Bianconi, G. Ludovico, Due lettere di fisica., 1746

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Author: Bianconi, G. Ludovico
Title: Due lettere di fisica.
Year: 1746
City: Venezia
Publisher: Occhi

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Table of contents
1. Page: 0
2. DUE LETTERE DI FISICA AL SIGNOR MARCHESE SCIPIONE MAFFEI CONDOTTIERE D’ARMIDELLA REPUBBLICA DI VENEZIA E Gentiluomo di Camera del RE DI SARDEGNA Scritte dal Signor GIANLODOVICO BIANCONI Conſigliere e primo Medico del LANGRAVIO DI DARMSTATT PRINGIPE E VESCOVO DI AUGUSTA. Page: 5
3. IN VENEZIA MDCCXLVI. Appresso Simone Occhi, CONLICENZADE’SUPERIORI, E PRIVILEGIO. Page: 5
4. DELLE CARAFFE DI VETRO Che ſcoppiano al cadervi dentro di alcune picciole materie, E DI ALTRI VETRI CURIOSI PRIMA LETTERA. Page: 7
5. Correzione di errori di ſtampa. Page: 8
6. SIGNOR MARCHESE. Page: 9
7. DELLA DIVERSA VELOCITA' DEL SUONO. ALTRA LETTERA Page: 81
8. SIGNOR MARCHESE Page: 83
9. NOI RIFORMATORI Dello Studio di Padova. Page: 119
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5
DUE
LETTERE DI FISICA
AL SIGNOR MARCHESE
SCIPIONE MAFFEI
CONDOTTIERE D’ARMIDELLA
REPUBBLICA DI VENEZIA
E Gentiluomo di Camera del
RE DI SARDEGNA
Scritte dal Signor
GIANLODOVICO BIANCONI
Conſigliere e primo Medico del
LANGRAVIO DI DARMSTATT PRINGIPE
E VESCOVO DI AUGUSTA.
1[Figure 1]
IN VENEZIA
MDCCXLVI.
Appresso Simone Occhi,
CONLICENZADE’SUPERIORI, E PRIVILEGIO.
6
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7
DELLE
CARAFFE
DI VETRO
Che ſcoppiano al cadervi dentro di alcune
picciole
materie,
E DI ALTRI VETRI CURIOSI
PRIMA LETTERA.
8
Correzione di errori di ſtampa.
11
Pag
. # lin.
12
# 13 # intera
14
# 1 # obbiezioni
36
# 4 # fecene
43
# 4 # materia
46
# 4 # eſempio
47
# 17 # ſono
# 21 # altra
49
# 8 # gettanſi
61
# 13 # ſempre
65
# 18 # metallo
70
# 16 # far punto
71
# 7 # compimento a quanto
86
# 18 # detto
93
# 16 # appunto
98
# 6 # elaſticità
102
# 17 # acqua
9I
SIGNOR MARCHESE.
LA rara gentilezza e cor-
teſia
colla quale il Sig.
Marcheſe mio Signore mi
accolſe
e ricevè, nel paſ-
ſare
che per Verona io
feci
, alloraquando veniva a quefta Sere-
niſſima
Corte d’ Auguſta, reſtommi tal-
mente
fiſſa nell’animo, che mai non fia
ch’io
poſſa dimenticarmene, per lun-
ghezza
di tempo, per gran tratto
10II paeſe che da lei mi divida. In prova
di
queſta mia riſpettoſa gratitudine, e
della
ſtima che far debbo della ſua in-
ſigne
ſcienza e vaſta letteratura, ho de-
terminato
eſporle in iſcritto alcune Oſ-
ſervazioni
e rifleſſioni fiſiche, le qualì
lio
fatte ſopra quelle groſſe Caraffe di
Vetro@che
al gettarvi dentro di un pic-
coliſſimo
@rammento di Criſtallo o di Sel-
ce
, ſcoppiano in quel momento o qual-
che
piccol tempo dopo.
e rotte cado-
no@in
pezzi;
come pure qualche coſuc-
cia
ſopra quelle palle di Vetro vuote ed
ermeticamente
chiuſe continenti un qual-
che
corpo ſtraniero, le quali rompendo-
ſi
fanno uno ſtrepito grandiſſimo non al-
trimenti
che ſe ſcoppiaſſe un fucile od
una
ben carica piſtola.
Ho creduto anco-
ra
che il far queſto ſia un mio puro
ed
eſpreſſo dovere, prima perchè ſe ben
le
torna a mente ricorderaſſi, che
11III domi anch’ ella veder tali vetri, a lei
donati
in Torino da S.
A. R. il Duca
di
Savoja, giovane Principe di ammira-
bile
ingegno, e facendoſi ſopra codeſte
Caraffe
un lungo diſcorſo, io in certa
maniera
le promiſi di farle ſapere quel-
lo
che io ne penſava;
ſecondo perchè
riſpetto
alle palle delle quali farò pa-
rola
nell’ ultimo, io le vidi la prima vol-
ta
da lei, ed imparai a conoſcerle in
ſua
caſa non meno d’ inſigni antichità
e
di ſcelti libri fornita, che di curioſiſ-
ſime
, e ſtrane produzioni della natura:
laſciando per ora da parte l’ampia e
prezioſa
raccolta di Libri che di ra-
rità
naturali, fatta dal ſuo fido Acate il
Sig
.
Franceſco Seguier Gentiluomo Fran-
cefe
, che da quatordici anni ha la ſorte di
conviver
ſeco, e che con due bell’opere
botanicheſi
è già reſo celebre.
La prego ad
iſcuſarmi
ſe prima d’ora non ho
12IV a queſto mio penſiere, imperciocchè ol-
tre
a varie facende che mi hanno non
poco
e giuſtamente occupato, la ſplen-
didezza
anch’eſſa di queſta Corte in cui
ho
la fortuna di vivere, e la novità del-
le
coſe le quali agli occhi miei, all’
Italia
ſola finora avvezzi, ſi preſentaro-
no
tutte in una volta, hanno fatto tale
ſpecie
nell’ animo mio, che da queſto
buon
volere lo hanno quaſi a forza di-
ſtolto
, ed Auguſta ha prodotto in me
quello
che già produſſe nell’animo dell’
immenſo
noſtro Arioſto la nuova abita-
zione
che intrapreſe ſu le rive della
ſtrepitoſa
confluente della Turrita e del
Serchio
;
potendo dire anch’io,
La novità del loco è ſtata tanta,
Che ho fatto come Augel, che muta gabbia,
Che molti giorni reſta, che non canta.
Tutto ripromettendomi adunque dalla
ſua
bontà, della quale non lice a
13V che ſia ſenza offenderla dubitare, inco-
mincierò
ſenz’ altro a parlare delle noſtre
Caraffe
, e le dirò prima, che da alcu-
ne
parole le quali leggonſi nel fine del
Trattato
_delle Affezioni de’Corpi_ del Signor
di
Hamel, celebre riſtoratore della Fiſi-
ca
, da quei Dottori _Acuti, Irrefragabili,_
_Riſſoluti
, Sottili,_ ed altri che per riſpetto
non
nomino, colla autorità d’Ariſtote-
le
il più delle volte ſtorpiato e non
inteſo
, rovinata intieramente e diſtrut-
ta
;
da alcune parole ſue dico ſcorgeſi,
che
egli ſapea qualche coſa, o di que-
ſto
, o di conſimil fenomeno.
Eccole
quello
ch’ei diceQuod autem contex-
tus
partium, figura, &
tenſio praeci-
puae
fint hujus phaenomeni cauſſae,
hinc
etiam licet conijcere, quod Pilae
conflatae
ex vitro candido (quod viridi
fragilius
eſt &
poris magis pervium,
nec
ex fornace extractum in arca
14VI periori, ut alia vitra; reponitur) fa-
cile
in partes diſſiliunt ubi ſcalpelli,
vel
ſtyli apice celeri, ac reciproco mo-
tu
perfricantur;
nam partes praeſertim
interiores
pilae, aut vitri concavi hoc
celerimotu
luxatae, non valent amplius
exteriores
continere.
Et quidem mihi,
anno
proxime elapſo oſtendit Domi-
nus
Boyle vitrum ſolidum chriſtallo pu-
riſſimae
ſimile, quod levi motu affri-
ctum
in varias diſſiluir partes.
Puoſſi
parlare
, a quel che parmi, più chiara-
mente
?
S’inferiſce da queſto, che il Boyle
anch’eſſo
ſapea qualche coſa di ſomi-
gliantc
;
ed in prova di queſto molte co-
ſe
troverannoſi nel di lui TrattatO _della_
_aſſoluta
quiete de’Corpi_ le quali conferme-
ranno
il ſoſpetto mio.
Tuttavolta qua-
lunque
ſiaſi la coſa, il fatto è, che di
queſta
fiſica curioſità eraſene ſul
15VII pio di queſto ſecolo perduta intieramen-
te
la rimembranza, alloraquando l’anno
1716
il Sig.
Canonico Gian-Giacomo
Amadei
Bologneſe accidentalmente le
ſcoperſe
il primo un giorno che trova-
vaſi
alla fornace dei vetri, dove ſo-
leva
ſpeſſiſſimo andare, perchè come aſ-
ſai
amante della fiſica, capiva che in
quel
luogo più che in altri, molti ed
aſſai
vaghi ſcherzi della natura quotidia-
namente
ſi preſentano agli occhi degli
ſpettatori
, che traſcurati poi vengono,
o
per la troppa frequenza con cui ſi
laſcian
vedere, o per quella indolenza
che
in ſimili coſe aver ſogliono coloro,
la
mente dei quali non è ſtata dalla ſi.
loſofia, per così dire, ſvegliata e meſ-
ſa
in curioſità.
Dico, che accidental-
mente
ei le ſcoperſe, perchè ſenza pen-
ſarvi
, vide che per eſſervi caduti dentro
alcuni
frammentucci di vetro,
16VIII una ben groſſa e robuſta Caraffa, dall’
artefice
gettata ancor rovente tra i ve-
tri
da novamente fonderſi, come far ſo-
gliono
di quei lavori, i quali incommin-
ciati
, conoſceſi che non potranno riu-
ſcire
a perfezione.
Reſtò ſorpreſo al ve-
dere
queſta ſtravagante novità, provolla
per
aſſcurarſene in altre Caraffe ſimili
o
quaſi ſimili alle noſtre, che pure
tra
i riſiuti ſi ſtavano, e domandandone
con
impazienza ai vetrai la cagione, ſe
pur
la ſapeano, null’altro vedevaſi da
coſtoro
riſpondere, ſe non che maravi-
gliavanſi
e quaſi ridevano nel vederlo
anſioſo
di ſapere una coſa, che eſſi co-
me
inutile e puerile avevano ſempre
mai
riguardata.
Fatteſi adunque fabbricar molte di que-
ſte
Caraffe e ſeco portatele, moſtrolle
fra
gli altri Filoſofi della noſtra Bolo-
gneſc
Accademia, al Sig.
Generale
17IX te Luigi-Ferdinando Marſilli di celebre
memoria
, a cui pure giunſero nove in-
tieramente
, e che con gran piacere e
diligenza
le conſiderò.
Dopo la novità
della
coſa e dopo varj diſcorſi, come
il
più delle volte anche a danno delle
ſcienze
accader ſuole, ſi poſero in ſilen-
zio
le Caraffe e reſtarono quaſi neglet-
te
nella dimenticanza fino all’anno, ſe
non
erro, 1735.
alloraquando il Sig. Pao-
lo-Battiſta
Balbi, che come diligentiſſi-
mo
cuſtode, anzi cercatore della natura
non
le avea forſe come alcun’altro ob-
bliate
, parlando all’ Accademia dell’In-
ſtituto
di que’ vetri che ſpontaneamen-
te
ſi rompono, nominò queſte ancora,
quaſi
accortamente ad eſſa ricordandole
acciocchè
non le perdeſſe di viſta.
Da
allora
fino all’anno cred’io 1740 ſe
ne
andò da ognuno parlando, e da va-
rj
ſe ne ruppero moltiſſime,
18X neſſuno aveſſe ancora intrapreſo partico-
larmente
d’eſaminarle, come ſe per la
bellezza
e rarità della coſa i fiſici fat-
ti
ſoverchiamente civili, quaſi ſi cedeſſe-
ro
l’un l’altro la preferenza.
Da Bolo-
gna
io credo che lo imparaſſero allora
molte
Città dell’Italia, e fuori d’ Italia
ancora
, anzi di alcune potrei io ſicura-
mente
indicare la ſtrada e il mezzo per
cui
lo ſeppero, ſe non temeſſi che co-
deſta
quaſi Genealogia foſſe per eſſere
inutile
e ſtucchevole.
