione della gravità, come
la
produzione d’ un’ accoſtamento;
eſſendo noi
troppo
avvezzi a concepirla, come la produzione
d’
un movimento;
benchè da quel movimento ri-
ſulti
poi l’ accoſtarſi al centro della terra.
Io non
voglio
contender di ciò, diſse allora il Signor D.

Felice
;
ma piace al Padre Riccati ſeguire l’ eſem-
pio
della fune elaſtica, et io debbo ſeguir lui;
e,
poco
importa, quale eſempio ſi ſegua, o
289265LIBRO III. della gravità, o quel della fune, pur che l’ azione,
o
venga il globo da A in p, o venga da A in r,
ſia
ſempre la ſteſſa.
E a me pur pare, diſſe allora
il
Signor Marcheſe di Campo Hermoſo, che fin qui
poco
importi ſeguir l’uno, o l’ altro eſempio, pur-
chè
l’azione ſia ſempre la ſteſſa.
Ma s’ egli mi è
lecito
frappormi ai ſermoni di voi altri grandi uo-
mini
, dico, ch’ io non intendo, come l’azione,
debba
poter eſſere ſempre la ſteſſa, s’ egli è vero
quello
, che voi poco fa dicevate.
Che è queſto?
diſſe il Signor D. Felice. Voi dicevate, riſpoſe il
Signor
Marcheſe, che l’azione ſi miſura dalla po-
tenza
, edallo ſpazio, moltiplicando l’ una per l’
altro
, ela eſprimevate per ps.
Così vuoleil Padre
Riccati
, diſſe allora il Signor D.
Felice, piacendo-
gli
, che l’ azione altro non ſia, ſe non la potenza
applicata
di mano in mano a tutte le parti dello
ſpazio
.
Or bene, diſse il Signor Marcheſe, biſo-
gnerà
dunque, che ſe la potenza riman la ſteſsa,
variando
lo ſpazio, a cui ſi applica, varj ancor l’
azione
;
onde ſegue, che ſe la fune tirerà il glo-
bo
prima da A in p, poi da A in r, non potrà l’
azione
nell’ uno e nell’ altro caſo eſser la ſteſsa;

eſsendo
la potenza, cioè l’ elaſticità della corda.
,
ſempre
quella ſteſsa;
ma non già lo ſpazio, il qua-
le
nel primo caſo è la linea Ap, nel ſecondo la.

linea
Ar.
: riſpoſe quivi il Signor D. Felice, ſe
l’azione
foſse la potenza applicata a quello ſpazio,
che
il corpo ſcorre;
ma il Padre Riccati non vuol
così
.
Vuole, che ſia la potenza applicata
290266DELLA FORZA DE’CORPI allo ſpazio Ap, che egli chiama ſpazio di accoſta-
mento
, o lo ſcorra il corpo, o non lo ſcorra.
E
quindi
è, dice egli, che per qualunque via giunga
il
corpo da A in r, l’ azione è pur ſempre la ſteſsa,
nulla
variandoſi ne la potenza, ne lo ſpazio dell’
accoſtamento
.
Ne la potenza, diſse allora il Signor
Marcheſe
, ſi varierebbe punto, ne lo ſpazio dell’
accoſtamento
, quand’ anche il corpo ſcendeſse,
da
A in r per due linee, che faceſser tra loro al-
cun’
angolo;
e pure io non ſo, ſe allora poteſse
l’
azione eſsere quella ſteſsa;
certo che il corpo ac-
quiſterebbe
un’ altra velocità, e un’ altra forza,
come
facilmente può intenderſi, conſiderandolo
come
un corpo grave, che cada.
Et anche, ſe ho
da
dirvi il vero, poco mi piace, che a formare la ve-
ra
idea dell’ azione, debba applicarſi la potenza non
già
a quello ſpazio, che il corpo ſcorre, ma ad un’
altro
, che egli non ſcorre.
Io non poſso diſſimulare,
diſse
quivi il Sig.
Conte della Cueva, che in queſto
luo
go il Padre Riccati anche a me poco piace.
Ne
anche
mi piace il dire, che l’ azione ſia la potenza
applicata
ad uno ſpazio, qualunque e’ ſiaſi;
per-
ciocchè
a qualunque ſpazio ſi applichi, parmi che
ſarà
ſempre potenza, non mai azione;
eſſendo la
potenza
e l’ azione due quantità di diverſa natura,
ne
potendo l’ una per applicazione, che ſe ne fac-
cia
, paſſar nella natura dell’ altra:
e veggiamo, che
il
tempo, comunque ſi applichi, non può mai di-
venire
uno ſpazio;
ne uno ſpazio, comunque ſi ap-
plichi
, può mai divenire una forza;
e lo ſteſſo
291267LIBRO III. poſſiamo di tutte le categorie, avendo ognuna la
natura
ſua propria, che non può cangiarſi in quel-
la
dell’ altre.
10 non aſpettava, diſſe quivi il Signor
D
.
Felice ridendo, chevoi, Sig. Conte, mi ajutaſte per
cotal
modo;
ne a queſto fine vi volli io aver com-
pagno
nel riferire la dimoſtrazione del Padre Ric-
cati
.
Se voi non volete far’ altro, che riferirla, ri-
ſpoſe
il Signor Conte, io ſono anche in tempo di
accompagnarvi
;
ma a voi non fa meſtieri di com-
pagno
.
10 non ſo, diſſe il Signor D. Felice, di che
mi
faccia meſtieri;
tante e così varie ſono le diffi-
coltà
e le dimande, che queſti Signori mi fanno.
Sebbene che che ſi dicano, a me par pure, che poſ-
ſa
e debba concederſi al Padre Riccati, che l’azion
della
corda ſia ſempre la ſteſſa, o tiri il globo da.

A
in p, o lo tiri da A in r, producendoſi nell’uno
e
nell’ altro caſo lo ſteſſo effetto, cioèla ſteſſa ve-
locità
nel globo, e la ſteſſa forza.
Se così è, diſſi
io
allora, l’ azion dunqne non è la ſteſſa, perchè
l’accorciarſi
ſia lo ſteſſo;
è più toſto la ſteſſa, per-
chè
produce nel globo la ſteſſa velocità, ovvero la
ſteſſa
forza;
donde ſi vede chiaramente che l’ azion
della
fune, più toſto che accorciarſi, è produrre nel
globo
una qualche velocità, o una qualche forza;

benchè
nel produrla ſegua accorciamento.
Sia co-
me
vi piace, diſſe allora il Signor D.
Felice, biſo-
gna
pure ad ogni modo, che concediate, l’ azion
della
corda, qual che la ragione ne ſia, rimaner
ſempre
la ſteſſa, o traggaſi il globo da A in p, o
traggaſi
da A in r.
Di queſto ancora io dubito
292268DELLA FORZA DE’ CORPI to, riſpoſi; e potrei dirvi la ragion del mio dubio,
ſe
non temeſſi di dover’ eſſer troppo lungo;
il per-
chè
meglio fia, che voi vi prendiate per conce-
duto
quello, di che io tuttavia dubito, cioè,
che
l’ azione in quei due caſi ſia ſempre la ſteſſa,
e
paſſiate finalmente alla dimoſtrazione, che tanto
deſideriamo
.
10 non potrei paſſarvi, diſſe il Signor
D
.
Felice, con animo aſſai quieto, rimanendo in
voi
un tal dubio.
Forſe avreſte l’ animo men quie-
to
, riſpoſi, ſe io ve ne eſponeſſi la ragione;
però
credo
eſser meglio, che voi entriate ſubito e fran-
camente
nella dimoſtrazione, laſciando a me tut-
ta
l’ inquietudine del dubitare.
Allora il Signor
D
.
Serao a me rivolto, voi, diſse, vorreſte fuggir
fatica
;
ma la Signora Principeſsa non vi permet-
terà
di tacervi, e tenerci naſcoſta la ragione del
voſtro
dubio;
che come al Signor D. Felice diede
carico
di dichiararci la dimoſtrazione del Padre
Riccati
, così a voi diede quello di giudicarne;
e ſe
fia
d’ uopo, noi la pregheremo tutti, che il vi im-
ponga
di nuovo.
Allora la Signora Principeſsa ri-
dendo
, io non ſon ſolita, diſse, comandare la ſteſſa
coſa
due volte;
ma ſe pur convenga di farlo, impon-
go
ſempre la ſeconda volta un caſtigo a chi non
ha
obedito abbaſtanza alla prima.
Voi volete, diſ-
ſi
io allora, ſtringermi a tutti i modi;
e la colpa
ſarà
pur voſtra, ſe diſtendendoſi ſoverchiamente
queſto
noſtro ragionamento, l’ora del ripoſare vi ſi
farà
tarda;
perchè già parmi, che il chiaror della luna,
che
percuote nell’onde del mare, cominci a
293269LIBRO III. meno, ſentendo forſe il nuovo di, che s’ avvicina.
Non, diſſe la Signora Principeſsa; che le barche ſo-
lite
muoverſi et uſcire incontro all’ alba, non an-
cor
fanno romore, ne ancor s’ ode il canto ma-
rinareſco
dei peſcatori.
Avendo così detto la
Signora
Principeſsa, io ſtetti alquanto come
penſoſo
, poſcia incominciai.
Voi dovrete perdo-
narmi
, ſe eſponendovi quello, che pur ora m’ è
nato
nell’ animo, vi parrò oſcuro, e poco ordina-
to
;
e ſe dirò forſe alcune coſe, che non ſaran ne-
ceſſarie
, per timore di non tralaſciar quelle, che
ſono
.
10 dico dunque, che una potenza, qualora
nell’
agir ſuo incontra obliquamente alcun’ oſta-
colo
, accreſce generalmente la ſua azione, e fa,
per
così dir, prova di ſe medeſima;
perciocchè co
mincia
toſto a premere ed urtare e ſpinger l’ oſta-
colo
, quanto può, per rimoverlo;
ne laſcia tut-
tavia
di premere e sforzarſi verſo altra parte;
le
quali
due azioni preſe inſieme ſono ſempre mag-
giori
di quella prima, che ella facea.
Il che ſi ve-
de
chiaramente nella riſoluzione di qualſiſia movi-
mento
.
Ma ſenza cercarne altronde l’ eſempio, egli
è
coſa notiſſima, e da tutti conceduta, e dal Padre
Riccati
ſteſso non negata, che ſe traendoſi il glo-
bo
A dalla corda SA verſo S, incontri l’ oſtacolo
del
piano AD, egli non ſolamente comincierà a
ſcorrere
per lo piano verſo D, ma inſieme comin-
cierà
a premere il piano ſteſso, e ſpingerlo con
molta
forza;
così che conducendoſi dal centro del
globo
le due linee At, Au, quella
294270DELLA FORZA DE’ CORPI al piano, queſta paralella, non laſcierà mai il glo-
bo
di premere il piano con la direzione At, e di
ſcorrervi
ſopra con la direzione Au.
Che ſe noi
vogliamo
, @he l’ azione, per cui la corda, non
eſsendovi
il piano, tirerebbe il globo da A in p,
ſia
eguale a quella azione, per cui, poſto il piano,
lo
tira da A in r;
egli ſi par manifeſto, che ſe a
queſta
azione aggiungeremo l’ altra, per cui pre-
me
il piano ſteſso e l’ urta, dovranno le due azio-
ni
preſe inſieme eſser maggiori di quella prima.
E
poichè
partono tutte e due dalla virtu della cor-
da
, e ſono azioni della corda ſteſsa tutte e due, bi-
ſogna
ben dire, che più agiſca la corda e faccia
maggiore
azione, venendo il globo da A in r, che
non
farebbe venendo da A in p.
Qui moſtrò il Si-
gnor
D.
Felice di non poter quaſi tenerſi, e già
volea
riſpondere;
ma il Signor Marcheſe di Cam-
po
Hermoſo, non accorgendoſene, gliele impedì
dicendo
:
10 non veggo, perchè voi così facilmen-
te
concediate, che l’ azione, che trae il globo da
A
in r, ſia da ſe ſola eguale a quella, che lo trar-
rebbe
da A in p.
Perciocchè non è egli vero, che
la
potenza della corda traente il globo da A verſo
p, viene per cagion del piano a riſolverſi in due,
l’
una delle quali preme il piano ſteſso, e l’ altra
tira
il globo verſo r?
E non è egli anche vero, che
qualſiſia
di queſte due potenze è minore di quella
prima
?
Altro è potenza, riſpoſi io, altro è azio-
ne
.
E ſe voi volete, che la potenza della corda, che
porterebbe
il globo da A fino in p, ſi riſolva in
295271LIBRO III. potenze, I’ una delle quali lo porti da A in r, ſa-
queſta certamente minore di quella;
di modo
che
ogni impulſo iſtantaneo di eſsa ſarà più debo-
le
di qualſiſia impulſo iſtantaneo dell’ altra.
Ma
come
quella potenza, che porta il globo da A in
r, vi mette più tempo, el’ altra, che lo portereb-
be
da A in p, ve ne metterebbe meno;
così quella
ripete
i ſuoi impulſi più volte, che queſta;
per mo-
do
che compenſandoſi col numero la debolezza,
gl’
impulſi dell’ una potenza faranno in ultimo l’
iſteſſa
ſomma, che gl’ impulſi dell’ altra;
e queſta
ſomma
è l’ azione.
E tutto ciò voi potrete facil-
mente
conoſcere nella diſceſa di un grave per un
piano
inclinato, che niente è diverſa dal diſcorri-
mento
del globo da A fino in r, s’ egli è pur vero,
ch’
egli oſſervi in quel corſo le leggi della gravità.
E’ dunque vero, che l’ azione, che porterebbe il
globo
da A fino in p, trovaſi eguale a quella, che
il
porta da A fino in r;
e però ſe a queſta aggiun-
geremo
l’ altra, per cui premeſi il piano ſecondo
la
direzione At, ſaranno le due azioni preſe inſie-
me
maggiori della prima;
e ſe voi vorrete attri-
buirle
, non già a due potenze nuove, che naſca-
no
dalla potenza della corda, ma piuttoſto, come
parmi
che voglia il Padre Riccati, alla corda ſteſ-
ſa
, egli vi converrà dire, che prù agiſca la corda,
quando
trae il globo da A in r, che ſe il traeſſe
da
A in p.
Parve, che il Signor Marcheſe alle mie
parole
s’ acquietaſſe.
Allora il Signor D. Felice, et
io
, diſſe, ſeguendo il Padre Riccati, vi nego,
296272DELLA FORZA DE’ CORPI la corda, mentre trae il globo da A in r, faccia
due
azioni, come voi dite.
Come? diſſe il Signor
Marcheſe
;
la corda non tira ella il globo da A in
r?
e tirandolo, non urta e ſpinge il piano? e non
ſon
due azioni queſte, così che l’ una debba accre-
ſcerſi
per l’ aggiunta dell’ altra?
, Signore,
riſpoſe
il Signor D.
Felice, perchè il premere non
è
azione;
e quando ben foſſe azione, ſarebbe un’
azione
infinitamente piccola, e dovrebbe averſi per
nulla
.
Parmi, Signor D. Felice, riſpoſi io allora,
che
ſe voi vorrete provar queſte due coſe, vi biſo-
gnerà
ſottilizzar non poco.
Et egli ridendo, non po-
trò
mai, diſſe, farlo, quanto voi.
Ma delle due.
coſe da me propoſte, e che il Padre Riccati ſoſtie-
ne
, qual è, che voi mi negate?
Io, diſſi, le nego
tutte
e due.
Or bene, diſſe il Signor D. Felice, io
mi
sforzerò in primo luogo di provarvi la prima,
cioè
, che il premere non ſia agire;
ſebbene io cre-
do
, che voi la neghiate, non perchè l’ abbiate per
falſa
, ma per far prova o del voſtro ingegno, o
del
mio.
Del voſtro, riſpoſi, ſarebbe una prova.
troppo
piccola, del mio troppo grande;
ma che.
che
ſia di ciò, provatemi dunque, che il premere
non
ſia agire;
vedremo poi, ſe, eſſendo agire, ſia
agire
infinitamente poco.
Allora il Signor D. Feli-
ce
incominciò:
Primieramente che il premere non
ſia
agire, e che la preſſione non ſia azione, può
provarſi
per queſto, che niuna azione può eſſere,
dove
non ſia effetto niuno;
la qual propoſizione,
ſiccome
veriſſima, e per ſe ſteſſa manifeſtiſſima,
297273LIBRO III. aſſume dal Padre Riccati, ne mi ricordo ben, do-
ve
.
Qui il Signor Conte della Cueva, parmi, diſ-
ſe
, che l’ affermi in più luoghi, ma lo ſuppon cer-
tamente
nella pagina 234.
E il Signor D. Felice.
ſeguitò a dire: che s’ egli è vero, niuna azione eſ-
ſere
ſenza effetto, voi ben vedete, che la preſſione,
non
avendo per ſe ſola effetto niuno, per ſe ſola.