Queſto ſia detto
primieramente
per rendere alla patria mia
quella
giuſtizia che debbole, e per la
quale
, ſe non puoſſi chiamar la inven-
trice
di queſte caraffe, potrà dirſi alme-
no
la prima rinovatrice;
e ſecondaria-
mente
per ſoddisfare a quell’ obbligo il
quale
pare che oggigiorno corra ad ogni
Scrittore
, di dover rendere piena ragione
di
quanto può appartenere alla materia
19XI egli prende a trattare, e di porvi avantiun
proemio
iſtorico o cronologico, ſiane pure
quanto
vuolſi oſcura o favoloſa la origine.
Le Caraffe adunque, benchè ella mol-
to
meglio di me lo ſappia, hanno la qui
anneſſa
figura _(Fig.
I.) _ e poſſono eſſere
talora
più talora men grandi, come ſi
vuole
.
Da quello che ſopra ſi è detto
comprendeſi
, che ſempliciſſimamente ſi
fabbricano
, e nella maniera con cui faſ-
ſi
qualunque altro benche rozzo lavoro
di
vetro.
La ſola differenza che tra
eſſe
e gli altri paſſa è, che ſiccome
queſti
appena finiti ſi mettono dal Ve-
trajo
nella ſtufa riſcaldata e ſovrappoſta
alla
medeſima fornace, acciocchè per
gradi
paſſino dal calore grandiſſimo del-
le
fiamme all’ aria naturalmente tempe-
rata
;
così quelle appena fatte ſi eſpon-
gono
all’ aria libera, e ſenza altra dili-
genza
ſi allontanano dal fuoco.
20XII cauzioni ſolamente ſono afſai neceſſarie,
perchè
naſcano a dovere;
l’una che nel
fondo
ſieno aſſai groſſe, e quanto più
lo
ſaranno ſarà meglio, non eſſendovi
limite
alcuno;
l’ altra che nell’eſpor-
le
all’ aria ſi avverta, che queſta non
ſia
troppo fredda, perchè non ſalvando-
ſene
che poche nell’altra maniera, in
queſta
poi ſenza dubbio alcuno non ſe
ne
potrebbe ſalvare pure una.
Queſt
ultima
condiziono io credo fia ſtata la
ſola
cauſa, per la quale ho tanto ſten-
tato
per averne alcuna ìntera dalle for-
naci
qui di Germania, perchè a diſpetto
di
qualunque diligenza, l’ aria che qui
ſempre
più toſto freſca che no ſpira, me
le
faceva tutte andare in pezzi prima di
raffreddarſi
.
Qualunque per altro fiaſi
il
Vetro e qualunque ſiaſi la fornace, l’
eſperienza
è ſempre preſſo a poco la
ſteſſa
, ed è quaſi inutile il fare ſu
21XIII ſto alcuna diligenza, perchè il fenome-
no
come fino ad ora ſi è viſto, è uni-
verſale
a tutti i vetri, ed in qualunque
luogo
fabbricati.
Dico preſſo a poco la
ſteſſa
, perchè egli è indubitabile che rie-
ſcono
più fragili le Caraffe fatte di ve-
tro
impuro e crudo, che quelle fatte di
vetro
fino e ben cotto.
Eccole in poche
parole
come le Caraffe ſi fanno:
paſſiſi
ora
a dire come elle ſi rompano.
Nel far queſto io p@nſo di prima eſpor-
le
non dirò un ſiſtema, ma un penſie-
re
che io ho, fondato parte ſu le mie,
parte
fu le altrui rifleſſioni, e quindi
naſcendo
come Corollarj da Propoſizio-
ne
le eſperienze da me e da varj altri
fatte
, dare con queſto metodo più aria
di
veriſimiglianza che ſia poſſibile al mio
diſcorſo
.
Ella non credeſſe già, che m’
impuntaſſi
poi a difenderlo _unguibus &_

_roſtro_
, e voleſſi ſalvarlo malgrado
22XIV le più giuſte obiezioni, e come dice il
grazioſo
Moliere, ſoſtentarlo ſino all’ ul-
tima
goccia del mio inchioſtro.
Trop-
po
conoſco per non impegnarmici, le dif-
ficoltà
che incontriamo quando voglia-
mo
ſcoprire le cauſe della natura.
Io ſuppongo adunque, che ogni vetro
groſſo
il quale abbia conveſità da una
parte
e concavità qualunque ſiaſi dall’
altra
, e che dalla fornace entro cui è
ſtato
fabbricato paſſi all aria libera ſen-
za
eſſere ſtato il dovuto tempo nella
Stufa
a cuocerſi, ſe non va in pezzi co-
me
il più delle volte ſuol fare, ſuppon-
go
dico, che abbia talmente diſpoſte le
piccole
ſue parti componenti, che ſi ſo-
ſtentino
reciprocamente , ma che lo
facciano
in tal maniera, che ſe una ſo-
la
di queſte nella parte più debole, cioè
come
moſtrerò più avanti nella inter-
na
, movaſi dal luogo ſuo, tutte
23XV altre anch’ eſſe debbano per la loro vi-
cinanza
diſunirſi e moverſi, e così fa-
re
che intieramente quel compoſto rovi-
ni
per così dire e cada, come in gran-
de
nelle volte delle Stanze o negli Ar-
chi
vediamo giornalmente accadere.
Io
quì
in prova di queſto mio penſiere,
all’
uſanza di quei filoſofi che una
volta
davano fino in iſtampa la figura
e
la grandezza delle immaginate parti-
celle
componenti la loro vorticoſa ma-
teria
non altrimenti che ſe vedute le
aveſſero
, potrei farle un lungo nojoſo
diſcorſo
ſopra la ſtruttura del vetro e dei
ſuoi
componenti, e moſtrarle forſe anco
con
Euclide alla mano, la diſavvantag-
gioſa
unione delle ſue particole.
Ma mi
perdoni
Sig.
Marcheſe, ſe pregola a diſ-
penſarmene
, perchè ingenuamente le con-
feſſo
che non avrò mai il coraggio di
aſſerir
per vera alcuna di quelle
24XVI che negatami poi non ſaprei come po-
ter
provare.
Solo dirò , che l’ ineguale
raffreddamento
delle parti eſterne ed in-
terne
della Caraffa quando diſcoſtaſi dal-
la
fornace, e per il quale le parti eſter-
ne
cominciano per ragione dell’ aria che
le
circonda e tocca, a coſtringerſi e raſ-
freddarſi
, nel tempo che le interne rare-
fatte
e roventi ſeguono ancora a mover-
ſi
con moto rapidiſſimo, pare moſtrar
ſufficientemente
, che la coſa poſſa eſſe-
re
qual ſopra dicevale, cioè che le par-
ti
debbano ſtare fra di loro in una ten-
fione
molto inuguale, e in conſeguenza
in
equilibrio , ma in un equilibrio de-
boliſſimo
ed aſſai facile a toglierſi.
L’
oculare
inſpezione dei frammenti anch’
eſſi
della Caraffa potrà favorire in qual-
che
maniera codeſto penſamento.
Imper-
ciocchè
ella li vedrà d’ ordmario nella
ſuperficie
della Sezione dalla parte
25XVII riguarda l’ eſterno aſſai liſ@i e politi, co-
me
ſe il vetro qui foſſe compatto ed
in
ſeſteſſo riſtretto, e vedralli aſpri men-
lucidi
e quaſi increſpati dalla parte che
riguarda
la ſuperficie interna, quaſichè
ivi
foſſe rarefatto e di teſtura più larga.
Nel leggere ch’ ella avrà fatto quello
ch’
io credo della interna ſtruttura del-
le
Caraffe, le ſarà venuto in mente di
aver
viſta coſa in parte ſimile in quel-
la
elegante diſſertazione latina ſtampata
l’anno
ſcorſo in Padova da un’anonimo
Autore
, il quale non è che un dotto
e
conoſciuto Sacerdote della Compagnia
di
Gesù.
Imperciocchè ivi ella avrà tro-
vato
un ſimil penſiere, ma molto più
diffuſamente
e chiaramente ſpiegato, e
che
io ho voluto ſeguitare ed abbraccia-
re
, non già per quella ſtima che mi pro-
teſto
di avere per lo Scrittore, ma ſo-
lamente
perchè parevami troppo
26XVIII me allo agire della natura, e ſecondo
le
Leggi inviolabili della Fiſica.
Ciò determinato adunque ne viene per
conſeguenza
, che perchè rompaſi la Ca-
raffa
, egli è neceſſario che dal corpicci-
uolo
il qual’ entro le cade, ſia in qual-
che
modo sfregiata, e per così dire nel-
la
ſua parte interna e più fragile inco-
minciata
a rompere.
E ſiccome ogni cor-
po
quando non aveſſe un grandiſſimo
momento
, o a cagione della ſua gran-
dezza
, o a cagione di una ſtraordinaria
velocità
non è capace o valevole a sfre-
giare
e rompere la ſuperficie dei vetri,
così
ne ſegue che non a tutti è dato il
poter
rompere le noſtre Caraffe, come
l’
eſperienza ci inſegna.
Le romperanno
adunque
coſtantemente, benchè in pic-
coliſſima
mole, que’ corpi che per ſe-
ſteſſi
ſono atti a tagliare il vetro;
ed
eccole
per qual cauſa i
27XIX quando non ſieno di mole conſiderabile
e
non abbiano angoli taglienti e ben
duri
, l’ avorio, i legni ſogliono
rompere
le Caraffe ſe ad eſſe ſi gettano
dentro
.
Eccole poi al contrario perchè
le
ſcaglie di Criſtallo, di Pietra focaja
di
Diaſpro, d’ Agata, le Pietre prezioſe,
particolarmente
ſe anno molti angoli e
punte
, le rompono ſempre, eſſendo cor-
pi
che di natura loro a cagione della
durezza
po@@ono @@gnare, anzi ſegnano
e
sfregiano la ſuperficie dei vetri.
Non
dovrebbe
ora recar più maraviglia, ſe il
Diamante
meglio di ogni altro corpo e
più
ſpeditamente le rompe, quantunque
ſia
ſolamente del peſo di un mezzo gra-
no
, e ſino d’ un’ ottavo, ſapendo noi che
nella
natura non c’ è corpo che più a-
gevolmente
di queſto sfregj i vetri anche
col
ſolo leggeriſſimo toccarli.
Se la coſa adunque è così, venir
28XX dee di giuſta conſeguenza, che per man-
dare
in pezzi le Caraffe non ſarà neceſ-
ſario
il laſciare ad eſſe cader dentro il
corpicciuolo
angoloſo, ma che baſterà
metterglielo
nel fondo con qualche iſtru-
mento
che glielo porti, e far che con
un
poco di forza lo tocchi, tanto che
ne
reſti in qualche modo sfregiata e pun-
ta
per così dire la ſuperficie.
Si doman-
derà
, ſe queſta forza poi debba eſſer no-
tabile
o no, al che ri@pond@rò, che ſem-
pre
è aſſai leggera, ma che è maggiore
o
minore ſecondo la durezza, la ſtrut-
tura
, e la materia dei corpicciuoli più
o
men favorevole a sfregiare il vetro;
di tal maniera che probabilmente potreb-
be
ſtabilirſi queſta legge, che date alcu-
ne
piccole ſcheggie di figura e grandez-
za
coſtante di que’ corpi che ſopra ab-
biamo
detto eſſere atti a rompere una
Caraffa
, la forza che dovraſſi con
29XXI farle al fondo acciocchè fi rompa, ſta-
nella inverſa della loro differente na-
turale
durezza.
Da queſto adunque ne
viene
, che l’ atto della caduta ſopra
del
quale hanno fatto tante diligenze e
meditazioni
tutti quelli che finora hanno
parlato
di queſto fenomeno, può dirſi
che
ſia inutile e che non influiſca nella
rottura
del vetro, ſe non per quel pic-
coliſſimo
momento che comunica al cor-
picciuolo
, per cagione dell’ affrettarſi che
fanno
i gravi nel cadere.
Io credo d’ aver già ſvelato tutto l’
arcano
e di avere in mano il filo di Ari-
anna
che ſicuramente diſtinguerà le fal-
ſe
dalle vere ſtrade, onde poterſi inter-
nare
in queſto fiſico laberinto;
e ſe lo-
devole
è ſempre la verità, io potrò di-
re
che fui uno dei primi, il quale pen-
ſando
a queſto intrigatiſſimo eſperimen-
to
, ſoſpettai eſſerci neceſſario lo
30XXII e che ſenza di lui inutil foſſe il gettar
dentro
alle Caraffe con quanta forza vo-
levaſi
i corpi.
Comunicai queſto ſoſpet-
to
mio fin da quando trovavami in Bo-
logna
alla ſcelta fiſica radunanza che due
volte
la ſettimana tienſi appreſſo la dot-
tiſſima
Signora Laura Baſſi-Verati, il no-
me
della quale baſta da per non aver
biſogno
d’aggiugnerli altra lode.
Qui el-
la
ci avrebbe veduti in ſei o ſette aſſiſi
tutti
d’intorno ad una tavola coperta d’
ogn’intorno
di Caraffe parte rotte e par-
te
da romperſi, giacchè ci eramo delibe-
rati
a forza di eſperimenti di voler cer-
care
e trovare ancora ſe pur potevaſi,
dove
ed in che conſiſteſſe codeſto miſte-
ro
.
Determinoſſi di farne allor’ allora la
prova
, e così ſciorre ſul fatto la quiſtio-
ne
.
Dopo varj metodi che ſi propoſero,
ci
appigliammo ſinalmente a quello che
parve
il più agevole d’ ogni altro,
31XXIII prendemmo uno di que’diamanti incaſtra-
ti
nella eſtremità di una ſottile aſta di
ferro
, dei quali ſoglionſi ſervire i vetraj
per
tagliare le laſtre di vetro, o di cri-
ſtallo
, e queſto deſtramente pel collo nel-
la
Caraffa introdotto, lo portammo leg-
geriſſimamente
a toccare il fondo.
Non
ebbelo
appena toccato, che la Caraffa non
altrimenti
che ſe le ſi foſſe laſciato ca-
der
dentro una conſiderabile ſcaglia di ſel-
ce
o di criſtall@, d’ogn’intorno in mol-
tiſſimi
pezzi ſcoppiò e con gran violen-
za
ſi ruppe.
Replicoſſi con attenzione l’
eſperienza
, e non ſolamente provoſſi col
diamante
, ma altresì colla pietra focaja,
col
vetro, e con altri corpi che nel ſo-
lito
modo dentro delle altre Caraffe s’in-
troduſſero
, ed ogniuno colle proprie ma-
ni
ſi aſſicurò, che l’ effetto riuſciva co-
ſtantemente
e a maraviglia, e che la pic-
cola
forza colla quale dovevaſi
32XXIV il fondo, era ſenſibilmente minore qual-
ora
toccavaſi col diamante che quando
toccavaſi
colla pietra focaja, maggiore
quando
toccavaſi col vetro, e così di ma-
no
in mano.
Dal fin qui detto ne viene, che o-
gniuno
da ſe medeſimo potrà indovinare
come
corollarj quaſi tutte le conſeguen-
ze
di tanti eſperimenti fatti, e forſe an-
che
da farſi intorno a queſti vetri.
In
prova
di che piaccial@ m@@@ confiderar-
ne
alcuni che come i più inſigni quì ſot-
to
per ordine le riſerirò.
Una parte di
queſti
è ſtata tentata dal Sign.
Tomma-
ſo
Laghi Pubblico Profeſſore di Medici-
na
nella noſtra Univerſità di Bologna,
il
quale dottamente e da valentuomo ha
molto
cercato ſu queſto ſcherzo della na-
tura
.
Un’altra io l’ ho preſa dalla ſopra-
nominata
diſſertazione di Padova, in cui
molti
ve ne ſono diligentiſſimamente
33XXV preſſi; e l’ altre tutte ſono ſtate fatte da
me
o da alcuni amici miei in Italia, i
quali
gentilmente mi hanno dell’ opera lo-
ro
nell’ eſeguirle favorito, giacchè la mia
dimora
quì in Germania togliemi molte
di
quelle comodità che per tali prove ſon
neceſſarie
.
Per andare adunque con qualche me-
todo
le dirò primieramente, che ſoſpet-
ſul principio taluno e ſoſpettò con
ragione
, che l’ aria, o rinchiuſa in for-
ma
di bolle nelle pareti della Caraffa,
o
quella dell’ atmosfera da cui ſon cir-
condate
e riempite, poteſſe avere qual-
che
parte in queſto fenomeno, laonde
tentarono
una lunga faſtidioſa ſerie di ri-
cerche
nella Macchina pneumatica.
Ma
ſiccome
probabilmente, anzi giuſta quel-
lo
che ſopra le ò eſpoſto, chiaramente ſi
vede
che l’ aria in neſſuna maniera vi ha
parte
, così queſte debbono romperſi
34XXVI mente nel vuoto che nel pieno, pa-
tiranno
altro cangiamento, ſe non quel-
lo
il quale è effetto dell’ impreſſione e-
ſterna
che ſoffrir debbono tutti i corpi da
un
fluido altiſſimo che d’ ogni parte li
circonda
e preme.
Nelle Caraffe adun-
que
che ſi ruppero nel recipiente della
macchina
pneumatica, nel qual caſo quel
poco
d’ aria che ſnervata, per così dire,
e
floſcia vi reſtava, era egualmente ra-
refatto
dentro che fuori della Caraffa,
non
vedevaſi alcun cangiamento nel fe-
nomeno
, ſuccedendo queſto tal quale nel-
l’
aria aperta.
Nella ſuddetta diſſertazio-
ne
ella avrà vedute molte eſperienze che
le
confermeranno l’ aſſerzion mia, ne vi
troverà
altre anomalie, che quelle le qua-
li
ſuccedono alla giornata anche nel pie-
no
.
Il Signor Laghi votò di aria colla
macchina
una Caraffa, e per mezzo di
uno
aſſai ſemplice artificio fecele
35XXVII dentro uno dei ſoliti corpicciuoli, pel
quale
prontiſſimamente ſi ruppe tutta con-
forme
all’ ordinario;
con queſta ſol diffe-
renza
, ch’eſſendo internamente vuota, l’
aria
che d’ intorno la circondava e con
gran
forza premeva, impedì che poteſſe
ſcoppiare
e cader d’ogn’ intorno in pez-
zi
.
Ella avrebbe adunque veduta una Ca-
raffa
intiera , ma piena d’ ogni parte
di
fenditure, le quali laſciando illeſo il
collo
che come più ſottile è di tutt’ al-
tra
teſtura che il reſto, parevano tutte
andarſi
ad unire irregolarmente a guiſa
di
raggj nel centro del fondo, nel quale
a
un di preſſo aveva percoſſo il corpic-
ciuolo
gettatole dentro.
Queſta direzio-
ne
delle fenditure, detta quì di paſſag-
gio
, per poco che vi ſi mediti ſopra,
parmi
che debba dare anch’eſſa una gran-
diſſima
probabilità al ſentimento mio.
All’ aprirſi poi che ſi fece la bocca
36XXVIII Caraffa, ella avrebbe veduto come è na-
turale
, ſcioglierſi tutto queſto compoſto,
e
cadere per l’ aria eſcluſane, che dentro
precipitoſamente
entrolle.
Lo ſteſſo eſatto Oſſervatore provò an-
cora
l’oppoſto di codeſta eſperienza;
cioè
provò
a rompere una Caraffa in cui era
dentro
l’ aria, la quale eſternamente era-
le
ſtata levata.
Per far queſto, rinchiuſe-
la
nella macchina pneumatica, il reci-
piente
o ſia campana della quale aveva
nel
vertice un buco da cui uſcir poteva
il
collo della Caraffa ben luttato, ſicchè
non
potea dentro trapelare per la com-
meſſura
aria alcuna.
L’effetto riuſcì tal
quale
riuſcir doveva, cioè ruppeſi la Ca-
raffa
, e ruppeſi con impeto tale a cagio-
ne
dell’ aria che ſopra le gravitava,
che
i frammenti urtarono e percoſſero con
grand’ impeto il recipiente, che infran-
to
ſenz’alcun dubbio l’avrebbero, ſe
37XXIX vidamente non foſſe ſtato di metallo
Circa
tutti gli altri Eſperimenti che in
lunga
ſerie tentar ſi potrebbero nella mac-
china
, o che ſono ſtati tentati, poichè a
queſte
tre ſopraddette differenti maniere
credo
io che ſi poſſan ridurre, così ſti-
mo
inutile lo allungare il diſcorſo facen-
done
ulteriori parole.
Queſte eſperienze poſcia fatte nell’aria
e
ſenz’ aria, potrebbero ſervire per con-
getturare
quello che ſucceder dee nel pro-
vare
le Caraſfe o ripiene, o immerſe in
qualche
liquore, ſe queſte ricerche anch’
eſſe
non ſi foſſero fatte con ugual dili-
genza
ed acuratezza che le altre.
lmper-
ciocchè
che altro è l’ aria in cui vivia-
mo
ſe non un fluido leggeriſſimo, il qua-
le
più meno è ſoggetto a tutte le
leggi
che inviolabilmente agli altri flui-
di
ha preſcritto la natura?
Si romperan-
no
adunque ſe loro gettaſi dentro il
38XXX lito corpicciuolo, o ſieno queſte vuote
d’
acqua o ſieno piene, e ſi romperanno
o
ſiano in eſſa immerſe o non lo ſiano.
La ſol differenza che vi paſſa è, che quan-
do
ſon piene, biſogna che il corpo ſia
aſſai
più poſſente di quello che abbiſo-
gnarebbe
ſe foſſer vuote, e tanto più lo
ſia
, che ſuperate colla propria gravità
tutte
le nuove reſiſtenze aggiunteſi, ri-
manga
tanto di momento che baſti per
arrivare
a sfregiarne il fondo.
Dico tut-
te
le reſiſtenze, perchè ella ſa quanto pre-
ſentemente
divida l’animo dei fiſici la de-
terminazione
della legge con cui mo-
vonſi
i corpi nei fluidi, a ſegno che pa-
re
che fino i climi e la natura dei dif-
ferenti
paeſi influiſca a mantenere ſem-
pre
più viva che mai queſta gran lite,
volendo
i Tedeſchi una coſa, i Franceſi
un’
altra, gl’ Italiani un’ altra, e un’ altra
gl’
Ingleſi.
Quello che dico dell’acqua
39XXXI detto di qualunque altro fluido, e dell’
Argento
vivo ancora, ſe poſſibil foſſe
trovare
un corpo capace di rompere la
ſuperficie
dei vetri, e che nell’ argento
vivo
diſcendeſſe al fondo.
Se reciproca-
mente
poi getteraſſi il corpicciuolo den-
tro
della Caraffa vuota, ma immerſa
nell’acqua
o in qualche altro fluido, ſuc-
cederà
lo ſteſſo che ſopra ſi è veduto
ſuccedere
nell’ aria libera, ſe la Caraffa
era
internamente vuota d’ aria;
cioè ſi
romperà
è vero con egual facilità, ma
non
ſempre caderanno diviſi i frammen-
ti
, imperciocchè il fluido che contra le
pareti
della Caraffa preme, gli ſoſterrà,
e
gli ſoſterrà con tanto maggior forza,
quanto
la ſua gravità ſarà maggiore
di
quella dell’ aria, avuto per altro il
dovuto
riſpetto alle differenti loro al-
tezze
.
Il ſopranominato Geſuita nella ſua
40XXXII ſertazione ci avverte quì di una partico-
larità
ben curioſa da lui oſſervata, la
quale
è che quando ſi rompono immerſe
nell’
acque, vedeſi talvolta uſcire dalle
fenditure
un fumo aſſai ſottile, il quale
a
creder mio potrebbe darſi che naſceſſe
dallo
ſprigionamento delle piccole bolle
d’
aria, che come appariſce agli occhi,
ſono
rinchiuſe nelle pareti della maggior
parte
dei vetri groſſi, e ſpecialmente di
quelli
che non ſono ſtati a ricuocerſi nel-
la
ſtufa.
Un’ altra neceſſaria conſeguenza pur
cavaſi
dalla maniera con cui ſi fabbrica-
no
, cioè dal ſollecito ineguale raffredda-
mento
, e per la quale indovinaſi la mag-
gior
parte di que’ fenomeni, che in eſſe
dopo
d’ averle riſcaldate ſu le brage ac-
ceſe
ſi oſſervano.
Il Signor Laghi ha
provato
, che ſe roventaſi una Caraffa
e
dappoi laſciaſi raffreddare a poco
41XXXIII poco ſu le brage medeſime, nel mentre
che
queſte lentamente ſi vanno eſtinguen-
do
, queſta diventa incapace di eſſer rot-
ta
, e per quanto ſe le gettino dentro
corpi
duri e puntati, reſiſte ugualmente
che
ſe dopo fatta foſſe ſtata meſſa nella
camera
ſuperiore alla fornace.