non
può eſſere azione.
Di fatti mettete un corpo
ſopra
una tavola, così che vi ſtia fermo et immobi-
le
;
che effetto vi farà egli? niuno; e pure premerà
la
tavola;
dunque il premere non è agire. Voi vi
ſpedite
, diſſi io allora, con molta preſtezza, volendo
forſe
con ciò far credere, che la coſa ſia faciliſſima.

A
me però non par così;
e una coſa ſola dimando:
chi
ſottraeſſe improvviſamente la tavola;
il corpo ſo-
vrappoſto
non cadrebbe egli incontanente?
, ca-
drebbe
;
riſpoſe il Signor D. Felice; et io allora: di
quale
azione ſarebbe effetto quella caduta?
ed egli,
della
preſſione, riſpoſe, che la gravità eſercita nel
corpo
.
Oh! che mi dite voi dunque, riſpoſi io, che
la
preſſione non è azione?
Non è azione, diſs’ egli,
fin
che niun movimento ne ſegue;
ma ſeguendone
alcuno
, comincia ſubito ad eſſere azione.
Che va-
le
a dire, ripigliai io, la preſſione, che la gravità
eſercita
nel corpo, comincia ad eſſere azione ſubi-
to
, che ſi ſottrae la tavola;
prima non era azione.
lo
vorrei però ſapere, che differenza abbia tra la.

preſſione
, che la gravità eſercitava prima, che la ta-
vola
ſi ſottraeſſe, e quella, che dopoi eſercita, eſ-
ſendo
la tavola ſottratta;
perchè quanto a me,
298274DELLA FORZA DE’ CORPI mi, che la preſſione ſia ſempre la medeſima, ſenon
che
prima di ſottrar la tavola non ne ſeguiva il mo-
vimento
, perchè era impedito;
ſottratta la tavola,
ſegue
;
così che tutta la differenza è poſta nell’ effet-
to
, che ora ſegue, ora non ſegue, non nell’ azione.
Voi dite bene, riſpoſe il Signor D. Felice; ma chi
vieterà
ad un filoſoſo di chiamare azione quella.

preſſione
, cui ſegua il movimento, e non chiama-
re
azione quella, cui non ſegua?
quantunque l’ u-
na
e l’ altra preſſione ſieno, quanto a loro, dello
ſteſſo
genere.
Io, diſſi, nol vieto io già; ma vede-
te
, ſe non lo vieti il Padre Riccati;
perciocchè ſe
egli
vuol dimoſtrare, che l’ azione, che tira il glo-
bo
da A fino in r, di niente ſi accreſca, aggiun-
gendoleſi
la preſſione, che lo ſteſſo globo eſercita
contro
il piano AD;
non ſo, ſe a lui baſterà di di-
re
, che queſta preſſione non ha nome azione;
per-
ciocchè
, qualunque ſia il nome, s’ ella è dello ſteſ-
ſo
genere, che quelìa, che chiamaſi azione, biſogna
bene
, che l’ una ſi accreſca per l’ aggiunta dell’ al-
tra
;
e chi argomentaſſe in contrario, ſi abuſereb-
be
del nome.
Ne ſo, ſe il Padre Riccati, dando al
nome
di azione quel ſignificato, che più a lui pia-
ce
, incontrerà poi la grazia dei metafiſici, quan-
do
vorrà dimoſtrare nella compoſizione del moto
l’
uguaglianza dell’ azione e dell’ effetto;
percioc-
chè
i metafiſici non ſon già contenti, che in quel
loro
principio ſi prenda il nome di azione in qua-
lunque
ſenſo più piaccia, ma vogliono, che ſi pren-
da
in quello, che piace a loro.
E
299275LIBRO III. turba il lor principio, non lo difende. Io non.
dico, riſpoſe qui il Signor D. Felice, che il Padre
Riccati
argomenti dal nome, e neghi, che la azio-
ne
ſi accreſca per l’ aggiunta di una preſſione, per
ciò
che la preſſione non ha nome azione;
che in.
vero
ſarebbe argomento troppo debole;
ma egli s’
attiene
principalmente ad’ un’ altra ragione aſſai
forte
, la qual’ è, che la preſſione, con la quale il
globo
ſpinge il piano, ſe è azione, è però azione
infinitamente
piccola, e per ciò dee traſcurarſi,
così
che aggiungendola a quell’ altra, che tira il
globo
da A in r, non debba farſi accreſcimento
niuno
.
Udirò volentieri quello, che vogliate dire
contro
una tal ragione.
Io dico già da ora, riſpo-
ſi
, che poco mi piace coteſto traſcurare le quantità
infinitamente
piccole, e averle per nulla.
Ma voi,
diſſe
il Signor D.
Felice, vi avete poſto nell’ animo
di
voler dire contro ogni coſa.
I geometri non le
traſcurano
eſſi?
E ſe ciò ſi permette a i geometri,
quanto
più dovrà permetterſi ai fiſici?
Et 10 pure,
riſpoſi
, lo permetto agli uni et agli altri, ove ſi trat-
ti
di ridur le coſe alle miſure comuni, nelle qua-
li
perdonaſi facilmente al miſuratore una colpa in-
finitamente
piccola;
ma ſe ſi trattaſſe di ridurle ai
principj
, et alle leggi dei metafiſici, non ſo, ſe.

queſtigliel
permetteſſero;
perciocchè ſono ſeveriſ-
ſimi
, e non perdonano nulla.
E ſe avranno, per e-
ſempio
, ſtabilito, che l’ effetto non poſſa eſſer mag-
giore
della cagione;
non vorranno già contentarſi,
che
ſia maggiore per una differenza
300276DELLA FORZA DE’ CORPI piccola; imperocehè quella differenza, percui l’ ef-
fetto
eccedeſſe la ſua cagione, ſarebbe ſenza cagio-
ne
;
e tanto è impoſſibile, che ſia ſenza cagione u-
na
particella infinitamente piccola, quanto che.
ſia ſenza cagione il mondo tutto; il qual po-
trebbe
eſſere anch’ egli infinitamente piccolo, ſe ſi
paragonaſſe
con un’ altro mondo infinitamente.

più
grande.
Se dunque il Padre Riccati cerca di
ſoſtenere
una legge dei metafiſici, e acquiſtar gra-
zia
appreſſo loro;
vegga di non commettere co’ſuoi
calcoli
qualche peccato infiniteſimo, che eſſi non.

gli
perdoneranno.
Ma a ciò penſerà egli. Io aſpet-
to
intanto, che voi mi dimoſtriate, come l’ azio-
ne
, con la quale il globo A preme il piano AD, ſia
azione
infinitamente piccola.
Avendo io così det-
to
, era già il Signor D.
Felice diſpoſto di ſoddis-
farmi
;
ma il Signor Conte della Cueva, che volge-
va
ancor nell’ animo le coſe poc’ anzi dette, lo in-
terruppe
, et a me volto, non vorrei, diſſe, ritar-
dare
l’ aſpettazion voſtra;
pure prima di udire la.
dimoſtrazion
, che aſpettate, vorrei, che udiſte una
difficoltà
, che ora mi è nata ſopra quello, che di-
cevate
poc’ anzi.
Siete contento, che io la vi dica?
Contentiſſimo
, riſpoſi;
poichè ritardandomi un.
piacere
, me ne fate un’ altro non minore;
ne però
mi
togliete la ſperanza di quello, che mi ritardate.