Ha pro-
vato
altresì che romponſi conforme il ſo-
lito
, ſe dopo di eſſere ſtate roſſe nel fo-
co
, ſi immergono ed eſtinguono nell’
acqua
fredda (eſperimento per altro aſ-
ſai
difficile, perchè nell’ immergerle qua-
ſi
tutte ſpontaneamente ſcoppiano) oppu-
re
ſe ſi laſciano raffreddare nell’ aria or-
dinaria
, con queſta differenza però, che
romponſi
aſſai più debolmente e ſenza
tanto
impeto come le altre;
lo che in-
tenderaſſi
beniſſimo ſe ſi riflette, che il
foco
dei carboni, eſſendo aſſai più de-
bole
del foco della fornace, potrà in
parte
ſervire ai vetri che ſopra eſſo
42XXXIV pongono a riſcaldarſi, per una ſpecie
dirò
così di legger cottura, equivalente
in
parte ma non in tutto a quella della
ſtufa
vetraria.
Non romperaſſi in conſe-
guenza
la Caraffa, ſe nel mentre che è
molto
rovente, gettaſele dentro il cor-
picciuolo
, come al contrario ſi romperà
ſe
mediocre fia il calore comunicatole,
nel
quale ultimo caſo vedraſſi rompere è
vero
, ma romperſi con tal languidezza
e
in pezzi così grandi, che intenderaſſi
da
queſto quanto in lei ſia diminuita per
ragione
del riſcaldamento la attività di
ſcoppiare
che per l’avanti aveva.
Varj altri eſperimenti ſi ſono fatti an-
cora
, che ſerviranno a porre maggior-
mente
in chiaro queſta piccola , ma
curioſa
parte della fiſica.
Si ſono fatte
primieramente
arruotare alcune Caraffe,
e
che ſiane ſucceduto ella potrà facil-
mente
indovinarlo, ſe a codeſta
43XXXV adatterà il piano o ſia il penſiere da
propoſtole
.
Arruotandole adunque nel
fondo
più groſſo, (giacchè dai lati che
ſono
ſempre più ſottili non puoſſi, rom-
pendoſi
queſte nel premere che faſſi con
eſſe
neceſſariamente ſopra la ruota) ſuc-
cede
che internandoſi ed arrivando col-
la
ruota a logorar quel luogo in cui il
vetro
comincia ad eſſer più raro e in
conſeguenza
più fragile, ſcoppiano que-
ſte
tutte in un colpo con egual impeto
che
ſe ſi foſſero nella ſolita maniera toc-
cate
o punte.
Una ſola cautela in far
queſto
è neceſſariſſima;
ed è che nell’ ar-
ruotarle
ſi logorino poco a poco ed a
varie
ripreſe, per impedire quel notabi-
le
riſcaldamento che naſcer ſuole nei cor-
pi
allorchè violentemente ſi fregano in-
ſieme
:
imperciocchè queſto rendele ina-
bili
allo ſcoppio, ſervendo ad eſſe in
parte
di cottura, non altrimenti che
44XXXVI quelle Caraffe che laſcianſi raffreddare
ſopra
la fornace.
Queſta diligenza non
avvertita
fu la cauſa per la quale il Sig.
Laghi facene anch’eſſo arrotare una, la
quale
non ſolamente non iſcoppiò, ma
ſofferſe
l’azione ſino a tanto che le ſi
fu
intieramente logorato il fondo, e che
la
ruota arrivò a paſſare nella inter-
na
capacità.
Le Caraffe adunque così
nell’
arrotarle riſcaldate come ſopra ho
detto
, perderanno l’ attività di ſcoppia-
re
all’ eſſere internamente sfregiate;
ma
ſe
mai non la perdeſſero del tutto, il
che
ſarà nel caſo che il riſcaldamento
non
ſia ſtato notabile, quella che loro
reſta
ſarà così debole, che appena potrà
riconoſcerſi
.
In fatti la Caraffa fatta ar-
rotare
dal Sig.
Laghi reſiſtette a varie
percoſſe
, alle quali certo le altre non
avrebbero
reſiſtito, ed io che colle ma-
ni
mie la ruppi, ricordomi ancora
45XXXVII romperla non potei ſe non fortemente fre-
gandola
nella parte interna, e a forza
sfregiandola
con una angoloſa pietra di
Corniola
, e il romperla ancora non con-
ſiſtè
in altro che in farle gettare una o
due
fenditure al più.
Fin dal principio di queſta mia, io le
diſſi
che credea queſta qualità di ſcop-
piare
comune a tutti i vetri i quali di
groſſezza
conſiderabile non ſieno ſtati
nella
ſtufa, e ſieno fatti a vaſo, cioſe4;
abbiano parte eſteriore e parte interiore.
L’eſperienza
è ſtata quella che me ne
ha
certificato.
Feci fare alle fornaci di
Kempten
alcune tazze o ſcodelle, le
quali
non erano che un ſegmento ben
piccolo
di sfera, e quelle che nel raf-
freddarſi
non andarono ſpontaneamente
in
pezzi, ſi ruppero impetuoſamente con-
forme
il ſolito, ad un leggeriſſimo tocco
di
pietra focaja.
In Bologna pure
46XXXVIII ſigliai il Sig. Laghi a far fare alcune Ca-
raffe
di figura aſſai diverſa dalle ordina-
rie
, e ricordomi che ne facemmo alcune
quadrate
, altre dal fondo piano, altre
dal
fondo fatto a cono col vertice dentro
alla
capacità, altre ſtriate e come diceſi
ſcannellate
, altre d’altra figura ancora, e
tutte
egualmente ſi ruppero ora con mag-
gior
ora con minor impeto, come ordina-
riamente
ſogliono far quelle delle quali ci
eravamo
ſino allora ſerviti.
A Venezia an-
cora
l’eruditiſſimo Sig.
Abate Gian-Mario
Ortes
, degniſſimo allievo del celebre Aba-
te
Grandi e dottiſſimo ſcrittore della ſua
vita
, ha provato a farne di varie forme,
in
occaſione che da me richieſto gentil-
mente
com’ egli ſuole, a lui pure è piac-
ciuto
di darmi mano nella eſecuzione di
queſte
mie ricerche.
Ne ha fatto fare al-
cune
d’uniforme groſſezza, alcune altre
col
fondo dentro piano e fuori
47XXXIX e in conſeguenza notabilmente groſſe
ma
larghe ſotto il collo e lateralmente
ſchiacciate
, altre col fondo piano den-
tro
e fuori, e tante altre che quì ſareb-
be
lungo dirle, e di tutte queſte così
differenti
e varie ſtrutture ne ſono ſcop-
piate
alcune, ſenza che la diverſa loro
configurazione
ne variaſſe nella menoma
parte
l’effetto.
Diverſe pure dalle noſtre,
e
con egual eſito ſento che le facciano in
Francia
, perchè non laſcian loro quaſi
niente
di collo, e lor danno a un di
preſſo
la figura di un Uovo aperto in
una
delle ſue punte, per la qual coſa le
chiamano
alcuni Franceſi _Uovo filoſofico._
Nel fabbricare che fannoſi codeſte Ca-
raffe
i vetraj tengonle ſoſpeſe dalla can-
na
di ferro per mezzo del loro collo, e
così
reſtano liſcie nel fondo e ſenza _pun-_
_tatura_
alcuna.
Ho provato adunque an-
cora
a far loro appiccar nel fondo
48XL canna, come coſtumaſi a que’ vaſi ai
quali
vuolſi tornire la bocca del collo,
e
tutto queſto per vedere ſe una diver-
ſa
maniera di lavorarle mutava in eſſe
in
qualche modo l’eſperienza;
ma han-
no
fatto lo ſteſſo interamente, e ſono
come
l’altre più meno ſcoppiate.
Col nome di _puntatura_ termine dell’ arte
vetraria
di cui mi ſono ſopra ſervito,
intendo
quello ſtigma che neceſſariamen-
te
dalla canna di ferro colla quale ſon
fabbricati
, contraggono tutti i vaſi di
vetro
che hanno la bocca tornita, il qua-
le
non vedendoſi nei vaſi antichi che tro-
viamo
nell’urne e nei ſepolcri, ci fareb-
be
credere che tutt’altra maniera aveſſe-
ro
avuto i Greci o i Romani nel lavorare
il
vetro, ſe Plinio non ci aſſicuraſſe del
contrario
col dirci, chealiud (Vitrum)
flatu
figuratur, aliud torno teritur, aliud
argenti
modo caelaturCiò non
49XLI rebbe deſiderabile che queſto Autore ci
aveſſe
laſciato più minutamente deſcrit-
to
il loro artificio, come ci ha laſciata
la
compoſizione del vetro;
imperciocchè
eſſendo
ſtati coſtoro tanto più facili e
compendioſi
di noi nella meccanica, chi
ſa
che non trovaſſeſi un’alrro metodo
di
agevolare queſt’ arte tanto neceſſaria
al
pulito e civil genere di vita che og-
gi
coſtumaſi ?
Ma queſte ricerche quan-
to
più ſono difficili e faticoſe, altret-
tanto
più a lei che ad altri appartener
debbono
, giacchè pare ch’ella ſia ſtata
ad
arte dal deſtino ſerbata a queſta tarda
età
, per diſcoprire e mettere alla chiara
luce
gli enigmi più oſcuri e le reliquie
più
naſcoſe dei noſtri antenati, abbando-
nate
già dagli eruditi ad un perpetuo mi-
ſtero
.
Ma torniamo alle noſtre Caraffe, che
troppo
lungo ſarebbe il diſcorſo ſe in que-
ſta
vaſta provincia voleſſi mettere il piede.
50XLII
Dal non avere io nominato altro luo-
go
che il fondo in cui toccate le Ca-
raffe
col diamante ſcoppjno, potrebbe
forſe
taluno credere che nel fondo ſo.
lamente e non altrove, poſſaſi effettuare
queſta
eſperienza.
Tuttavolta ſe ben ri-
fletteſi
al ſin qui detto, ſi ſcorgerà che
in
qualunque luogo della Caraffa, ove
il
vetro ſia tanto groſſo che poſſa farſi
quella
diverſità di tenſione nelle due par-
ti
eſterna ed interna, ivi non altrimenti
che
nel fondo toccata, ſcoppierà, come
pure
l’oſſervazione n’ha inſegnato.
Vo-
lendo
adunque noi determinare queſto
punto
medio tra il collo e il fondo dal
quale
, dirò così, comincj la loro fragi-
lità
, ſi troverà ſicuramente ſopra quel
circolo
parallelo il quale ſi può concepire
ove
principia il vetro ad ingroſſarſi, e
queſto
circolo ſarà talora più talora me-
no
diſtante dall’ equatore della
51XLIII ſecondo che ſarà ſtata maggiore o mi-
nore
la quantità del vetro preſa dal ve-
trajo
colla fiſtola di ferro nel fabbricar-
la
, giacchè la ſola gravità della meteria
fuſa
e ſtillante, è quella che fa naſcere
queſta
groſſezza nel fondo e ne determi-
na
il luogo da cui dee incominciare.
Per compiere queſto diſcorſo, io credo
opportuno
l’aggiugnere ancora due altre
al
creder mio importantiſſime rifleſſioni.
Sul principio di queſto ragionamento io
le
diſſi, che gettando dentro le Caraffe
un
piccoliſſimo pezzetto di corpo duro,
cadono
in quell’iſtante medeſimo o qual-
che
tempo dopo infrante in pezzi.
Ora
glielo
replico, e le dico di più che que-
ſto
tempo talora ſi reſtringe a ſoli ſe-
condi
, talora a minuti, e tal volta an-
cora
benchè di rado ad ore intere.
Il di-
ligentiſſimo
Geſuita ſopraddetto, che col
pendolo
eſattiſſimo lo ha miſurato,
52XLIV ne darà nella ſua diſſertazione un’ aſſai
diſtinto
ragguaglio, coſa che non potrò
fare
io, non eſſendo ſtato ſu queſto pun-
to
molto ſcrupoloſo.
Ma ſiaſi lungo o
breve
quanto ſi vuol queſto tempo, pa-
re
che ſe lo ſcoppio debba dipendere
dallo
sfregio che dentro dei vetri faſſi
dal
corpo cadente, non poſſa intenderſi
come
poi tardino qualche volta a rom-
perſi
, dovendo certamente farſi queſto
sfregio
nel primo toccare che fa della
Caraffa
il corpicciuolo.
A queſta per
altro
graviſſima difficoltà, la quale ſe
ſciorre
non ſi poteſſe, rovinerebbe in-
tieramente
e diſtruggerebbe il fin qui
detto
, parmi che ſi poſſa giuſtamente
riſpondere
, e ſoddisfare colle ſeguenti ri-
fleſſioni
.
Alloraquando è fatto il picco-
liſſimo
sfregio nel fondo della Caraffa,
o
queſto è grande quanto baſta accioc-
ch’
ella rompaſi, o non lo è.