Dite
dunque a piacer voſtro.
Allora il Sig. Conte
così
cominciò.
Voi dicevate, che la preſſione per
ſe
ſola è azione;
e però quella potenza, che pre-
me
, benchè non ne ſegua l’ effetto del
301277LIBRO III. to, tuttavia agiſce. Io dunque dimando: queſta.
cauſa, che agiſce ſenza che ne ſegua effetto niuno,
qual
coſa agiſce?
certo ſe niuno effetto ne ſegue,
dovrà
dirſi, che agiſce nulla.
Ora agir nulla, e.
non
agire, non ſon forſe quello ſteſſo?
non ſono
eglino
la ſteſſa coſa illuminar nulla, e non illumi-
nare
?
riſcaldar nulla, e non riſcaldare? mover nul-
la
, e non movere?
e perchè non ſarà egli anche lo
ſteſſo
agir nulla, e non agire?
oltrechè quale azio-
ne
è, che abbia per termine il nuila, e tenda al
nulla
?
Niuna, riſpoſi; perchè ogni azione ha per
termine
una qualche forma, che non è, ma dee.

cominciar
ad eſſere per l’ azione ſteſſa, purchè il
ſoggetto
ne ſia capace;
e a porre queſta forma ten-
de
ſempre l’ azione;
e ſe tal volta non la pone,
ciò
interviene per l’ incapacità del ſoggetto, non
perchè
l’ azione non tenda ad eſsa, e non ſia ad eſ-
ſa
naturalmente diretta.
Bene, diſse quivi il Signor
Conte
;
ma quando la cauſa agendo non conſegue
l’
effetto;
qual coſa diremo noi, che ella agiſca?
Et
io ſoggiunſi:
voi dimandate, qual coſa agiſca.
la
cauſa, qualora agiſce;
perchè voi già ſuppone-
te
, che ella non poſsa agire ſenza agir qualche.

coſa
, che vale a dire ſenza produr quell’ @ffetto,
per
cui agiſce;
il che è ſuppor quello ſteſso, di che
è
quiſtione;
ne v’ accorgete, che l’ azione non è
nell’
effetto, ma nella caufa, e però potrebbe eſ-
ſere
, quand’ anche l’ effetto non foſse.
E certo ſe
non
foſse al mondo alcun corpo, che poteſse eſ-
ſere
o illuminato, o riſcaldato, il ſole non
302278DELLA FORZA DE’ CORPI nerebbe, ne ſcalderebbe nulla; ma però ſpanden-
do
i ſuoi raggi non laſcierebbe di fare quella ſteſ-
fa
azione, che fa, quando riſcalda i corpi, e gl’
illumina
;
e ſi direbbe, che egli non riſcalda, e non
illumina
, perchè queſti vocaboli, riſcaldare e illu-
minare
, ſignificano non l’ azion ſola, ma anche.
la poſizion dell’ effetto; tolto il quale effetto quei
vocaboli
non han luogo:
non c@sì la voce agire,
che
ſignifica l’ azion ſola, e può aver luogo an-
che
, dove l’ effetto non ſia;
e certo non meno
agiſce
chi ſpinge a tutto potere un muro, e non.

lo
ſcuote, che un’ altro, che preme una canna con
eguale
sforzo, e la rompe.
Pur ſiamo ſoliti dire,
ripigliò
quivi il Signor Conte, che l’ azione ſi mi-
ſura
dall’ effetto;
e che l’ azione, che eſercita la.
gravità
in un corpo, il quale ſia ſoſtenuto e fermo,
è
infinitamente piccola, e però nulla, riſpetto a.

quella
, che eſercita in un corpo, il quale attual-
mente
cade.
Così diciamo, riſpoſi, perchè quando
il
corpo ſta fermo, noi conſideriamo ſolo quell’
impulſo
iſtantaneo e preſente, che egli riceve dal-
la
gravità;
degli altri infiniti, che ſon già paſſati,
e
non hanno laſciato di ſe effetto niuno, non ab-
biamo
conſiderazione, tenendogli per inutili.
Ma
nel
corpo, che cade, conſiderar ſi vuole non ſol
l’
impulſo preſente, ma quegl’ infiniti ancora, che
egli
ha ricevuti per tutto il tempo della caduta.
;
perchè
ſebbene paſſarono, e più non ſono, pur
hanno
laſciato nel corpo un movimento, del
quale
ſe noi vogliamo intendere la cagione,
303279LIBRO III. ſogna intendere tutti quegl’ infiniti impulſi, che
lo
produſſero.
Se voi però ridurrete in una ſomma
tutti
gl’ impulſi, che il corpo fermo riceve.
dalla ſua gravità in un minuto di tempo,
e
ſimilmente tutti quelli, che riceve in tempo
eguale
cadendo, voi troverete le due ſomme egua-
liſſime
;
e l’ azione altro non è che la ſomma degl’
impulſi
;
il movimento è l’ effetto. E ſebben l’ a-
zione
, come voi dicevate, ſi miſura dall’ effetto, ciò
vuolſi
intender per modo, che ſi miſuri non dall’
effetto
, che attualmente ſegue, ma da quello, che.

ſeguirebbe
, ſe non foſſe da altra cagione fraſtor-
nato
.
Così l’ azione, che eſercita la gravità per
un
minuto di tempo in un corpo, il quale ſia ſo-
ſtenuto
e fermo, dee miſurarſi da quell’ effetto, che
ella
produrrebbe, ſe il corpo non foſſe ſoſtenuto;

perchè
il dire, che l’ effetto ſuo in quel caſo è nul-
lo
, e che ella però dee miſurarſi dal nullà, è lo
ſteſſo
che aſſegnarle un’ effetto contrario alla na-
tura
ſua, non potendo l’ azione tendere al nulla,
ne
eſſere dal nulla in niun modo miſurata.
Ma io
non
vorrei, che diſtendendoci noi troppo in que-
ſta
diſputa, parer poteſſe al Signor D.
Felice, che
noi
voleſſimo ſtudioſamente allontanarci dalla ſua
propoſta
.
Voi, diſſe il Signor D. Felice, vi ſiete
ad
eſſa accoſtati più forſe, che non credete;
e cer-
to
più, ch’ io non voleva;
perchè tali coſe avete
ultimamente
dette, che appena laſciano luogo a.

quello
, che io era per dirvi.
Imperocchè la mia
propoſta
, la quale è ancora del Padre
304280DELLA FORZA DE’ CORPI cati, era, che l’ azione, con la quale il globo
A
preme il piano AD, ſia infinitamente piccola.
riſpetto a quella azione, per cui ſcorre da A in r;
e
la ragione, che io doveva addurvi, ſi era, per-
chè
queſta produce un movimento, e quella non.

ne
produce niuno;
parendo, che, ſe ſi miſurino
dal
movimento prodotto, debba ſenza alcun du-
bio
eſſere infinitamente piccola quella, che niun
ne
produce.
Ma voi direte, che quella azione, con
la
quale il globo preme il piano, dura tanto tem-
po
, quanto l’ altra, per cui viene da A in r, e im-
prime
al globo egual numero di impulſi, e che ſi-
nalmente
vuol miſurarſi non già da quel movimen-
to
, che è nullo, e che non può, eſſendo nullo, eſ-
ſer
prodotto, ma da quel movimento, che ella.

produrrebbe
, ſe il piano non foſſe.
Si certamente,
riſpoſi
io allora, ch’ io direi tali coſe;
e dicendo-
le
, apparirebbe chiaramente, che l’ azione, con.

la
quale il globo A preme il piano, continvandoſi
per
tutto quel tempo, che egli viene da A in r, ne
può
dirſi infinitamente piccola, ne è;
e ſe il movi-
mento
non ne ſegue, ciò è per l’ impedimento del
piano
, non per la mancanza dell’ azione.
Ma la.
notte
chetamente ſen fugge, e già veggo la luna.

di
gran paſſo inchinarſi verſo il ponente;
ond’ io
comincio
a temere, ohe noi ci perdiamo troppo in
ſottilità
metafiſiche.
E’ già buona pezza, diſſe il
Signor
D.
Niccola, che io ne temo; perchè, a dir-
vi
il vero, coteſte voſtre ragioni tanto metafiſiche,
ſenza
accompagnamento di eſperienze,
305281LIBRO III. di ogni calcolo, come che a me piacciano, non piace-
ranno
al mondo, e non ſaranno ricevute.
Io non
voglio
già, diſſi, darle alle ſtampe:
quantunque.
piacendo a voi (s’ egli è pur vero, che a voi piac-
ciano
, e nol dite per gentilezza) pare a me, che.

dovrebbono
piacer a tutti.
Voi giudicate, diſſe al-
lora
il Signor D.
Niccola, troppo corteſemente di
me
.
Ma in verità i matematici de noſtri , ſicco-
me
voi ſapete, amano grandemente le propoſizio-
ni
dei metafiſici, ma vogliono più toſto aſſumerle,
che
diſputarne.
E come fanno, riſpoſi io, a ſaper,
che
ſien vere, ſenza diſputarne?
Oh ſi veramente,
riſpoſe
il Signor D.
Nicola, che lo ſaprebbono, di-
ſputandone
.
Ma ſe dopo averne diſputato, riſpoſi
io
, non poſſon ſapere, ſe quelle propoſizioni ſien
vere
, molto meno il ſapranno, ſe non ne diſputa-
no
;
perchè in ſomma il diſputare di una propo-
ſizione
non è altro che cercare, ſe ſia vera, o non
vera
.
Troppa briga, diſſe allora il Signor D. Ni-
cola
, ſi darebbe ai matematici;
chi voleſſe, che ol-
tre
l’ aſſumere le propoſizioni dei metafiſici anche
le
eſaminaſſero.
Volendo io quì riſpondere, feceſi
innanzi
la Signora Principeſſa, e diſſe:
voi per poco
entrereſte
in un’ altra diſputa metafiſica;
ne laſcie-
reſte
, tanto ſiete litigioſi, che il noſtro Signor D.