Se il
53XLV mo, già va in pezzi queſta e di niuno
altro
diſcorſo ci è d’uopo.
Se il ſecon-
do
poi, io credo che a cagione della
tenſione
delle parti la quale oſſerviamo
in
tutti i corpi elaſtici, e ſpecialmente
nel
vetro più ch’ egli è crudo, vadaſi
queſto
sfregio poco a poco dilatando,
finchè
giunga all’ ampiezza a cui biſogno
è
che giunga perchè ſcoppj tutto il
compoſto
e cada per così dire in rovi-
na
.
Ecco ſe pure io colgo il vero, la
cagione
per cui tardano alcuna volta le
Caraffe
a romperſi, ed ecco la cauſa di
codeſta
ineguaglianza di ritardo, la qua-
le
certo non potrà ridurſi a legge, per-
chè
ridurſi a legge non può l’ effetto
od
il momento della prima percoſſa.
Coteſto ingrandirſi poi dello sfregio co-
ſa
ſtrana non dee parere, e potrà con-
cepirſi
ſenza sforzo alcuno di mente, ſe
ſi
riflette allo allungarſi che fanno
54XLVI volta anche ocularmente le fenditure che
gettano
per qualche cauſa eſterna i ve-
tri
.
Chi è di noi che veduto non l’ab-
bia
, ſe per efempio nel tempo maſſime
d’inverno
verſaſi acqua bollente dentro
ad
un fiaſco di vetro o in un groſſo
bicchier
di criſtallo ?
Vedonſi pure allo-
ra
dilatarſi ed ingrandirſi ſucceſſivamen-
te
talora più talora men celeremente le
fenditure
che per lo più in ſimil caſo
ſar
vi ſi ſogliono, le quali non ſi arre-
ſtano
, ſe non quando il vetro ſi è fat-
to
egualmente caldo che l’acqua verſa-
tavi
dentro, lo che è lo ſteſſo che di-
re
, ſe non quando le parti del vetro ſo-
no
tutte egualmente teſe, ſuppoſto però
ch’
egli non cada in pezzi prima d’ar-
rivarvi
.
Di più, non ſono debbono
eſſere
nuovi nella natura a diligente oſ-
ſervatore
codeſti lenti ed inſenſibili mo-
ti
, anzi io credo che neſſun corpo
55XLVII ne eſente, lo che troppo chiaro ſi rico-
noſce
, fe dopo lunga ſerie di tempo ri-
chiamaſi
alla memoria il primiero antico
ſtato
di qualche corpo, e ſe ne oſſerva-
no
i cangiamenti poco a poco ſopravve-
nutigli
.
L’altra rifleſſione poi è, che talvolta
quantunque
di rado, le Caraffe ſi rom-
pono
benchè loro non gettiſi dentro
altro
che qualcuno di quei corpi che
non
credonſi atti a sfregiare la ſuperſi-
cie
dei vetri.
Il Sig. Laghi per eſempio
ne
ha rotte alcune con un dado, altre
con
una zanna di Lupo, altre con una
sferetta
d’argento o con altre conſimili
coſe
, e ſe pur non le ha rotte al pri-
mo
gettarvele dentro, fono ſcoppiate
almeno
dopo d’averle alquanto ſcoſſe,
e
in conſeguenza forzato il corpo che
contenevano
a balzare qua e , e per-
coterle
dall’una e dall’altre parte.
56XLVIII difficoltà a prima viſta, com’ella vede,
quanto
è più ſemplice altrettanto pare
più
forte;
ma ciò nonoſtante ſarà facil-
mente
ſpiegata ed alle ſuddette coſe adat-
tata
, ſe penſaſi al grave momento che
debbono
aver queſti corpi tanto di peſo
maggiori
della ſcheggia di ſelce o di dia-
mante
;
ſecondariamente ſe riflettaſi, che
eſſendo
le pareti di queſte Caraffe qual-
che
volta ripiene di piccole bollette d’a-
ria
, ne viene che quelle bolle le quali
ſono
viciniſſime alla ſuperficie interna,
gonfiando
all’infuori, non ſono ritenute
e
coperte che da un velo, dirò così,
ſottiliſſimo
di vetro, il quale certamen-
te
ſi romperà, ſe contro d’eſſo o cade
o
urta il corpo gettato lor dentro, lo
che
io credo che baſti, perchè poi il
reſto
della Caraffa o in quel momento
o
poco dopo cadeſene in pezzi.
L’in-
ſpezione
alle volte ſenſibile della
57XLIX mentovata ineguaglianza che hanno nel-
la
ſuperficie i frammenti, la coſtanza nel
romperſi
al cadervi dentro corpi atti a
sfregiare
il vetro, il non romperſi che
ben
di rado al cadervi dentro degli al-
tri
purchè poi ancora ſieno di peſo con-
ſiderabile
, il non romperſi quaſi mai ſe
loro
gettanſi dentro metalli teneri e pa-
ſtoſi
, come è l’oro il piombo lo ſta-
gno
benchè peſantiſſimi, tutte queſte co-
ſe
dico inſieme dovrebbero a creder mio
far
comprendere abbaſtanza onde naſca
alle
volte codeſta anomalia.
Una ſol coſa ancora parea che ad in-
tieramente
riſchiarare ed eſaminare co-
deſte
fiſiche Caraſfe mancaſſe.
Ognuno
ſa
che dopo le ſagge diligentiſſime ri-
cerche
del Signor Gray a Londra, e
del
Signor da Fay a Parigi, ſi è final-
mente
ſcoperto che moltiſſimi di que’
corpi
che noi già abbaſtanza
58L dai fiſici ricercati e tentati, hanno ma-
nifeſtate
nuove qualità, le quali poi
hanno
fatto cangiar d’ aſpetto quaſi al-
la
fiſica.
Ella intende che io qui voglio
indicare
la nuova miſterioſa forza Elet-
trica
od attrattrice, come anche la be-
ne
ſtrana dotte che hanno per la mag-
gior
parte i medeſimi corpi collo ſtro-
picciarli
riſcaldati, di riſplendere all’oſ-
curo
gettando d’ ognintorno luminoſe
ſcintille
.
Pareva adunque che mancaſſe
la
certezza, ſe le noſtre Caraffe anch’
eſſe
foſſero di queſta ſpecie elettrica o
;
per lo che e dal Sig. Laghi e da
me
ſi ſono fatte varie eſperienze, le
quali
finora non ci hanno aſſicurati di
coſa
veruna.
Imperciocchè quantunque
fregate
e ben ben riſcaldate, non hanno
tirato
corpo alcuno, hanno laſciato
vedere
verun raggio di luce, ſia nel lo-
ro
ſtato d’ integrità, ſia nel punto
59LI deſimo in cui internamente percoſſe ſcop-
piavano
.
Dico che le noſtre oſſervazioni fino
ad
ora non ci hanno ſu queſto aſſicura-
ti
punto, perchè da ciò che abbiamo fat-
to
non viene che non poſſano eſſere le
Caraffe
elettriche anch’eſſe, e che qual-
che
fiſico più felice di noi ricercando
non
le poſſa ritrovar tali.
Anzi ardirei
quaſi
aſſerire che lo foſſero malgrado le
noſtre
infruttuoſe diligenze, giacchè ve-
diamo
qualunque altro vetro eſſere ſor-
nito
di queſta attività, e rifonderei piu-
toſto
ſulla difficoltà dell’ eſperienza ge-
loſiſſima
il non averlo noi per anche po-
tuto
ſcoprire.
La natura è troppo fe-
conda
di leggi a noi finora ſconoſciu-
te
, e che di giorno in giorno ſi van-
no
ſcoprendo, perchè ncſſuno ardiſca
più
di eſcludere con ſicurezza alcuno
dei
loro effetti.
Chi avrebbe mai
60LII duto che la carta, il caffè, il pane,
e
tanti altri corpi poteſſero divenir foſ-
fori
, ſe le diligenze infinite dell’ inſtan-
cabile
oſſervatore il Sig.
Bartolomeo
Beccari
noſtro Bologneſe non ce lo aveſ-
ſero
fatto vedere ?
Da tutto queſto può ognuno conget-
turare
, quanta ſomiglianza paſſi tra le
noſtre
Caraffe e le tanto celebri Lagri-
me
Olandeſi, o Pruſſiane, o Venezia-
ne
, le quali quanto francamente ſono
ſtate
finora ſpiegate dai Carteſiani mer-
la loro onnipotente proteiforme ma-
teria
ſottile, altrettanto hanno eſer-
citato
l’ ingegno di quella parte di Fi-
loſofi
, i quali non ſi contentano di
ſpiegare
i fenomeni della natura per un
mezzo
la di cui eſiſtenza non ſi è po-
tuta
ancora da alcuno provare.
Ella
mi
permetta che le ne faccia qui in
poche
parole un parallelo, il quale
61(LIII) virà forſe anch’eſſo a mettere più in chia-
ro
l’una e l’altra di queſte due fiſiche ra-
rità
.
Fannoſi queſte Lagrime come tut-
to
il mondo ſa, col laſciar cadere a
ſtille
il vetro fluido e bollente nell’ ac-
qua
fredda, per la qual coſa ritengono
tutte
generalmente la figura di goccia.
Chi non iſcorge da queſto artificio quell’
ineguale
raffreddamento nelle parti del
vetro
, del quale ſopra a propoſito delle
Caraffe
fatto menzione, sforzando in
queſta
maniera le parti eſterne della La-
grima
ad indurarſi, nel mentre che le
interne
ſervono ancora e ſono infocate?

Romponſi
queſte non altrimenti che le
Caraffe
, egualmente nel pieno che nel
vuoto
della macchina, e romponſi in
conſeguenza
o ſiano immerſe o non ſiano
in
qualunque fluido, e ſe ne ſono, man-
dano
fuori anch’ eſſe nel romperſi che fan-
no
un certo fumo, il quale ſalvo ogni
62(LIV) rore io non credo poſſa eſſere altro, ſe
non
l’ aria entro d’eſſe ocularmente in-
carcerata
.
Se pongonſi ſul foco a roven-
tarſi
, e dopo ſi laſciano all’ aria libera
raffreddare
, ſuppoſto che ſpontaneamente
non
ſi rompano, come ſempre o quaſi
ſempre
ſuccede, perdono la loro attività
di
ſcoppiare, come al contrario langui-
damente
la ritengono, ſe mediocre è il
calore
che loro ſi comunica.
Queſte pu-
re
arruotandole ſcoppiano quando ſi giun-
ge
a toccar colla ruota quella parte in-
teriore
, ove il vetro incomincia ad eſſer
raro
e fragile.
E finalmente queſte non
iſcoppiano
mai ſe non incomincianſi a
rompere
coll’ arte, o troncando loro la
coda
, o logorandole da altra parte.
Poſ-
ſibile
che due eſperimenti di fiſica vada-
no
più d’accordo di queſti?
Che s’ ella
è
così, come certo dall’ eſperienza am-
maeſtrati
vediamo, ragionevole
63(LV) guenza ſarà il dire, che eſſendo queſti
i
medeſimi effetti ſu due corpi ſimili o
quaſi
ſimili, per quello che riguarda
alla
materia, come per quello che riguar-
da
al modo con cui ſi fanno, ragione-
vole
conſeguenza dico ſarà l’ aſſerire,
che
dipendano ancora dalla medeſima leg-
ge
della natura.
Eccole quanto fino ad
ora
a quello ch’io ſo, è ſtato ricercato
ſu
queſta eſperienza ed eccole ancora
quanto
io credo ſufficiente, perchè que-
ſto
fenomeno non debbaſi mettere più in
avvenire
entro gli aſcoſi penetrali del
ſacrario
della Filoſofia.
E me felice ſe
aveſſi
potuto dirle qualche coſa degna
della
ſua approvazione;
imperciocchè
chi
vi è che non ſi compiaceſſe, e non
ſi
gloriaſſe di meritare il ſuffragio da
un
giudice tanto in ogni genere di eru-
dizione
illuminato e celebre?
Ma veniamo all’ altra parte di
64(LVI) ragionamento, la quale le eſporrà come
ſul
principio ho promeſſo, ciò che io
penſo
ſopra quelle palle di vetro vuote
ed
ermeticamente chiuſe, contenenti un
qualche
pezzetto di legno o altro
corpo
ſtraniero.
Io credo che brevemen-
te
le metteremo in chiaro, ſe ſolamen-
te
conſidereremo come le ſi fabbrichino
e
qual coſa loro chiudaſi dentro, e chia-
ro
vedremo onde naſca lo ſtrepitoſo
ſcoppiar
che fanno, quando gettanſi in
terra
o romponſi in qualunque altra ma-
niera
.
Fatta adunque che hanno gli Ar-
tefici
nella ſolita guiſa una palla di ve-
tro
vuota e di mediocre grandezza, la
ſtaccano
dalla canna tagliandola colle
forbici
, e dentro ad eſſa per il taglio
introdotto
un pezzetto di legno della
groſſezza
incirca d’un dito, e poco men
lungo
del ſuo diametro (come moſtra
l’
anneſſa _Fig.
II._) ne chiudono
65(LVII) diatamente l’ apertura, accoſtandola da
quella
parte novamente al foco, dopo
di
averle attaccata dalla oppoſta la verga
di
ferro con cui maneggiarla.
Chiuſa l’
apertura
, la ſcoſtano dal foco ſenza por-
la
nella ſtufa, ed ecco ſe pure ſponta-
neamente
non iſcoppia, fatta quella
palla
che noi qui vogliamo eſaminare.
Da codeſto metodo di fabbricarla, chi
vi
è che non conoſca dipendere tutto
queſto
fenomeno dall’ aria entro di lei
contenuta
e compreſſa, la quale toſto
che
le ſi ſchiude tutto in un momento
il
varco, come faſſi quando ſi rompe,
ſcappa
fuori con impeto ed eccita quel
fragore
che quotidianamente ancora in
varj
inſtrumenti pneumatici ſentiamo ec-
citarſi
, come pur nella polvere fulminan-
te
, nei cannoni, e nelle altre armi a
fuoco
?
Due poi ſono ſe mal non mi ap-
pongo
le cagioni, per le quali l’aria
66(LVIII) tro della palla imprigionata è oltre il
ſolito
compreſſa ed anguſtiata.
L’una è
perchè
dal corpo di legno che in eſſa
rinchiudeſi
, mercè del calore acutiſſimo
che
da ogn’ intorno lo circonda e pene-
tra
, diſchiudeſi l’ aria tutta che entro
di
in gran copia contiene, la quale
non
potendo uſcir fuori della palla per-
chè
già chiuſa, reſta incarcerata malgrado
lo
sforzo che fa per ſortirne.
L’ altra
dipende
dal non mettere la palla nella
ſolita
ſtufa, imperciocchè levata appena
dal
foco indurandoſi queſta e raffreddan-
doſi
nella eſterna ſua ſuperficie, reſiſte
alla
forza che dentro di lei va facendo
l’
aria di mano in mano che ſi va ſpri-
gionando
dal legno rinchiuſo, lo che non
ſuccederebbe
ſe nella ſtufa ſi metteſſe,
perchè
allora perſiſtendo a cauſa del ca-
lore
, nella molezza ancora per qualche
tempo
il vetro, può andare poco a
67(LIX) co cedendo agli urti dell’ aria, che in-
grandendo
la palla ancor tenera, ſi di-
lata
fino al punto dell’ equilibrio del-
la
reſiſtenza del vetro e dello sfor-
zo
che dentro di lui fa l’ aria per
ampliarſi
lo ſpazio.
Da tutto queſto ne
ſiegue
, che quanto più ſarà ripieno d’
aria
compreſſa il corpo che dentro di
lei
ſi rinchiude, maggiore ſarà lo ſtre-
pito
che nel romper la palla faraſſi.
Fra tutti gli altri corpi poi che fan-
no
più ſenſibile lo eſperimento, tro-
vato
che migliori ſono i pezzetti di un
ſottil
ramo di fico verde, come quell’
arbore
che più di ogni altro è ſpugno-
ſo
e di trachee arterie abbondante, per
le
quali come tutte le altre piante fan-
no
, riceve l’ aria e a guiſa degli ani-
mati
viventi reſpira.
Non faccia poi
maraviglia
, che in un picciol corpo
qual’
è un pezzetto di ramo di
68(LX) tant’ aria contengaſi quanta biſognavi a
far
queſto gioco;
perchè gli è impercet-
tibile
a qual ſegno la natura comprima
queſto
fluido vitale nelle piante e nei
frutti
.
Chi di noi non ha veduto, ſenza
toccare
le fiſiche eſperienze, quant’ aria
ſprigioniſi
da un legno che arde, allora
quando
come ce lo dipinge Dante _da_
_un
dei lati geme,_
_e
cigola per vento, che va via?_
Quanta mai da un pomo o da altro frut-
to
, ſe ſopra le brage ponſi a cuocere,
durando
egli alle volte molti minuti a ſof-
fiare
impetuoſiſſimamente a ſegno di fare
alzar
la fiamma ai carboni contra dei
quali
ſoffia?
Ne ſegue al contrario, che in neſſuna
maniera
aumenteraſſi lo ſtrepito, ſe den-
tro
alla palla in vece di legno rinchiudaſi
uno
di quei corpi dai quali o niente o
quaſi
niente di aria potrà ſprigionarſi.
69(LXI) Tali appunto ſarebbero come la eſperien-
za
ciha inſegnato, il ferroe qualunque al-
tro
metallo, il marmoe varj altri corpi di
queſto
genere.
quanto adunque più pic-
cole
ſaranno le palle, e quanto più gran-
de
ſarà il corpo di legno che dentro loro
ſi
ſerra, tanto maggiore ſarà lo ſtrepito
che
nel romperſi daranno, avvertendo per
altro
nel farle, che in queſto caſo fa duo-
po
che ſieno robuſte e groſſe le loro pare-
ti
, perchè troppo ſottili e troppo deboli,
non
reſiſterebbero all urto ed allo sforzo
che
dentro di loro fempre più grande an-
drà
facendo l’aria, e così pria di raffred-
darſi
intieramente ſcoppierebbero da ſeſteſ-
ſe
.
Siccome poi il calore è mezzo forſe
il
più valevole per rarefar l’ aria, così ne
ſeguirà
che ſe porraſſi una di queſte pal-
le
in luogo aſſai caldo, come ſarebbe vi-
ciniſſima
alla fiamma o ſopra i carboni ac-
ceſi
, ſcoppierà queſta probabilmente
70(LXII) po un qualche minuto. L’aria allora che
vorrebbe
pur rarefarſi, e che contro le
pareti
di vetro va ſempre più ſpingendo,
arriverà
finalmente a ſorpaſſare la loro re-
ſiſtenza
, e così romperaſſi la palla, e rom-
peraſſi
con iſtrepito ancora maggiore di
quello
che fatto avrebbe, ſe foſſeſi nel ſo-
lito
modo gettata in terra.
Dico proba-
bilmente
ſcoppierà, perchè con ingenui-
parlando non poſſo aſſerirlo ſicuramen-
te
, non avendo avuto maniera quì in Ger-
mania
per mancanza di fornace vetraria,
di
farne la prova prima di ſcriverle la
preſente
.
Ecco ſpiegato ancora così di paſſaggio
e
per ragione di ſomiglianza quel notiſſi-
mo
fenomeno famigliare per fino ai fan-
ciulli
, per mezzo del quale eſtinguonſi ta-
lora
all’ improviſo e con ſorpreſa dei cir-
coſtanti
in una tavola i lumi, piantando
vicino
al lucignolo della candela per
71(LXIII) zo di uno ſtiletto o punta che da un lato
aver
ſogliono, una di quelle piccoliſſime
palle
di vetro piene di acqua la metà e di
aria
l’altra, e che con nome propriſſimo
ſi
chiamano bombe.
Il calore della fiam-
ma
dilatando allora queſti due fluidi im-
prigionati
e l’acqua ſpecialmente, la qua-
le
per non eſſer capace di coſtrizione ar-
riva
quaſi a riempiere tutto lo ſpazio ed
a
comprimere in medeſima l’aria che a
mole
inſenſibile ſi riduce, sforza dico que-
ſti
due fluidi a fare tale urto contro del-
le
pareti della bomba, che finalmente ce-
de
anch’eſſa, e con uno ſtrepito per la di-
lei
piccolezza incredibile ſcoppiando, il
vicino
lume eſtingue.
Molte altre coſe potrei qui aggiugne-
re
, ſe io non temeſſi di prevenire inutil-
mente
col mio diſcorſo quelle giuſtiſſime
illazioni
, quali non il ſuo ingegno ſolamen-
te
che ciò non ſarebbe gran coſa, ma
72(LXIV) lo di qualunque altro leggitore potrebbe
far
da ſeſteſſo.
Oltre di che troppo lun-
go
ſarebbe ſe voleſſi dir tutto quello che
ſu
queſti vetri potrebbeſi da fiſico ſcru-
poloſo
oſſervatore conſiderare.
Quello
che
in generale può dirſi è, che il vetro
è
uno dei corpi che più di ogni altro
ha
ſomminiſtrato eſperienze e ſempre mai
nove
ſcoperte alla fiſica, e Dio ſa anco-
ra
quante in avvenire ſarà per ſommini-
ſtrarne
.
Chi potrebbe dire per eſempio
che
col tempo non abbiaſi da veder que-
ſto
corpo che ora ad ogni benchè legger
percoſſa
è tanto fragile, ridotto a mag-
gior
durezza, o veramente ad eſſer più
duttile
fuori del foco e maneggiabile?
Certamente che ai giorni noſtri lo ſco-
pritore
di queſto importante ſecreto non
dovrebbe
temere il ſiniſtro incontro che
ebbe
a Roma quell’ altro che al tempo
di
Tiberio pare lo aveſſe trovato, la
73(LXV) officina al riferir di Plinio fu in ricom-
penſa
diſtrutta immediatamente ed abo-
lita
, acciocchè con queſta nova ſpecie
di
vetro non veniſſe a perdere di prez-
zo
l’ argento e l’ oro, che fin da quei
giorni
adornava in gran copia e copriva
le
laute menſe Romane.
Chi può con-
cepir
coſa foſſero mai quelle due tazze
di
criſtallo che al dire dello ſteſſo iſto-
rico
ſividero a Roma nel tempo di Ne-
rone
, e che furono pagate per fino a
ſei
mila ſeſterzj?
Chi mai creduto avreb-
be
(per paſſare ad eſempj più recenti e
meno
ſoſpetti) che il vetro poteſſe giu-
gnere
ad eſſer talmente pieghevole, che
ceder
poteſſe agl’ impulſi dell’ aria non
altrimenti
che una tenuiſſima laſtra di
mettallo
o una membrana?
e pure il Sig.
Lentilio Profeſſore di Filoſofia a Nort-
linguen
fino dall’ anno 1684 nelle Efe-
meridi
di Germania ce lo moſtrò in
74(LXVI)11[Handwritten note 1] le maraviglioſe Caraffe delle quali ei
parla
.
Queſte a quello che dice, (non a-
vendo
io mai avuto la ſorte di vederne
alcuna
, malgrado ogni poſſibile diligen-
za
) ſono di un vetro ſottiliſſimo, han-
no
il collo aſſai lungo e ſtretto e la lo-
ro
capacità piatta, cioè molto più lar-
ga
che alta.
Il loro fondo è ſempre o
all’
infuori conveſſo o all’ indentro con-
cavo
, e ſe è il primo, ponendo all’ ori-
ficio
della Caraffa la bocca e ſucchian-
done
deſtramente l’ aria contenuta, ve-
deſi
che il fondo ritiraſi indentro e con
terribile
ſtrepito di conveſſo ch’ egli era
diventa
concavo.
Reciprocamente ſe al-
lora
ſoffiaſi novamente l’ aria dentro al-
la
Caraffa, ritorna il fondo con ugual
rumore
a diventar conveſſo qual prima.
Quali belle ſcoperte forſe non ſi fareb-
bero
da qualche paziente oſſervatore, ſe
prendeſſe
ad eſaminar la maniera con
75(LXVII)22[Handwritten note 2] queſte ſi fannoe ad ampliarla? Qual van-
taggio
non recherebbeſi alla vita civile
ed
all’economia, e quale comodità nel-
lo
ſteſſo tempo non procaccierebbeſi agl’
indagatori
della natura, ſe togliere un
poco
della ſua rigidezza ſi poteſſe al ve-
tro
, del quale chi vi è che non ſappia
quale
uſo ampliſſimo ſi tragga nella fab-
brica
delle macchine e degli utenſilj del-
la
Fiſica eſperimentale?
Ma forſi trop-
po
tardi mi accorgo che oltre il dovere
io
mi ſono ſcrivendo eſteſo, ed ho non
volendo
perduto quell’ornamento cui ſo-
lo
poteva ſperare, voglio dire il pregio
della
brevita.
Ma mettendo il piede in
una
provincia vaſta e dilettevole,
chi
mai può a mezzo il cammino arre-
ſtarſi
?
Non poſſo qui diſpenſarmi dal dirle,
che
grandiſſima mano coll’opera loro mi
han
dato nella eſecuzione di codeſte
76(LXVIII) fiſiche ricerche, qui in Auguſta l’erudi-
tiſſimo
Sig.