Felice
venir mai poteſſe a quella dimoſtrazione, che
tanto
aſpettiamo.
Però mettete da parte le ſottigliez-
ze
, e concedetegli una volta, che l’ azione della
corda
, o tiri il globo da A in r, o lo tiri da A in p,
ſia
ſempre la ſteſſa;
che è quello, che egli, ſe
306282DELLA FORZA DE’ CORPI m’ accorgo, maſſimamente diſidera : e ſe a ſtabilir
ciò
, vuolſi, che l’azion della corda ſia lo ſteſſo che
l’
accorciarſi;
e che ſi miſuri dallo ſpazio; e che il
globo
nel primo ſuo moverſi oſſervi le leggi della
gravità
;
e che il premere non ſia agire; e voi digra-
zia
concedetegli ogni coſa, acciocchè poſſiamo ſi-
nalmente
udire a qual fine giunga la dimoſtrazio-
ne
.
Allora io rivolto al Signor D. Felice, meno,
diſſi
, non vi volea della Signora Principeſſa di Co-
lobrano
, perchè tante coſe ad un tempo vi ſi con-
cedeſſero
.
Ma ella può quanto vuole. Voi dunque
venite
alla dimoſtrazione.
Riſe un poco il Signor
D
.
Felice, poi cominciò: ſia un corpo A (volgete
11F.V. l’ occhio alla figura quinta ) ſtimolato da due po-
tenze
ſecondo due direzioni AS, AC, che facciano
un’
angolo acuto ( potrei ſupporre l’angolo d altra
maniera
;
ma io ſeguo la ſuppoſizione p@ù comoda );
e ſieno le potenze tra loro come le due linee AB,
AC
, le quali linee voglio, che ſi prendano nelle,
direzioni
medeſime.
Egli è ſtabilito tra i meccanici,
che
il corpo ſi incamminerà per AD, diagonale,
del
parallelogrammo BC, e la ſcorrerà in quel tem.

po
medeſimo, in cui ſpinto dalla ſola potenza AB
avrebbe
ſcorſo il lato AB, o ſpinto dalla ſola po-
tenza
AC avrebbe ſcorſo il lato AC.
Dove ſubito
e
chiaramente appariſce, che le tre velocità ſonotra
loro
, come le tre linee AB, AC, AD;
e ſiccome
la
linea AD è ſempre minore della ſomma dell’ al-
tre
due, così ancora la velocità, con cuiella è ſcor-
ſa
, è ſempre minore della ſomma dell’ altre
307283LIBRO III. con cui ſeparatamente ſi ſcorrerebbono i lati AB,
AC
.
Di che pare ad alcuni, che l’ uguaglianza tra
l’
effetto e la cauſa ſi levi, non ſenza pericolo, che
ſe
ne ſdegnino i metafiſici, concioſiacoſache le po-
tenze
eſercitandoſi ſeparatamente producano velo-
cità
maggiore;
e poi ne producano una minore,
eſercitandoſi
congiuntamente.
Ma quelli, che così
parlano
, non pongon mente, che quando le poten-
ze
ſi congiungono, ognuna di loro agiſce forſe
meno
nel corpo di quel, che agirebbe, ſe foſſero
ſeparate
;
il perchè non è da maravigliarſi, che pro-
ducano
effetto minore;
e poca ragione avrebbono
i
metafiſici di ſdegnarſene, eſſendo l’effetto, ſecon-
do
eſſi, proporzionale non veramente alla potenza
ma
all’ azione.
Sono poi alcuni, i quali immagi-
nano
, che le due potenze, che ſpingono il corpo
per
li due lati AB, AC, e che io chiamerò poten-
ze
laterali, ne producano una terza, che lo ſpinga
per
AD, che io chiamerò potenza diagonale;
e
queſti
miſurando le potenze dalle velocità, che,
producono
, ſono aſtretti di dire, che la potenza
diagonale
ſia minore della ſomma delle due latera-
li
, da cui vien prodotta;
onde pare anche a loro,
che
tolgaſi l’ uguaglianza tra la cagione el’ effetto.
Ma il Padre Riccati molto ſottilmente gli ripren-
de
, e con ragione;
perciocchè nega egli, che le,
potenze
laterali poſſan produrre veruna potenza,
nuova
;
e dice, che ſe il corpo ſcorre la diagonale
AD
, ciò fa egli, non per l’ azione d’alcuna poten-
za
nuova che allor ſi produca, ma per l’azione
308284DELLA FORZA DE’ CORPI le potenze laterali ſteſſe. E certo le potenze non
pajono
di lor natura ordinate a produrre altre po-
tenze
.
E’ dunque la potenza diagonale, ſecondo lui,
non
prodotta nel corpo, ma finta e immaginata.
nell’ animo dei matematici; i quali non volendo
valerſi
di due potenze, che ſono nella natura, amano
meglio
di ricorrere ad’ una ſola, che eſſi ſi fingo.

no
;
la qual ſe foſſe, farebbe lo ſteſſo effetto, che
quelle
due.
Quindiè, che a conſervar l’ uguaglian-
za
tra l’ azione e l’ effetto, non altro fa d’uopo ſe
non
dimoſtrare, che l’azione, che fanno le due po-
tenze
laterali congiunte inſieme, ſia eguale a quella
azione
, che farebbe la potenza diagonale da ſe
ſola
, ſe vi foſſe.
E queſto ſi è quello, che il
Padre
Riccati prende a dimoſtrare, e il fa di
maniera
, che la dimoſtrazione ſteſſa lo con-
duce
nell’ opinione della forza viva.
Come ciò
ſia
, vi ſpiegherò brevemente, proponendovi prima
un
teorema di geometria aſſai bello, e non men faci-
le
, ſopra cui non dovrà naſcere niuna conteſa.
Ec-
covi
il teorema.
Nella diagonale AD di un paralle-
logrammo
BC ſi prenda un punto r, e quindi ſi guidi-
n
o le due rette rp, rq, perpendicolari ai lati AB, AC.

Dico
, che il rettangolo di AB, et Ap, e il rettan-
golo
di AC et Aq, preſi inſieme, ſono eguali al
rettangolo
di AD et Ar.
Volete voi, che io il vi
dimoſtri
?
Fermoſſi quì un poco il Signor D. Felice.
Allora
la Signora Principeſſa, quelli, diſſe, che ne
deſiderano
la dimoſtrazione, deſidereranno anche.

di
trovarſela da loro ſteſſi.
Quanto a me, io ſon
309285LIBRO III. ſuaſa del teorema, e credo, che gli altri ancora lo
ſieno
;
onde voi potete paſſare avanti. Vengo dun-
que
, riſpoſe il Signor D.
Felice, all’ argomento del
Padre
Riccati;
nel quale ſe io dicendo le coſe,
che
mi parran neceſſarie, ne laſcierò alcune, che,
quantunque
non neceſſarie, eſſendo però congiun-
te
all’ argomento ſteſſo, potrebbe piacervi d’ in-
tendere
, voi me le dimanderete, et io vedrò di ſod-
disfarvi
;
quelli poi, che ſi opporranno all’ argo-
mento
, e non vorranno averlo per vero, laſcierò,
che
ſi ſoddisfacciano da loro ſteſſi.
10 dico dunque,
che
le due potenze laterali poſſono ſempre conſide-
rarſi
, come due corde elaſtiche, le quali tirino il
corpo
;
perciocchè di qualunque maniera ſieno le
potenze
, faranno ſempre lo ſteſſo, che due corde fa-
rebbono
.
Sia dunque AB la potenza di una corda
elaſtica
AS, che tiri il corpo con la direzione AS;
e ſia AC la potenza di un’altra corda elaſtica AC,
che
tiri il corpo con la direzione AC.
Intanto il
corpo
, incamminandoſi per la diagonale AD, co-
me
vogliono i meccanici, ſcorra lo ſpazietto infini-
teſimo
Ar.
Egli è certo, per le coſe dette, che la
corda
SA traendo il corpo da A in r, fa quella.

ſteſſa
azione, che farebbe, ſe lo traeſſe da A in p;

e
che queſta azione, miſurandoſi dalla potenza.

moltiplicata
per lo ſpazio, ſi eſprimerà col rettan-
golo
di AB, et Ap.
E ſimilmente apparirà, che an-
che
l’ azione della corda CA, traente il corpo da
A
in r, ſi eſprimerà col rettangolo di AC, et Aq.

E
non è alcun dubbio, che ſe ſoſſe una terza
310286DELLA FORZA DE’ CORPI za AD, la qual traeſſe il corpo ſimilmente da A in
r, ſi eſprimerebbe l’ azion ſua ſimilmente col ret-
tangolo
di AD et Ar.
Eſſendo dunque i due rettan-
goli
di AB et Ap, e di AC et Aq, preſi inſieme,
eguali
al rettangolo di AD et Ar, è chiaro, che.
venendo il corpo da A in r, le azioni delle poten-
ze
laterali, preſe inſieme, ſono eguali a quella azio-
ne
, che la potenza diagonale farebbe da ſe ſola.

Ed
eccovi l’ argomento del Padre Riccati, per cui
viene
a conſervarſi nella compoſizione del moto
quell’
uguaglianza, che i metafiſici aſpettan ſem-
pre
, e richieggon per tutto tra l’ azione e l’ effet-
to
.
Ne credo che faccia meſtieri, ch’ io vi moſtri,
come
l’argomento ſteſſo ci conduca nell’ opinione
della
forza viva;
perciocchè ſe egli è fondato in.
queſto
, che l’ azion della corda AS ſia ſempre la.

ſteſſa
, o tiri il corpo da A in r, o lo tiri da A in p;

e
ſimilmente, che l’ azion della corda AC ſia ſem-
pre
la ſteſſa, o tiri il corpo da A in r, o lo tiri da
A
in q;
chi non vede, ciò provenire dall’ eſſer l’
azion
della corda non altro, che l’ accorciarſi;
on-
de
ne ſegue, che, miſurandoſi l’ accorciamento dal-
lo
ſpazio, debba miſurarſi dallo ſpazio ancor l’
azione
, e però anche dal quadrato della velocità,
perciocchè
il quadrato della velocità, movendoſi il
corpo
da A in p, ovvero da A in q ſecondo le leg-
gi
della gravità, è ſempre allo ſpazio proporziona-
le
.
Che ſe l’ azione è proporzionale al quadrato
della
velocità, biſognerà bene, che un’ effetto ne
naſca
proporzionale allo ſteſſo quadrato, il
311287Libro III. effetto non può eſſere, ſe non la forza viva di Lei-
bnizio
.
Qui tacqueſi il Signor D. Felice; e allo-
ra
la Signora Principeſsa, non mancherà, diſſe,
chi
voglia contradire a queſto argomento.
Io pe-
ſenza contradirgli, deſidero ſolo per intender-
lo
più pienamente, che mi ſoddisfacciate di un.
mio deſiderio. Se la linea AD, per cui s’ incammi-
na
il corpo, non foſſe la diagonale del parallelo-
grammo
BC, ma altra linea;
voi non pertanto po-
treſte
prendere in eſſa un punto r, e condotte le
perpendicolari
rp, rq, prolungarla tanto, che foſ-
ſe
il rettangolo di AD, et Ar eguale ai due rettan-
goli
di AB et Ap;
e di AC et Aq, preſi inſieme;
e
in queſto caſo potreſte dire tutte le coſe, che
avete
dette.
Io dimando dunque, onde avvenga,
che
eſſendo il corpo ſoſpinto dalle due potenze AB,
AC
, più toſto per la diagonale ſi incammini, che
per
altra linea.
Dimandatene pure i meccanici, diſſe
allora
il Signor D.
Felice; perchè eſſi ſono, che in-
ſegnano
il corpo doverſi incamminare per la diago-
nale
;
al Padre Riccati baſta di aver dimoſtrato, che,
incamminandoſi
eſſo per la diagonale, l’ effetto è
pur
ſempre eguale all’ azione.
Ne è però, che egli
non
poſſa anche render ragione, perchè il corpo
debba
più toſto ſeguire la diagonale, che prendere
altra
via.
Perchè dovete ſapere, che ſecondo il Pa-
dre
Riccati, che in ciò s’ accorda all’ opinione de-
gli
altri meccanici, le due potenze AB, AC non ſo-
lo
traggono il corpo per una terza linea AD, ma
anche
contraſtan tra loro premendoſi l’ una l’
312288Della forza de’ corpi vicendevolmente; ne potrebbe il corpo determi-
narſi
a ſcorrere una certa linea, ſe le preſſioni, per
cui
le potenze contraſtan tra loro, non ſi rendeſ-
ſero
eguali, e ſi diſtruggeſſero.
Egli è dunque per
l’
uguaglianza, a cui debbon ridurſi quelle tali preſ-
ſioni
, che il corpo dee ſeguir la diagonale, non al-
tra
linea.
Ma il Padre Riccati non mette le preſſio-
ni
nel numero delle azioni, e però non vuole, che
ſi
conſiderino, trattandoſi ſolo di ſpiegar l’ ugua-
glianza
, che paſſa tra l’ azione el’ effetto.
Eſſendo-
fi
qui taciuto il Signor D.
Felice, feceſi innanzi
il
Signor D.
Nicola, et, io pure ho un deſiderio, diſ-
ſe
, cui vorrei, che voi ſoddisfaceſte.
Voi avete
detto
molto accortamente, che la potenza AB, o
tiri
il corpo da A in r inſieme con la potenza AC,
o
lo tiri da ſe ſola da A in p, nell’ uno e nell’ al-
tro
caſo fa ſempre la ſteſſa azione;
e certo nell’uno
e
nell’ altro caſo ſegue lo ſteſſo accorciamento della
corda
da voi ſuppoſta.
E così nell’ uno e nell’ altro
caſo
produce ſempre lo ſteſſo effetto, il quale è, ſe-
condo
voi, la forza viva.
Similmente diraſſi della
potenza
AC, la quale, come avrà tirato il corpo
da
A in r inſieme con la potenza AB, avrà pro-
dotta
in lui quella ſteſſa forza viva, che avrebbe
in
eſſo prodotta, tirandolo da ſe ſola da A in q.
Onde ne ſegue che il corpo, giunto in r, dovrà a-
vere
una forza viva eguale alla ſomma di quelle
due
, che avrebbe avute ne punti p et q, ſe vi foſse
ſtato
ſeparatamente tirato dalle due potenze.
Non
è
egli così?
Così è certamente, diſse il Signor D.
313289Libro III. Felice. Non però, ſeguitò allora il Signor D. Nic-
cola
, avrà il corpo, giunto in r, una velocità, che
ſia
eguale alla ſomma delle due velocità, che av-
rebbe
avuto ne punti p et q.
Laſciate che io mi ſpie-
ghi
con un’ eſempio.
Supponghiamo, che il corpo
tirato
dalla ſola potenza AB aveſſe avuta in p una
velocità
3, e per conſeguente una forza viva 9, e
tirato
dalla ſola potenza AC aveſſe avuta in q una
velocità
4, e per conſeguente una forza viva 16;
così che la ſomma delle velocità foſſe 7; la ſom-
ma
delle forze vive foſſe 25;
dovendo il corpo,
giunto
in r, avere ſecondo voi una forza viva 25,
non
potrà certo avere una velocità, che ſia 7;
ma.
dovrà
averne una minore, la qual ſarà 5;
altri-
menti
la forza viva, che egli ha in r, non ſarebbe
proporzionale
al quadrato della velocità.
E’ dun-
que
chiaro, che la potenza AB, traendo il corpo
da
ſe ſola in p, produce in eſſo una velocità 3;

traendolo
poi con la potenza AC in r, quantun-
que
faccia la ſteſſa azione, produce però una velo-
cità
minore.
E ſimilmente la potenza AC, traen-
do
il corpo da ſe ſola in q, produce in eſſo una
velocità
4;
traendolo poi in r con la potenza
AB
, produce una velocità minore, quantunque
faccia
l’ iſteſſa azione;
e ciò per modo, che la
ſomma
delle velocità, la qual per altro ſarebbe
ſtara
7, riducaſi ſolo a 5.
Così che pare, che le po-
tenze
, faccendo le ſteſſe azioni, debbano in certo
modo
convenirſi, e diviſar tra loro delle veloci-
, che debbon produrre.
Volea ſeguitare il
314290Della forza de’ corpi gnor D. Nicola, ma il Signor D. Felice qui l’ in-
terruppe
, e diſſe.
Ne io vi ho detto, ne potrei dir-
vi
, ſeguendo l’ opinione del Padre Riccati, che le
potenze
producano le velocità;
anzi vi dico, e
voglio
ben, che intendiate, che qualſifia potenza
non
altro produce mai, che la forza viva;
la forza
viva
poi, benchè non produca la velocità, (per-
ciocchè
, ſe la produceſſe, ſarebbe ad eſſa propor-
zionale
,) però ſe la trae dietro, come un conſe-
guente
;
e ſempre ſi trae dietro quella, che le con-
viene
.
Io non voglio inſiſtere in queſto, riſpoſe
allora
il Signor D.
Nicola; ſebbene egli è una gran
diſperazione
laſciar la velocità, per così dire, ab-
bandonata
, e ſenza cauſa alcuna, che la produca;
e molto più mi piacerebbe poter ſupporre, che
ella
ſteſſa ſenza altro foſſe prodotta dalla potenza.

Ma
di queſto, come ho detto, non voglio io diſ-
putare
ora;
tornando dunque a quello, che io di-
ceva
, cangierò fraſe, e dirò che la potenza AB,
tirando
il corpo da ſe ſola in p, produce in eſſo
una
forza viva 9, la qual ſi trae dietro come un ſuo
conſeguente
la velocità 3.
Tirandolo poi in r inſie-
me
con la potenza AC, produce in eſſo la ſteſſa
forza
viva 9, e queſta allora ſi trae dietro non più
la
velocità 3, ma altra minore.
E ſimilmente la
potenza
AC, tirando da ſe ſola il corpo in q, pro-
duce
in eſſo una forza viva 16, la qual ſi trae die-
tro
, come un ſuo conſeguente, la velocità 4;
ti-
randolo
poi in r inſieme con la potenza AB, pro-
duce
in eſſo la ſteſſa forza viva 16;
e queſta
315291Libro III. ra ſi trae dietro non più la velocità 4, ma altra
più
piccola.
Biſogna dunque, che le due forze
vive
così convengano e ſi concordin tra loro, che
la
ſomma di quelle velocità, che eſſe ſi traggon
dietro
, e che per altro dovrebbe eſſer 7, divenga
5
.
Quì il Signor D. Serao, interrompendo il Signor
D
.
Nicola, ſe Dio m’ ajuti, diſſe, queſta è coſa mol-
to
ſcomoda a concepirſi, et io certo per me deſi-
dererei
una ſentenza più agevole.
E veggo bene o-
ra
, perchè il Signor D.
Felice non ha mai voluto
concedere
, che contraendoſi, et accorciandoſi la cor-
da
SA, l’ effetto di eſſa ſia la velocità prodotta nel
corpo
A:
poichè nel noſtro caſo eſſendo diſeguali
le
velocità, che il corpo acquiſta traendoſi dall’
iſteſſa
corda in r, o in p, ſarebbono diſuguali gl’ ef-
fetti
, e però diſeguali ancor le azioni;
e troppo a-
vea
biſogno il Padre Riccati dell’ uguaglianza del-
le
azioni per teſſere quella ſua dimoſtrazione.
E
per
queſto anche, diſſi io allora, s’ è egli oſtinato
a
volere, che accorciandoſi la corda AS, l’ azion
ſua
ſia lo ſteſſo accorciarſi;
per poter poi, eſſendo
eguale
nell’ uno e nell’ altro caſo l’ accorciamento,
ſoſtenere
, che foſſe eguale ancor l’ azione.
Vedete
anche
un’ altra malizia;
che non ha mai voluto
conſentirmi
, che il premere ſia agire, e che delle
preſſioni
debba averſi veruna conſiderazione;
per-
chè
certo l’ argomento del Padre Riccati ſarebbe a
cattiva
condizione, ſe oltre le azioni, con cui le
potenze
traggono il corpo da A in r, doveſſero
conſiderarſi
ancor le preſſioni, per cui ſi
316292DELLA FORZA DE’ CORPI no e fan contraſto l’una con l’altra; ne ſo ſe, met-
tendoſi
queſte preſſioni a luogo di azioni, foſſe poi
così
facile il dimoſtrare, che le due azioni delle po-
tenze
laterali foſſero eguali all’ azione della poten-
za
diagonale.
Non ſo, diſse allora il Signor D. Fe-
lice
ridendo, qual di noi ſia più malizioſo, o io,
che
voi dite aver uſate tante malizie, o voi, che
penſate
di averle diſcoperte.
Ma perchè non laſcia-
te
, che il Signor D.
Nicola proſeguiſca il ſuo ra-
gionare
, e finiſca di eſporre quella difficoltà, che
avea
cominciato?
Niuna difficoltà, diſse allora il
Signor
D.
Nicola, intendo io di eſporvi; intendo
ſolo
, che voi mi ſpieghiate una coſa, la quale o
non
ho letta nel Padre Riccati, o non me ne ricor-
do
, et è però degna, che ſi ſappia.
Ed eccola. I
meccanici
richieggono, che il corpo A tirato da a-
mendue
le potenze, non ſolamente ſcorra la dia-
gonale
AD, ma la ſcorra in quel medeſimo tempo,
in
cui ſcorrerebbe o l’ uno o l’ altro lato del pa-
rallelogrammo
, ſe foſse tirato o dall’ una o dall’ al-
tra
potenza ſolamente.
Così ſe ſi condurranno le
due
linee rm, rn parallele ai lati DB, DC, com-
piendo
il parallelogrammo mn, vogliono i mecca-
nici
, che il corpo ſcorra la lineetta Ar in quel tem-
po
ſteſso, in cui ſcorrerebbe o la linea Am,
ſe
foſse tirato dalla ſola potenza AB, o la
linea
An, ſe foſse tirato dalla ſola AC.
Ora
io
ho inteſo per le coſe da voi ragionate,
che
le azioni delle potenze ſon ſempre le medeſi-
me
, o traggano congiuntamente il corpo in r, o
317293LIBRO III. traggano ſeparatamente l’ una in p, l’ altra in q.
Ho anche inteſo, che il corpo, giunto in r, avrà
una
forza viva eguale alla ſomma di quelle due,
che
egli avrebbe in p et in q.
Ma non ho ancora
inteſe
, come il corpo, tirato dalle due poten-
ze
inſieme, debba ſcorrere la lineetta Ar nell’ i-
ſteſſo
tempo, in cui ſcorrerebbe Am, ſe foſſe tira-
to
dalla ſola potenza AB, ovvero An, ſe foſſe
tirato
dalla ſola AC.
Se voi aveſte letto attenta-
mente
, diſſe quivi il Signor D.
Felice, tutto il luo-
go
, dove il Padre Riccati dichiara la ſua dimoſtra-
zione
, avreſte inteſo anche ciò, che voi mi di-
mandate
.
E ſenza leggerlo, potrete intenderlo an-
cora
da voi medeſimo;
ſol che vi piaccia di ſtabi-
lir
prima il tempo, nel quale il corpo tirato dalla
ſola
potenza AB, ſcorre lo ſpazio Ap, e inſieme
il
tempo, in cui tirato congiuntamente dalle due
potenze
, ovvero dalla potenza diagonale, che può
ſoſtituirſi
alle due, ſcorre lo ſpazio Ar;
perciocchè
ſcorrendo
il corpo lo ſpazio Ap ſecondo le leggi
della
gravità, ſe egli nel primo dei ſopraddetti due
tempi
ſcorre lo ſpazio Ap, potrà facilmente racco-
glierſi
, quale ſpazio dovrà ſcorrere nel ſecondo;
e
voi
troverete, che eſſo ſpazio è appunto la quarta
linea
proporzionale dopo le trè AD, AB, Ar;
cioè a
dire
la linea Am.
Simil coſa dimoſtrerete anche riſ-
petto
alla linea An, et all’ iſteſſo modo.
Ne laſcia
il
Padre Riccati di dichiararlo ſottilmente;
ma voi
non
vorrete ora, che io mi avvolga in molte e lun-
ghe
ſupputazioni;
ne io forſe potrei, quando
318294DELLA FORZA DE’ CORPI ne il voleſte. Perchè non potremmo noi, diſſi io
allora
, cominciarne quì una, traendola da quelle
coſe
, che avete fin quì ſpiegate?
e ſe ella ci ſi av-
volge
, e divien troppo lunga, che ſarà a noi l’ ab-
bandonarla
?
Biſognerebbe, diſſe quivi il Sig. D.
Felice, prima d’ogni altra coſa ſtabilire i tempi, che
ho
detto.
Voi avete già detto più volte, ripigliai io,
che
la potenza moltiplicata per lo ſpazio ſcorſo è
ſempre
proporzionale all’ azione;
e l’ azione alla
forza
viva;
e la forza viva al quadrato della velocità.
Di
qui certo ſegue, che eſſendo la velocità propor-
zionale
allo ſpazio diviſo pel tempo, cioè ad {S/T}
(dico S lo ſpazio, T il tempo) dovrà la potenza
moltiplicata
per lo ſpazio eſſere eguale al quadra-
to
di {S/T}, e nominando P la potenza, dovrà eſſere
PS
= {SS/TT}.
Dunque, ſoggiunſe ſubito il Signor D.
Felice
, ſarà TT = {S/P}, cioè a dire:
il quadrato del
tempo
, nel quale il corpo ſcorre un certo ſpazio,
ſarà
eguale allo ſpazio ſteſſo diviſo per quella po-
tenza
, che lo fa ſcorrere.
Abbiamo dunque ſubi-
to
i quadrati dei due tempi, che cercavamo;
poi-
chè
il quadrato del tempo, nel quale il corpo ſcor-
rerebbe
Ap, ſarà {Ap/AB};
e il quadrato del tempo, nel
quale
il corpo ſcorre Ar, ſarà {Ar/AD}.
E bene,
319295LIBRO III. giunſi io allora, s’ egli è vero quello, che già ave-
te
detto, cioè, che il corpo ſcorra lo ſpazio Ap ſe-
condo
le leggi della gravità, onde i quadrati dei
tempi
debbano eſſere proporzionali agli ſpazj;
e
ſe
egli, tirato dalla ſola potenza AB, ſcorre Ap
in
quel tempo, il cui quadrato è {Ap/AB}, niente ſarà
più
facile, che ſcoprire, quale ſpazio dovrà ſcor-
rere
in un tempo, il cui quadrato ſia {Ar/AD};
e allo-
ra
vedraſſi ſe tale ſpazio appunto ſia la linea Am,
come
eſſer dee, e come io credo veramente, che
ſia
.
Mentre io diceva queſte parole, il Signor Con-
te
della Cueva avea già ſteſo in una carta i termi-
ni
della proporzionalità
{Ap/AB}, {Ar/AD}:
: Ap, {AB: Ar/AD}
quando
tutto lieto eſclamò:
è deſſa, è deſſa. Lo
ſpazio
, che ſi cerca, è appunto la linea Am, eſſen-
do
egli {AB:
Ar/AD}, cioè la quarta linea proporzio-
nale
dopo le tre AD, AB, Ar.
Vedete dunque,
diſſe
allora, a me rivolto, il Signor D.
Felice, che
il
corpo, qualor foſſe tirato dalla ſola potenza
AB
, ſcorrerebbe la linea Am in quello ſteſſo tem-
po
, in cui, tirato dalle due potenze, ſcorre la li-
nea
Ar;
e medeſimamente ſi moſtrerà, che nello
ſteſſo
tempo ſcorrerebbe la linea An, ſe ſoſſe ti-
rato
dalla ſola potenza AC.
Troverete voi qui
malizia
alcuna?
Io non ne cerco, diſſi,
320296DELLA FORZA DE’ CORPI voi non diciate, che io ſia malizioſo, trovandone;
dico bene, che a queſto argomento non potrebbe
procederſi
, ſenza aſſumer prima, e che l’ azione
ſia
la potenza applicata non al tempo, ma allo ſpa-
zio
, e che eſſa produca non la velocità, ma la
forza
viva, e che il corpo tratto da qualſiſia po-
tenza
debba nel primo ſuo moverſi ſeguir le leggi
della
gravità;
le quali coſe tutte, eſſendo per ſe
ſteſſe
oſcure ed incerte, voi le avevate aſſai prima
con
molta arte preparate e diſpoſte, e fattele appa-
rire
, come certiſſime, per farne poi naſcere un’ ar-
gomento
, con cui ſi dimoſtraſse la forza viva di
Leibnizio
.
Ma io non voglio rimettere ora in
campo
quegli argomenti, di cui s’ è oggimai tanto
diſputato
.
Allora il Signor D. Felice ridendo, non
ſo
, diſse, ſe vi giovaſse;
perciocchè le propoſizio-
ni
, che ſi aſsumono a formar la dimoſtrazione, che io
vi
ho eſpoſta, quali che eſse ſieno, e che che n’
abbiate
oggi diſputato;
debbono certamente eſsere
ammeſse
, ſe elleno ſon neceſsarie a ſpiegare, co-
me
un principio certiſſimo dei metafiſici ſi accordi
a
un teorema altresì certiſſimo dei meccanici.
Di
fatti
come vorreſte voi ſpiegare, che nella compo-
ſizione
del moto, propoſta dai meccanici, ſia l’ ef-
fetto
eguale all’ azione, ſiccome vogliono i meta-
fiſici
, ſenza ſtabilir prima, che l’ azione delle po-
tenze
laterali ſia eguale all’ azione della potenza
diagonale
?
E come ſtabilir queſto ſenza dir, che l’
azione
generalmente miſurar ſi debba dalla poten-
za
applicata allo ſpazio?
E ciò dicendo,
321297LIBRO III. pure attribuirle un’ eſfetto proporzionale allo ſpa-
zio
ſteſſo, cioè al quadrato della velocità;
il qua-
le
effetto che altro eſſer può ſe non la forza viva?
Cioè, ſoggiunſi io allora, l’ inerzia. Che mi dite
voi
, riſpoſe il Signor D.
Felice, d’ inerzia? Il Pa-
dre
Riccati, diſſi io allora, non vuole egli, chela
forza
viva ſia l’ inerzia?
Oh voi, diſſe ſubito il Si.
gnor
D.
Felice, volete richiamarmiora alla diffini-
zione
della forza viva;
la qual certo il Padre Ric-
cati
inſegna nel principio del ſuo dottiſſimo libro
eſſere
l’ inerzia ſteſſa, ſe ſi conſideri in quanto fa
contraſto
con quelle potenze, che vorrebbono can-
giare
lo ſtato del corpo.
E chi è, diſſi io allora,
che
non conſideri l’ inerzia a queſto modo?
Ma io
certo
non intendo, come tale inerzia producaſi
dalle
potenze, le quali con l’ azion loro altro mai
non
fanno, che turbarla;
ne come ella debba eſſere
proporzionale
al quadrato della velocità.
Che che
ſia
di ciò, diſſe quivi il Signor D.
Felice, niente è
a
me;
purchè ſia quello, che abbiamo detto, cioè
che
la potenza debba produrre un’ effetto propor-
zionale
al quadrato della velocità;
poichè queſto
effetto
, qualunque egli ſiaſi, lo chiameremo forza
viva
.
Chiamandolo però di queſto modo, riſpoſi
io
allora, voi nol chiamerete molto elegantemente;