Canonico Giambattiſta Baſſi Bo-
logneſe
attual Conſigliere eccleſiaſtico di
S
.
A. Elettorale di Magonza e di S. A.
S. il noſtro clementiſſimo Padrone, ed
in
Bologna fino da quando io vi era il
dotto
Sig.
Abate Petronio Matteucci A-
ſtronomo
ſoſtituito al celebre Sig.
Euſta-
chio
Zanotti nel Oſſervatorio del noſtro
Inſtituto
delle ſcienze, amici miei tutti
non
meno per la dottrina loro che per
la
lor corteſia e gentilezza cariſſimi.
Già che poi con la menzione della
bella
ugualmente che letterata Verona
io
diedi principio, mi permetta che col-
la
medeſima ancora imponga fine.
Di
coteſta
vaga Città piena di luminoſi re-
ſti
della veneranda Romana antichità,
non
poſſono a meno di non parlare vo-
lontieriſſimo
gli amanti di così fatte co
ſe
una ſol volta che l’ abbian veduta.
77(LXIX) Alloraquando io per coſtì ultimamente
paſſai
, vidi preſſo che finita la nuova e
rara
maraviglia, che tale ſenza far tor-
to
al vero può chiamarſi, della qua-
le
a lei ſolamente la Repubblica lettera-
ria
è debitrice, e per cui non ſarà più in
avvenire
il primo frà le Romane reliquie
ad
eſſer nominato il Veroneſe Amfiteatro.
Parlo del Muſeo incomparabile d’antiche
Inſcrizioni
e baſſi rilevi, da lei raccolto
con
l’applicazione e ricerca di ben trent’
anni
, ſenza riguardo a ſpeſe;
e colloca-
to
non già nel ſuo privato Palazzo, ma
nel
gran Cortile dell’Accademia a bene-
fizio
pubblico.
Sento da molti venuti d’
Italia
, che la nobiliſſima collocazione ſia
già
arrivata a termine, avendovi concor-
ſo
molti ſpiriti nobili, amatori delle co-
ſe
grandi.
Mi dicono che fa ora un bel-
liſſimo
vedere il portichetto da lei archi-
tettato
con 50 colonette Doriche
78(LXX) no intorno per difeſa di così dotte an-
ticaglie
e per comodo di chi le vuole oſ-
ſervare
.
Chi crederebbe mai di poter ve-
dere
meſſe inſieme cento Inſcrizioni Gre-
che
, poco manco numero di pezzi figu-
rati
, quattro Arabiche, 25 Etruſche ſciel-
te
fra le quali cinque rilevi iſtoriati d’
alabaſtro
di Volterra.
Io confeſſo che
reſtai
ſorpreſo e ſtupito, nel ritrovar le
Romane
ordinate e diviſe in claſſi, con
tante
votive, tante imperatorie, tante
militari
, tante pertinenti a dignità e ma-
giſtrati
, a ſpettacoli, ad arti e meſtieri,
e
due belle in metallo.
E poi le Cri-
ſtiane
, e una ſerie di medio evo fino
al
1300 In ſomma io tengo che la ſua
patria
doverà col tempo niente meno la
ſua
fama a lei che a Catullo, a Plinio,
e
a tanti altri che in ogni tempo ha
avuti
.
Saviamente la noſtra Accademia
delle
Scienze volle annoverarla nel
79(LXXI) numero come prima quella d’Inghilterra e
la
Reale di Francia.
E ben ella colle varie ſue opere e fi-
ſiche
ed erudite ſa rendere a tali Acca-
demie
tutto quel luſtro che ne ritrae.
Io
le
auguro tranquilità ed ozio opportuno
per
dar compimento quanto volge in men-
te
ſopra _la forza del fuoco_, materia che darà
forſe
motivo a qualch’ altra eſperienza
con
la ſua gran lente uſtoria, della qua-
le
io non ho veduta la più grande.
Un
dotto
amico qui al quale ne ho parlato,
molto
maraviglia, come codeſta all’in-
contro
delle due famoſe di Fiorenza e
di
Parigi, ſia di due pezzi, fra i quali
perchè
abbrugi s’ infonde acqua o altro
liquore
.
Ed un altro che ha veduto il
libretto
delle _Oſſervazioni della Cometa, e_
_delli
due Ecliſſi Lunari_, fatte in Verona nel-
la
di lei Specola dalli Signori Gian-Pao-
lo
Guglienzi, e Seguier, con le
80(LXXII) hanno determinata la longitudine di Vero-
na
preciſamente, non ſa ſaziarſi di lodarlo.
Ma io non farei mai fine, e mentre ſer-
vo
al piacere di trattenermi ſeco, non
conſidero
di quanto le ſono nojoſo;
però
altro
non aggiungo.
81
DELLA
DIVERSA
VELOCITA' DEL SUONO.
ALTRA
LETTERA
82
[Empty page]
83LXXV
SIGNOR MARCHESE
NOn credeſſe ella già che
io
mi foſſi dimenticato,
che
tra i moltiſſimi debi-
ti
che io ho con lei,
ho
quello ancora di nar-
rarle
l’ iſtoria di quelle oſſervazioni
che
io feci per l’ Accademia noſtra
dell’
Inſtituto circa la propagazione del
ſuono
.
Così mi foſſe facile il ſod-
disfare
a quelli, come mi ſarà a
84LXXVI ſto. Facciamolo adunque brevemente,
e
ſuppliſca queſto pregio alla mancan-
za
di tanti altri, perchè prevedo già
che
queſta mia lettera nata in mezzo a
mille
altri penſieri, tale ſarà per avven-
tura
, che avrà biſogno di queſto benchè
povero
e ſcarſo merito.
Da lunghiſſimo tempo in qua hanno
conoſciuto
gli Uomini propagarſi il ſuo-
no
ſuceſſivamente, e ſentirſi aſſai più
preſto
nei luoghi vicini al ſuo princi-
pio
, di quello che ſentaſi nei luoghi lon-
tani
.
Seneca nelle ſue naturali quiſtioni
ſerveſi
di queſta notizia per fare animo
a
quelli che al rumore di grave tuono
tremano
da capo a piedi, e temono il
fulmine
che credono uſcire in quel mo-
mento
dalle nubi e cader ſopra il tetto
della
lor caſa.
Ei dice che neſſuno è
ſtato
mai ſpaventato dalla folgore, ſe
non
dopo di eſſere già dal pericolo
85LXXVII pato, volendo dire con ciò, che il di lei
ſtrepito
per la lentezza ſua nel propagar-
ſi
, non giugne all’ orecchio noſtro, ſe
non
dopo che il foco dalle nubi lancia-
to
nello ſteſſo momento, ha diroccata
quella
Torre, od atterrata quella Rove-
re
ſu cui a ſorte andò a cadere.
Quindi
Plinio
ci dice, cheFulgetrum prius
cerni
quam Tonitrum audiri (cum ſi-
mul
fiant) certum eſt
Se queſti ingegnoſiſſimi Filoſoſi dell’
antichità
foſſero però viſſuti ai giorni
noſtri
, ed aveſſero letta la di lei lettera
al
Valliſnieri, avrebbero mutato parere, ed
avrebbero
conoſciuta la verità nell’ eſpe-
rienza
ch’ ella ne fece a Foſdinuovo,
e
nelle ragioni che conſeguirono al te-
ſtimonio
degli occhi.
Benchè ſi conoſceſſe adunque che il
ſuono
nell’ andare dall’ uno ad un’ altro
luogo
impiegava una parte di
86LXXVIII ſenſibile, neſſuno ch’ io ſappia ha però
nei
ſecoli andati avuta mai la curioſità
d’
indagare quanto queſta eſſer doveſſe.
Gaſſendo in Francia s’io non erro, fu il
primo
che volſe l’ animo a tal penſiero,
ed
a forza di oſſervazioni determinò vo-
lervi
un minuto ſecondo di tempo, per-
chè
il ſuono ſcorreſſe mille e quattro-
cento
ſeſſantatrè piedi di quel paeſe.
Gli
Accademici
di Firenze come ella ſa, non
contenti
di queſta aſſerzione, vollero
queſte
ed altre oſſervazioni replicare an-
ch’eſſi
in Toſcana eſattamente, e tutte
ſono
regiſtrate nel libro elegantiſſimo di
eſperienze
da loro laſciatoci.
Trovarono
adunque
che percorreva lo ſpazio di pie-
di
1175 in un minuto ſecondo, differen-
za
aſſai ſenſibile riſpetto a quelle del
Gaſſendo
.
I Signori Caſſini, Picard, Ro-
mer
, Huygen in Franciae altrove, volle-
ro
anch’ eſſi accertarſi di queſto
87LXXIX e replicate le eſperienze, trovarono che
in
un ſecondo di tempo ſcorreva il ſuo-
no
la lunghezza di 1080 piedi del Re.
Gl’Ingleſi con quello ſpirito di diſſiden-
za
a cui di tante belle ſcoperte nella
ſiſica
ſiam debitori, inſtituirono una nuo-
va
ſerie di oſſervazioni nell’ Inghilterra
eſeguite
dai Sig.
Flamſted, Halley ed al-
tri
, e riferite nelle Tranſazioni Anglica-
ne
nel meſe di Gennajo dell’ anno 1708,
e
con eſſe determinarono, che il ſuono
impiegava
il ſolito tempo di un ſecondo
per
iſcorrere 1142 piedi d’ Inghilterra,
miſura
non molto diſtante dalla già tro-
vata
in Francia.
La dilicatezza Ingleſe,
la
quale non ſi è mai quietata quando
in
tutte le ſcienze non ha fatto un paſ-
ſo
più avanti, non contentoſſi pur
queſta
volta di una tale determinazione.

Soſpettarono
quei diligentiſſimi ſiloſofi,
che
le differenti coſtituzioni dell’ aria
88LXXX teſſero influire ancora qualche cangia-
mento
ſopra il ſuono, ed oſſervaronlo
in
varj ſtati dell’ atmosfera ed in varie
ſtagioni
dell’ anno.
Dopo lunghe e dili-
gentiſſime
prove, determinarono finalmen-
te
eſſer coſtante la velocità del ſuono in
qualunque
vogliaſi congiuntura, e anda-
re
egualmente celere ſia ſereno il cielo
o
nuvoloſo, cada pure la pioggia o ne-
vichi
, ſiaſi eſtate o inverno.
I venti ſol-
tanto
parre che turbaſſero l’ univerſalità
di
queſto canone, dicendo che ſe ſpira-
no
a ſeconda del ſuono lo fanno anda-
re
un poco più preſto, o lo ritardano
ſe
la lor direzione a queſto è contraria
Su queſte oſſervazioni, tralaſciandone
varie
altre fatte dal Padre Merſan, dal
Padre
Lana, dal Sig.
Perrault e da al-
tri
, ſi acquietarono i filoſoſi lo ſpazio
almeno
di una trentina d’ anni, allora-
quando
l’ anno 1738 terminarono
89LXXXI Parigi di tornare un poco a ricercare
queſta
quaſi abbandonata provincia.
II
Sig
.
Caſſini di Toury, il Sig. Maraldi,
il
Sig.
Abate de la Caille ed altri Ac-
cademici
delle Scienze ne furono incari-
cati
.
Le Memorie di quell’inſigne Acca-
demia
narrando in quell’anno per eſteſo
tutto
quello che fecero, mi diſpenſano
dal
replicarne qui l’ iſtoria.
Dirò ſolo
che
le loro oſſervazioni determinarono,
che
il ſuono ſcorre 173 Teſe in ogni
ſecondo
il che equivale a 1038 piedi fran-
ceſi
;
che confermarono l’ oſſervazione del
Flamſted
e dell’ Halley, chei venti ſecon-
di
o avverſi alterano la celerità del ſuono,
come
non lo alterano punto ſe ſpirano
ad
angoli retti ſopra la ſua direzione;
confermarono non eſſervi differenza alcu-
na
tra la celerità del ſuono nel tempo
ſereno
e nel piovoſo, nella notte e nel
giorno
, e in varie altre circoſtanze.
90LXXXII
Prima che a noi in Italia giugneſſe
queſta
notizia, che ſolo giunſeci dopo
la
ſtampa degli Atti di quell’ accademia,
avendo
io letto le Tranſazioni anglica-
ne
, vennemi voglia l’anno 1740 di pro-
vare
in Bologna alcuna delle oſſervazio-
ni
che fecero a Londra, e ſpecialmente
quella
per cui dicono non aver’ eſſi tro-
vato
divario alcuno tra la celerità del
ſuono
nell’ Inverno e nell’Eſtate.