perchè
ſe voi non dimoſtrate, che quell’ effetto ſteſ-
ſo
produca altri effetti nella natura, e ſia neceſſario
a
indur ne corpi quelle ſorme, che in lor veggia-
mo
, ſarà coſa inelegante chiamarlo forza.
Ma voi,
diſſe
allora il Signor D.
Felice, ſiete ſofiſticoal
322298DELLA FORZA DE’ CORPI mo, e vorreſte, per quanto veggo, allontanarvi a
poco
a poco dall’ argomento propoſto.
A cui pe-
ritornando, non vi par’ egli, che dando luogo
alla
forza viva, comodiſſimamente ſi ſpieghi, come
nella
compoſizione del moto ſia l’ effetto eguale
all’
azione, che lo produce;
il che malamente po-
trebbe
ſpiegarſi da chi levaſſe via, come voi fate, ogni
forza
viva?
E certo della dimoſtrazione del P. Ric-
cati
, che che voi ne diciate, dovranno eſſer con-
tenti
i meccanici, e non dolerſene i metafiſici.
Et io
temo
, riſpoſi, che ſe ne doleranno e gli uni e gli
altri
;
e meglio potrebbe ſoddisfarſi al deſiderio d’
entrambi
ſenza la forza viva.
Pure, diſſe il Signor
D
.
Felice, faccendo naſcere la compoſizione del mo-
to
per l’ egualità delle azioni, parmi certo, che
non
ſi faccia ai meccanici niun torto.
Non dico, ri-
ſpoſi
io, che ſi faccia loro alcun torto;
credo be-
ne
, che volendo eſſi far valere la compoſizione in
molti
caſi, non ameranno farla naſcere per una ra-
gione
, la qual vaglia in un ſolo.
E chi non ſa, che
come
negli altri moti, così anche vogliono i mecca-
nici
, che ſi faccia la compoſizione nei moti equa-
bili
?
Perchè ſe per eſempio, andando un corpo ſu
per
una tavola di moto equabile verſo una certa
parte
, la tavola ſteſſa ſi moveſſe ella pure di moto
equabile
, e il portaſſe verſo un’ altra, ſi farebbe
nel
corpo, ſecondo il parer de meccanici, la compoſi-
zione
dei due movimenti;
e pure qual luogo avreb-
be
quivi la ragione, che voi avete dedotta dall’ egua-
lità
delle azioni?
Perciocchè qui niuna fune
323299LIBRO III. be fingerſi, la quale accorciandoſi eſercitaſſe un’
azicne
proporzionale allo ſpazio;
e traeſſe il corpo
con
un moto accelerato, ſiccome è quello dei gra-
vi
;
le quali coſe tolte via, è tolta via ancor la vo-
ſtra
ragione.
Che direm noi, che i meccanici trova-
no
la compoſizione non ſolamente nei moti, ma
anche
nelle preſſioni, da cui non ſegue moto niu-
no
?
perciocchè come di due movimenti ne com-
pongono
uno, così anche, et all’ iſteſſo modo,
compongono
una preſſione di due;
ne è coſa, che
inſegnino
intorno alla compoſizione, et alla riſo-
luzione
dei movimenti, la qual non vogliano che
s’
intenda egualmente anche nelle preſſioni.
Ora in
queſte
preſſioni, che non hanno moto niuno, qual
luogo
avranno le funi elaſtiche?
quale gliaccorcia-
menti
?
quale le potenze moltiplicate per lo ſpazio?
quale le accelerazioni? e queſte coſe ſono i fon-
damenti
della ragion voſtra.
Ne ſo quanto poſſa,
valere
al Padre Riccati il dire, che i moti equabili,
e
le preſſioni non ſono azioni;
e perô non dovere
averſi
di loro conſiderazione alcuna.
Imperocchè
ſe
non ſono azioni, e tuttavia ſi fa in loro la com-
poſizione
, come ſe foſſero;
par bene, chele ragio-
ni
, e i modi, onde eſſa compoſizione ſi fa, debba-
no
per tutt’ altro ſpiegarſi, che per l’ azione.
E ſo-
no
anche ſopra ciò da aſcoltarſi i metaſiſici, i quali
quando
inſegnano, che l’ effetto dee corriſponder
ſempre
all’ azione, tal ſignificato attribuiſcono
a
queſta voce azione, che vogliono abbracciar
con
eſſo, e comprendere non ſolamente le
324300DELLA FORZA DE’ CORPI zioni acceleratrici, ma generalmente tutte le
azioni
, che finger ſi poſſono;
e non ne eſclu-
dono
pur le preſſioni.
Ne biſogna per voler di-
fendere
il lor principio, mutar la ſignificazione
dei
termini, con cui lo propongono, ne intendere
per
azione altro, che quello, che intendon eſſi;
perchè chi fa altrimenti, non difende il lor prin-
cipio
, ma lo cangia.
Volendo io dir più oltre, il
Signor
D.
Serao mi interruppe, e diſſe: i voſtri
metafiſici
non potrebbono eſſere ingannati eſſi, et
aver
preſo per azione quello, che veramente azio-
ne
non ſia?
perchè voi pare, che alla metafiſica cre-
diate
ogni coſa, e l’ abbiate per infallibile.
Io cre-
do
, riſpoſi, che la metafiſica abbia principj più ſi-
curi
, che qualunque altra ſcienza;
anzi credo, che
le
altre ſcienze non ne abbiano niuno ſicuro, ſe
non
ſe quelli, che prendono in preſtito dalla meta-
fifica
;
gli altri tutti, che traggono dall’ oſſervazio-
ne
, recano ſempre con loro qualche timore, et eſ-
ſendo
certi nei caſi particolari, in cui ſi oſservano,
perdono
molto della loro certezza, faccendoſi uni-
verſali
;
il che non interviene dei principj metafi-
ſici
, i quali non per varie oſſervazioni, e per lun-
ghezza
di tempo, ſi manifeſtano, ma ſubito e per
ſe
ſteſſi.
Ma venendo al propoſito, io riſpondo,
che
ſe i metafiſici aveſſero malamente inteſo l’ a-
zione
, comprendendo ſotto queſta voce alcuna
coſa
, che azione non foſſe, e in cui non doveſſe
valere
quel lor principio;
io direi più toſto il
principio
loro eſſer falſo, che ſoſtenerlo come
325301LIBRO III. ro, e poi mutarlo. Sebbene eſſendo il concetto,
che
noi abbiamo della azione, ſempliciſſimo, e
comune
a tutti gli uomini, come quello è dello ſpa-
zio
, del tempo, del modo, della relazione, della
ſoſtanza
, et altri molti;
io non ſo, per qual ragio-
ne
temer ſi debba, che i metafiſici vi ſi ſieno in-
gannati
, non inganandoviſi neſſun’ altro;
perchè
ſiccome
niuno è, che ſi inganni nel concetto del-
lo
ſpazio, e del tempo, così che gli confonda l’
un
con l’ altro;
ſimilmente parmi che dir ſi poſſa
dell’
azione;
di modo che, ſe il premere ſia agire,
e
ſe colui, che preme, faccia azion niuna, parmi
una
quiſtione da dover potere eſſere ſciolta non
men
dal vulgo, che dai filoſoſi.
Vedete, che io
non
amo troppo i metafiſici, rimettendo la quiſtio-
ne
anche al popolo.
Voi gli amate troppo, diſſe
il
Signor D.
Serao, volendo, che i meccanici ſi ac-
comodino
al ſentimento loro.
Anzi io voglio, riſ-
poſi
, che ſi accomodino al ſentimento del popolo;
perchè qual è del popolo, che non conti il preme-
re
tra le azioni?
chi è, che poſſa indurſi nell’ ani-
mo
, che l’ azione non ſia più azione, ſe per ven-
tura
ne ſia impedito l’ effetto?
Potete ſtudiarvi,
quanto
volete, diſſe quivi la Signora Principeſſa,
e
ingegnarvi di parer popolare, che quanto a me
vi
avrò ſempre per un grande amatore della meta-
fiſica
;
il perchè non poſſo non maravigliarmi, che
voi
vogliate levar via quella bella concordia, che
il
Padre Riccati avea con tanto ingegno procurata
tra
la compoſizione del moto propoſta dai
326302DELLA FORZA DE’ CORPI ci, e l’ uguaglianza dell’ azione e dell’ effetto ſta-
bilita
dai metaſiſici.
Io non voglio levar via quel-
la
concordia, riſpoſi;
anzi dico, che ſenza tanto
ſtudio
può beniſſimo conſervarſi, e ſenza forza
viva
.
Queſto, diſſe allora la Signora Principeſſa. ,
dovreſte
voi ſpiegarci.
Ne lunga, riſpoſi, ne dif-
ficile
ſpiegazione vi ſi ricerca;
ſolo che voi mi
concediate
quello, che niuno, ch’ io ſappia, ha mai
negato
, cioè che la ſteſſa potenza ora agiſca più,
et
ora agiſca meno;
il che certamente non induce
diſuguaglianza
veruna tra l’ azione e l’ effetto;
per-
ciocchè
può beniſſimo la potenza ſteſſa qualora
agiſce
più, produrre effetto maggiore, e qualora
agiſce
meno, produrre effetto minore.
Qui il Sig.
D. Felice ridendo, certo, diſſe, voi a coteſto mo-
do
vi aprite la ſtrada ad una ſpiegazion facile;
per-
chè
potete oramai dire, che, eſſendo le due poten-
ze
ſeparate, ognuna di loro agiſce più;
et eſſendo
congiunte
, ognuna agiſce meno;
e così maggiore
velocità
producono, eſſendo ſeparate, che non fan-
no
, eſſendo congiunte.
Io potrei dir queſto, riſ-
poſi
;
e s’ io il diceſſi, non ſo, che alcuno poteſſe
rimproverarmi
di avere indotto diſuguaglianza tra
l’azione
e l’effetto.
Ma io non voglio privare il teo-
rema
meccanico dell’ onore, che alcuni gli fanno, d’
una
ſpiegazione più lunga.
E ciò dicendo, preſi un
ſoglio
in mano, in cui diſegnai toſto la ſigura ſe-
11F. VI. ſta, che fu ſubito ricopiata dagli altri.
Poi diſſi:
ſieno AB, AC le due potenze, che ſpingono il cor-
po
A, con le direzioni delle ſteſſe linee AB, AC;
327303LIBRO III. e ſia AD quella linea, che egli ſcorre ſecondo il
parer
dei meccanici.
Poco vi vuole a intendere. ,
che
l’ azione della potenza AB, la qual da ſe ſola
produrrebbe
nel corpo la velocità AB, ſi riſolva
in
due AT, AM, eſpreſſe dai lati del parallelo-
grammo
AB;
e che l’ azione della potenza AC ſi
riſolva
ſimilmente nelle due AQ, AN, eſpreſſe dai
lati
del parallelogrammo AC.
Qui il Signor D.
Felice, interrompendomi, vedete, diſſe, che volgen-
do
la compoſizione del moto in due riſoluzioni,
non
ricadiate in qualche diſuguaglianza tra l’ azio-
ne
e l’ effetto, perchè quelli, che temono di cader-
vi
nella compoſizione, non lo temono meno nella
riſoluzione
.
Che altro voglio io, riſpoſi, qualor
riſolvo
l’ azione AB della potenza AB nelle due
AT
, AM, ſe non, che la ſteſſa potenza, che av-
rebbe
fatta un’ azion ſola AB, paſſi a farne due.

AT
, AM?
le quali veramente preſe inſieme ſon.
maggiori
dell’ azione AB.
Ma queſto che altro è,
ſe
non dire, che la potenza ſteſſa agiſce ora meno,
et
ora più?
nel che niun può dire, che inducaſi
diſuguaglianza
tra effetto ed azione;
anzi eſsend@
le
tre azioni, di cui parliamo, proporzionali alle
linee
AB, AT, AM, a cui pure ſon proporziona-
li
le velocità, chiaramente ſi vede, le azioni fin-
quì
eſser proporzionali agli effetti, ſolo che per ef-
fetti
vogliano intenderſi le velocità ſteſse.
Ne me-
no
ſarà da temerſi, che naſca diſuguaglianza tra
effetto
ed azione, ſe io dirò, che le quattro azio-
ni
, in cui ſi riſolvon le due AB, AC, così ſi
328304DELLA FORZA DE’ CORPI pongono, che due di loro AT, AQ, eſsendo
contrarie
l’ una all’ altra et eguali, ſi diſtruggano;
le altre due AM, AN prendano una medeſima di-
rezione
.
Perciocchè che entra qui l’ azione e l’ ef-
fetto
, l’ uguaglianza o la diſuguaglianza?
baſta
bene
, che le due azioni AM, AN producano un’
effetto
proporzion le alla lor ſomma;
giacchè dal-
le
azioni AT, AQ, che ſi diſtruggono, non è da
aſpettarſi
certamente effetto niuno;
ne è alcun
metaſiſico
, che il richiedeſſe.
Ora ſe le due azioni
AM
, AN, traendo il corpo per la direzion loro,
producono
in eſſo una velocità proporzionale al-
la
lor ſomma;
non lo traggon dunque per AD,
diagonale
del parallelogrammo BC, come vogliono
i
meccanici;
e non producono una velocità propor-
zionale
alla ſteſſa AD?
E ſe così è, eccovi, che io
ho
ſpiegato il teorema dei meccanici, prendendo la
velocità
come effetto dell’ azione;
e ſenza cadere
in
quella diſuguaglianza, che voitemevate.
Eſſen-
domi
io quì fermato un poco, il Signor Marche-
ſe
di Campo Hermoſo, e come, diſſe, dimoſtrate
voi
le due coſe, che avete ultimamente dette:
cioè
che
le azioni AM, AN ſpingendo il corpo con
la
direzion loro, lo ſpingano per la diagonale
del
paralellogrammo BC:
e che producendo in eſſo
una
velocità proporzionale alla lor ſomma, ſia que-
ſta
poi proporzionale alla diagonale ſteſſa?
Et io al-
lora
, fate, diſſi, Signor Marcheſe, di prolungare la li-
nea
AN fino in D, così che ſia ND eguale ad AM,
e
perciò ſia ancora tutta la linea AD eguale alla.
329305LIBRO III. ſomma delle due AM, AN; indi guidate le due
linee
DB, DC.
Ciò poſto, io chieggo: le due
linee
AT, AQ non eſprimono eſſe due azioni
tra
ſe contrarie, et eguali, e inſieme le direzioni
loro
?
Così abbiamo ſuppoſto, diſse il Sig. Mar-
cheſe
.
Saranno dunque, ripigliai io, eguali tra lo-
ro
, e in dirittura l’ una dell’ altra.
Così è, riſpo-
ſe
egli.
Et io: ſaranno dunque le linee MB, NC
parallele
et eguali tra loro, eſſendo l’ una paralle-
la
et eguale ad AT, e l’ altra parallela et eguale ad
AQ
.
Allora il Sig. Marcheſe ſenza laſciarmi più
dire
, intendo già, diſſe, ogni coſa;
che eſſendo i
triangoli
AMB, CND ſimili tra loro et eguali, ſa-
ranno
gli angoli BAD, CDA eguali, e le due li-
nee
AB, DC eguali e parallele;
dunque ancor le
due
AC, DB;
dunque ſarà BC un parallelogram-
mo
, la cui diagonale ſarà AD, eguale alla ſomma
delle
due linee AM, AN.
Vedete dunque, ſog-
giunſi
io allora, che le due azioni AM, AN,
ſpingendo
il corpo con la direzion loro, lo ſpin-
gono
per la diagonale ſteſſa del parallelogrammo
BC
, come vogliono i meccanici.
E vedete ancora,
che
producendo nel corpo una velocità propor-
zionale
alla lor ſomma, vien queſta ad eſſere pro-
porzionale
alla diagonale ſteſſa.
Con che viene a
ſoddisſarſi
ai meccanici, ſenza guaſtare quella per-
fettiſſima
uguaglianza, che tra l’ azione e l’ effet-
to
vogliono i metaſiſici;
ne v’ è biſogno di forza
viva
.
Tutto va bene, diſſe quivi il Signor Conte
della
Cueva;
ma non potete negare, che quel
330306DELLA FORZA DE’ CORPI ſolverſi d’ una azione in due non reſti anche una
coſa
oſcuriſſima.
Io non lo nego, riſpoſi; ma al-
tro
è, che quel riſolverſi ſia coſa oſcura, altro è,
che
induca diſuguaglianza tra l’ azione e l’effetto;
la qual diſuguaglianza ſe noi vogliamo temerla per
tutto
, ove ſia qualche oſcurità, non ſarà luogo
alcuno
in tutta la filoſofia, in cui non la temiamo.

E
certo ſe noi non intendiamo per qual ragione, et
in
che modo una potenza diſpoſta a fare un’ azion
ſola
, ſubito ſi rivolga a farne due;
in che conſiſte
il
riſolverſi;
ciò proviene dal non ſaper noi, che co-
ſa
ſieno le potenze in lor medeſime, ne come agi-
ſcano
, ne quali inſtituti e eoſtumi abbiano.
Ne po-
trà
filoſoto alcuno, ch’ io ſappia, sfuggire una tale
oſcurità
;
ne la sfugge a mio giudicio il Padre Ric-
cati
ſteſſo;
il quale riſolve pure l’azione della po-
tenza
AB nell’azione, che move il corpo per la dia-
gonale
, e nella preſſione, per cui contraſta con la
potenza
AC;
e ſimilmente riſolve l’ azione della.
potenza
AC;
ne ſo ſe queſta riſoluzione ſi renda.
più
chiara col dire, che quella preſſione non ha no-
me
azione.
Se rimangonſi dunque nella oſcurità i
meccanici
, volendo ſpiegare la compoſizione del
moto
;
ciò è perchè non ne veggono le cauſe, e i
principj
ultimi, non perchè levin per eſſa quell’
uguaglianza
, che richieggono i metafiſici;
ai quali
ottimamente
ſoddisfanno, non potendo però ſod-
disfare
a ſe medeſimi.
Credete voi, diſſe quivi la.
Signora
Principeſſa, che ſieno mai per ſoddisfarſi,
e
conoſcere una volta coteſti principj ultimi?
331307LIBRO III. non ſo, diſſi, quello, che prometter mi debba dei
meccanici
.
Parmi bene, che o niuno, il che è più
da
credere, gli conoſcerà, o gli conoſceranno for-
ſe
una volta imetaſiſici, ai quali ſoli è dato di con-
templar
le coſe ſuperiori alla materia.
E vi par’ e-
gli
, diſſe allora la Signora Principeſſa, che quella
virtù
, che move i corpi, ſia tanto ſuperiore alla.
materia, che non poſſano ſperar di conoſcerla an-
che
i ſiſici?
Io l’ ho, riſpoſi, per tanto ſuperiore,
ch’
io non credo, lei eſſer corpo in niun modo, e
la
ripongo in un’ ordine molto più nobile, e più
ſublime
.
Di che è anche argomento il vedere, che
i
fiſici non ne cercano gran fatto la natura, e quaſi
non
ſi arriſchiano di diſputarne.
I metafiſici ſono
più
animoſi.
E ſono anche, diſſe la Signora Prin-
cipeſſa
quaſi ridendo, più oſcuri, e ſi perdono die-
tro
a quiſtioni inutili.
Non dite: riſpoſi; perchè
s’
io v’ entraſſi nelle utilità grandiſſime e moltiſſi-
me
della metaſiſica, non ſo, qual fine poteſſi por-
re
al mio ragionare.
Che oltre che tutte le ſcienze
hanno
tolto i loro principj dalla metafiſica, ne ſi
tengon
certe e ſicure, ſe non quanto ſeguono quel-
li
;
voi potete anche facilmente vedere, quanto el-
la
largamente ſi eſtenda in quello ſtudio, che ap-
part
:
ene alla vita et ai coſtumi, moſtrandoci la
bellezza
della virtù, nel che i fiſici non hanno par-
te
alcuna, e ſcorgendoci alla vera felicità.
E la
giuriſprudenza
, e la teologia, e tutte quell’ al-
tre
diſcipline, in cui contengonſi o il gover-
no
delle famiglie, o il reggimento dei popoli,
332308DELLA FORZA DE’ CORPI la religione, o la pietà, o la fede, non vi par’ egli,
che
più toſto l’ acutezza deſiderino dei metafiſici,
che
le eſperienze e le oſſervazioni degli altri?
E que-
ſta
iſteſſa algebra, che tanto vi piace, e queſta mec-
canica
, e queſta fiſica, quante volte, traendoci d’
una
ragione in un’ altra, e ſalir faccendoci verſo i
principj
ultimi, eſigon da noi e ricercano tanta
ſottigliezza
, quanta apprendere non ſi potrebbe ſe
non
dai metafiſici! I quali ſe entrar voleſſero in
quelle
ricerche medeſime, e ripigliarſi tutte le qui-
ſtioni
, che le altre ſcienze hanno loro involate,
quanto
ſarebbon più ricchi! come queſta è della
forza
viva, di cui tanto oggi s’ è ragionato:
la qua-
le
era dei metafiſici, ſe non ſe l’ aveſsero i mate-
matici
uſurpata.
Perchè vedete, quanto ingiuſta-
mente
riprendano la metafiſica, come inutile, quel-
li
, che togliendole le quiſtioni più utili, non le
laſciano
ſe non le vane;
ſebbene queſte iſteſſe non
ſon
così vane, come eſſi credono, e ſervono aſſai
ſovente
, e fanno ſtrada alle non vane.
Ne è da diſ-
prezzar
tanto la metafiſica, quanto alcuni fanno,
per
cagione della oſcurità.
Quale ſcienza è, che
accoſtandoſi
alle quiſtioni ſue più ſublimi, e più
ingegnoſe
, e più belle, non ſia oſcura, o non di-
venga
?
che ſe la metafiſica par tutta oſcura, ciò in-
terviene
, perchè è tutta ingegnoſa, e tutta bella.
Sebbene qual coſa più chiara, e più manifeſta, e
più
riſplendente dei principj metafiſici?
i quali
traggono
prima a conſeguenze certiſſime, ſpargen-
dole
di un chiariſſimo e maraviglioſo lume;
333309LIBRO III. do poi a quelle coſe, che la natura ci ha voluto
naſcondere
, non vi recano eſſi l’ oſcurità, ma ve la
laſciano
;
e in queſto ſteſſo non ſon meno utili.
Perchè ſe dalle coſe, che chiaramente intendiamo,
paſſiamo
con l’ animo alla grandezza di quel Dio,
che
le contiene e le fa, (nel che è poſto il maggior
frutto
, che trar ſi poſſa da noſtri ſtudj) quanto
più
dalle coſe, che non intendiamo?
le quali quan-
to
più ſon lontane dalla noſtra ragione, e ſuperio-
ri
ad ogni umano intelletto, tanto più moſtrano l’
imperſcrutabil
ſapienza, e la potenza infinita di
quel
principio, da cui ſi partono.
O metafiſica
lume
dell’ intelletto, ſcorta della ragione, divina
e
celeſtial maeſtra di tutte le coſe:
per te ſcopron
le
ſcienze i lor principj, per te ſi dirigono le a-
zioni
e gli ufficj degli uomini, per te ſi apprendo-
no
i coſtumi e le leggi.
Tu innalzi gli animi uma-
ni
a quella altezza, a cui ſenza te giungere non
potrebbono
;
e traendoli ſoavemente con la forza
ineſplicabile
della tua chiariſſima luce, fai lor co-
noſcere
il primo vero;
e ſe gli laſci traſcorrer tal-
volta
nella oſcurità, e nelle tenebre, fra quelle te-
nebre
iſteſſe moſtri loro un’ incerto lume, che pur
gli
guida a felicità.
E quando mai ſaranno gli uo-
mini
degni di conoſcerti?
Beato colui, che te ſe-
guendo
può ſollevarſi ſopra le coſe terrene, e ve-
nir
teco a parte delle celeſti.
Sarei io degno di tan-
to
dono?
Qui la Signora Principeſſa, ſcuotetelo,
diſſe
, che egli va in eſtaſi.
Che è ciò, diſſi io
allora
, che voi dite?
E’ parea proprio,
334310DELLA FORZA DE’ CORPI ſe la Signora Principeſſa, che una qualche idea
di
Platone vi aveſse altrove rapito.
Et io, niu-
na
coſa, riſpoſi, potrebbe rapirmi altrove, eſſendo
voi
preſente.
Di che ella ſorriſe. E già cominciava
il
cielo a biancheggiare dalla parte del levante, eſ-
ſendoſi
la luna nel ponente naſcoſta;
quando le
grida
dei marinari, apparecchianti le barche al lor
cammino
, ci avviſarono dell’ aurora ſopravvegnen-
te
.
Allora la Signora Principeſſa in piè levandoſi,
tempo
è, diſſe, di por fine ai noſtri ragionamen-
ti
.
Indi verſo me volta, voi, ſoggiunſe, avete oggi
ſoſtenuta
per amor mio una gran fatica;
ma l’ ave-
te
fatto con tanto mio piacere, e credo ancora di
queſti
Signori, ch’ io non poſſo pentirmi di averla-
vi
impoſta.
Et io riſpoſi: piacemi, che le ragioni,
che
io ho dette, abbiano potuto tanto;
e ſe voi le
avete
per vere, poco mi curerò, ſe mi ſaran nega-
te
da queſti altri.
Io non dico di averle per vere,
riſpoſe
la Signora Principeſſa ſorridendo;
dico,
che
mi ſono grandemente piaciute;
ma voi le a-
vete
con tanto ſtudio e con tanta arte adornate,
che
mi è nato nell’ animo qualche ſoſpetto.
For-
ſe
non le ha per vere, diſſe allora il Signor D.
Se-
rao
, ne egli pure.
E già la Signora Principeſſa, di-
cendoſi
queſte coſe, giunta era alla porta delle
ſue
ſtanze, dove ſalutando tutti con molta grazia
ci
licenziò.
Noi tratti dalla dolcezza di una ſoa-
viſſima
aura, che allora a ſpirar cominciava,
uſcimmo
nel giardino, dove al grato ſuſurro, che
@e
foglie degli alberi lievemente ſcoſse
335311LIBRO III. s’ aggiunſe toſto il canto de’ vaghi augelli, ſveglia-
tiſi
a ſalutar l’ aurora, che già naſcea.
E quivi do.
po aver paſſeggiato alquanto, ragionando chi di
una
coſa, e chi di un’ altra, preſo finalmente l’ un
dall’
altro commiato, n’ andammo a dormire, eſ-
ſendo
oramai ſparite tutte le ſtelle, toltone la bel-
la
governatrice del terzo cielo.
IL FINE.
336
Vidit D. Salvator Corticelli Clericus Regularis Sancti Pauli,
&
in Eccleſia Metropolitana Bononiæ Pænitentiarius pro
Sanctiſſimo
Domino noſtro Papa Benedicto XIV.
Arcbiepi-
ſcopo
Bononiæ.
Die 13. Novembris 1751.
P. Fr. Dionyſius Remedelli S. Tbeologia Magiſter, Græcæ lin-
guæ
Profeſſor videat pro S.
Officio & referat.
Fr. Thomas Maria de Angelis Inquiſitor Generalis
Bononiæ
.
D’ ordine del Reverendiſſimo P. Inquiſitore, ho letto atten-
tamente
l’ Opera, che porta per Titolo DELLA FOR-
ZA DE’ CORPI, CHE CHIAMANO VIVA, LIBRI TRE,
e
non avendo ritrovato in eſſa alcuna coſa contraria al-
la
Santa Fede, ovvero alla Morale Criſtiana;
ma anzi
eſſendo
ripiena di utiliſſime verità derivate dalla più
ſublime
Metafiſica, poſſeduta mirabilmente dal dottiſſi-
mo
, e grazioſiſſimo Autore;
ſono di parere, che per
maggior
utile de i buoni Studj debba darſi alle Stam-
pe
.
E in fede & c.
Dal Convento di S. Domenico di Bologna 18. Novembre
1751
.
Fr. Dioniſio Remedelli dell’ Ordine de Predicatori
M
.
D. S. T. e Profeßore della lingua Greca.
Die 20. Novembris 1751.
Stante præmiſſa atteſtatione.
IMPRIMATUR.
Fr. Cçſar Antoninus Velaſti Provicarius Sancti Officii Bono-
niæ
.
337 2[Figure 2]
338
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342
PAOLO SACCHI
Libreria Antiquaria Ippogrifo
METAFISICA
ZANOTTI Francesco Maria
Della forza de’ corpi che chiamano vita. Libri tre del signor F. M.
Zanotti al sig. Giambattista Morgagni.
Bologna, Piffari C. Primodi G. F. , 1752.
In , pp. XX + 312 + 1 tavola p. v. r. in fine con fig. geometriche.
Bella marca tipografica al frontespizio, capilettera incisi. Legatura
in
mezza pelle moderna con titolo oro al dorso.
Esemplare in barbe
con
leggerissime tracce d’uso.
Edizione ooriginale per l’accurata
forma
dialogica e la correttissima forma italiana è anche un
apprezzato
testo di lingua Cfr.
Gamba, 2511; Riccardi, I. 658. Cfr.
Graesse
, VII 506.
2004101
PAOLO SACCHI
Via della Vigna Nuova, 5r
50123 Firenze - ITALIA - Tel. e fax 055 290805
e-mail: sacchi@dada. it
343
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