Pareva-
mi
ſtrano che eſſendo nel rigido freddo
l’aria
condenſatiſſima riſpetto alla rarefa-
zione
che aver dee nel caldo dell’ eſtate,
parevami
ſtrano dico, che neſſuna doveſ-
ſe
poi trovarſi nel ſuono che dai di lei
tremori
è propagato.
La ſtagione caldiſſima che già inco-
minciava
a farſi ſentire, parve invitar-
mi
a mettere all’ opera il già diviſato
penſiere
, cioè a provare quale celerità
aveſſe
il ſuono nell’ eſtate, per
91LXXXIII narla poi con quello che avrei trovato
nell’
inverno venturo.
Eccole i luoghi
che
determinai per fare le oſſervazioni.
La fortezza Urbana poſta ſu le frontiere
del
Modoneſe fu l’uno, l’altro fu il Con-
vento
dei Padri Zoccolanti dell’ oſſervan-
za
.
Giace la prima ſu la ſtrada maeſtra che
conduce
a Modona in una pianura preſſo
a
poco a Ponente-maeſtro di Bologna,
ed
è il ſecondo ſu una collina al Mezzodì
di
una parte della Città, luogo aſſai ſco-
perto
.
Determinai queſto Convento, pri-
ma
perchè da lui chiariſſimamente ſcor-
geſi
anche ſenza cannocchiale la fortez-
za
, malgrado la diſtanza di tredici e più
delle
noſtre miglia;
ſecondariamente per-
chè
non è lontano dalla Città che il pic-
col
viaggio di una mezz’ ora in circa.
La bontà e corteſia di Monſ. Gian-
Carlo
Molinari Vicelegato allor di Bolo-
gna
, il quale con infinito amore e
92LXXXIV ralità protegge e ſeconda gli ſtudj tutti
e
le belle arti, mi fornirono tutti i mezzi
neceſſarj
per le mie oſſervazioni.
Imper-
ciocchè
ei diede ordine che al giorno da
me
creduto opportuno, ſi ſparaſſero al-
la
fortezza tanti cannoni quanti io av-
rei
creduto neceſſarj pel biſogno noſtro.
La notte adunque che precedeva i dicia-
nove
di Agoſto, accordai che foſſe ſta-
bilita
per notare dall’Oſſervanza la cele-
rità
con cui il ſuono di un cannone co-
ſparato ſarebbe giunto all’ orecchio
noſtro
.
Pregati il Sig. Euſtachio Zanotti e il Sig.
Abate Petronio Matteucci, ambo Aſtro-
nomi
dell’oſſervatorio noſtro dell’Inſtitu-
to
ed amici miei ornatiſſimi a venir me-
co
verſo la ſera al Convento ſtabilito,
vi
portammo un’ orologio aſtronomico
a
cicloide, che batteva eſattiſſimamente
i
ſecondi.
Ella avrebbe riſo ſe ci
93LXXXV veduti circondati da tutti tutti i Frati di
quel
Convento, ai quali la novità della
coſa
e la curioſità non permetteva l’an-
dar
quella notte a letto ad aſpettare
dormendo
il ſegno del mattutino.
Avvez-
zi
quei buoni Padri ad un’ altro genere
di
fiſica, non potevano capire come noi
chiamaſſimo
ricerche fiſiche codeſte ma-
teriali
oſſervazioni, e raccontavaci ogni-
un
di loro quello che credeva poterci in
eſſe
dar lume.
Fra queſte novelle aſpettavamo l’ ora
del
primo ſtrepito del cannone, giunto il
quale
raccomandandoci con premura che
quei
buoni Padri aveſſero la bontà di oſſer-
vare
in avvenire quel ſilenzio che tanto a lo-
t
o più che ad altri doverebbe eſſer facile,
vedemo
finalmente nell’ oſcuro della notte
lampeggiare
ſull’ orizzonte il foco del can-
none
.
Cominciaronſi allora a contare i
ſecondi
, arrivò a noi il ſuono
94LXXXVI ma che contando al ſettanteſimo ſeſto
non
foſſimo giunti.
Replicoſi per quattro
volte
in quella ſera l’ oſſervazione, e in
tutte
vedemmo eſſer coſtante la celerità
del
ſuono, ed impiegare un minuto e ſe-
dici
ſecondi eſattiſſimi per venire dalla
fortezza
Urbana al Convento.
Ciò fatto perchè non reſtaſſe dubbio
alcuno
della giuſtezza e puntualità del
pendolo
noſtro, da cui tutta dipendea
la
certezza del noſtro eſperimento, lo
portammo
all’ oſſervatorio, dove con eſ-
ſo
notoſſi il numero dei ſecondi che
intercedevano
tra il paſſaggio di due ſtel-
le
vicine pel filo orario di un cannocchia-
le
in meridiano, per vedere ſe egual nu-
mero
di ſecondi ci darebbe, come vera-
mente
ci diede, e ciò ſia dtto adeſſo
per
allora, nell’ inverno replicando que-
ſto
aſtronomico confronto.
So che alcu-
ni
ſi maraviglieranno di una
95LXXXVII tanto ſcrupoloſa, quaſichè per l’ allun-
gamento
o l’ accorciamento dei pendoli
nelle
ſtagioni più o men calde, aveſſe
potuto
naſcere differenza ſenſibile nel pic-
ciol
tratto di ſettanta in ottanta vibra-
zioni
.
Ma ſe penſeranno che non ſem-
pre
ſi prendono precauzioni per il biſo-
gno
di prenderne, ma talvolta ancora
per
prevenire le obbiezioni che taluno
far
potrebbe, tanto più che nelle oſſer-
vazioni
fiſiche non è mai dannevole lo
avere
ſoverchia diligenza, vedranno che
non
ho avuto torto a farlo.
Quando facemmo l’ eſperienza era in-
tieramente
ſereno il cielo, vento al-
cuno
a quel che parvemi facevaſi a noi
d’intorno
ſentire, quando pur non met-
taſi
a conto un leggeriſſimo alito di
aria
, che alle volte dalla banda di Mae-
ſtro
ſentivamo, del che per altro ſcru-
poloſamente
parlando potremmo
96LXXXVIII dubitare. I1 Barometro era a ventotto
dita
ed una linea, ed il Termometro
di
ſpirito di vino giuſta la diviſione del
Sig
.
di Reaumur, era a venti gradi ſopra
del
ghiaccio.
Altro più non reſtavaci a fare che
aſpettar
l’inverno, per replicare in quel-
la
ſtagione le noſtre oſſervazioni.
Ven-
ne
queſto adunque, e venne rigido a tal
ſegno
, che quaſi ci pentimmo di averlo
deſiderato
.
La notte precedente i ſette di Febbrajo
dell’
anno 1741 fu la determinata da noi
per
le noſtre eſperienze.
Monſignor Mo-
linari
colla ſolita gentilezza e bontà die-
de
novamente gli ordini alla fortezza,
acciocchè
alle tre della notte ſi ſparaſſero
altri
quattro cannoni ſul baſtione mede-
deſimo
ſu cui ſparati gli avevamo l’
eſtate
ſcorſa.
Avendo mandato avanti
l’
orologio come ſopra ſi è detto
97LXXXIX rettiſicato, andammo la ſera al ſolito
Convento
, il Sig.
Euſtachio Zanotti il
Sig
.
Matteucci ed io, anzi il Sig. Con-
te
Fulvio Bentivoglio Senatore ed ora
noſtro
Ambaſciadore alla Corte di Ro-
ma
, per l’ amore che porta alle Scien-
ze
, e per la bontà che ha ſempre avu-
to
per noi oſſervatori, volle venire con
noi
, e con tutti i mezzi poſſibili ren-
derci
più agevole il viaggio, e più
ſoffribile
la rigidezza della ſtagione.
Fu
preſente
anche queſta volta la corona
medeſima
dei Padri dell’ eſtate paſſata,
non
meno di allora eloquenti e curioſi.
Tenendo tutti noi gli occhi immobili
all’Occidente
, vedemmo all’ora accorda-
ta
il lampo del foco alla fortezza, nel
qual
momento cominciammo a numerare
i
ſecondi dell’ orologio.
Queſti non fu-
rono
già ſettantaſei come l’ anno avan-
ti
, ma furono ſcttantaotto, e
98XC coſtantemente per tutte quattro le volte
che
replicoſſi l’ eſperienza.
Non era in
quella
notte intieramente ſereno il Cie-
lo
, imperiocchè quinci e quindi nubi ſtrac-
ciate
, che data avevano poche ore a-
vanti
neve, in parte lo ricoprivano.
Spirava un Ponente alquanto forte, il
Barometro
era all’ altezza di ventiſette
dita
e ſei linee, ed il ſolito Termome-
tro
era un grado e due decimi ſotto
del
ghiaccio.
Queſte due oſſervazioni
adunque
che io le do per eſattiſſime,
dovrebbero
farci credere eſſervi qualche
divario
tra la velocità del ſuono nell’
eſtate
e nell’inverno.
Io credeva già finite le mie eſperien-
ze
almen per allora, quando l’ acciden-
te
mi fornì il comodo per farne un’ al-
tra
.
Imperciocchè eſſendo io aſſai lieto
di
avere trovata queſta allora inſperata
differenza
, non voleva perdere alcuna
99XCI caſione per trovarne, o almen cercarne
delle
altre.
Avendo veduto eſſere dopo
cominciata
una nebbia denſiſſima coſtan-
te
per alcuni giorni verſo la ſera, de-
terminai
di ſervirmene nell’uſo fiſico, e
di
provare anche in queſta coſtituzione
di
aria la celerità del ſuono.
Ma non
era
agevole queſta ſeconda eſperienza
come
furono le prime, giacchè nella ce-
cità
della nebbia denſiſsima non era poſ-
ſibile
vedere il foco lontano tredici mi-
glia
.
Eccole il metodo di cui io mi
ſervij
.
Feci portare al conſueto Conven-
to
la giornata dei dodici di Febbrajo,
che
era talmente nebbioſa, che non di-
ſtingueanſi
per modo alcuno gli oggetti
ne
pure nella piccola diſtanza di dieci
o
dodici piedi;
feci portare dico il ſoli-
to
orologio, ed un cannone aſſai groſ-
ſo
, conceſſomi dalla bontà del Sig.
Con-
te
Filippo Aldrovandi, e del Sig.
100XCII cheſe Paolo Magnani Senatori ampliſsi-
mi
della noſtra Città, e grandiſsimi pro-
tettori
degli ſtudj.
Dopo di avere con-
certato
il tutto col Sig.
Euſtachio Za-
notti
e col Sig.
Matteucci, ſollecitamen-
te
mi portai alla fortezza noſtra, dive-
nuta
ormai un’Oſſervatorio di fiſica.
Sa-
lirono
intanto queſti il colle dell’ Oſſer-
vanza
col Sig.
Conte Fulvio Bentivoglio,
che
non ozioſo ſpettatore, ma oſserva-
tore
anch’egli diligentiſsimo eſser volle.
All’ ora prima della notte eſsendo tutta-
via
l’ aria più che mai nebbioſa, ſparoſ-
ſi
al convento il cannone portatovi,
dal
qual momento cominciaronſi a nu-
merare
i ſecondi del pendolo.
Giunto
immediatamente
che ne fu il ſuono al-
la
fortezza, dove io era coi bombardieri
tacitamente
ad aſpettarlo, ſparoſſi ſubi-
to
un’ altro cannone che avevamo
già
a queſt’ uopo preparato.
Quelli
101XCIII ſopra il monte al Convento oſſervava-
no
, e che già avevano incominciati a
contar
i ſecondi dallo ſparo del lor Can-
none
, proſeguendo a numerarli perſinchè
giugnea
loro all’ orecchio lo ſtrepito di
quello
che ad eſſi per così dire dalla for-
tezza
riſpondea, li trovarono 157 eſat-
tiſſimamente
per tutte le quattro volte
che
replicoſſi in quella ſera lo ſparo.
Ma come che alla fortezza non era poſ-
ſibile
lo ſparare il cannone nell’ iſteſſo
iſtante
che ſentivaſi il ſuono dello ſpa-
rato
al convento, così biſognava tenere
pur
conto di queſti momenti, che mal-
grado
ogni diligenza non potevano non
isfuggirci
.
Di queſto appunto io mi era
incaricato
, e tutte quattro le volte, tan-
ta
fu la preſtezza di quei bombardieri,
non
oltrepaſsò mai lo ſpazio di tre ſe-
condi
.
Era quietiſſima l’aria intieramen-
te
, non ſentendoſi in alcuno di
102XCIV due luoghi vento alcuno, come oſſerva-
ſi
nelle nebbie denſiſſime;
era il Barome-
tro
all’altezza di ventotto dita e quat-
tro
linee, ed il Termometro al punto
del
ghiaccio.
Dal che ella vede adun-
que
, che ſe alla ſomma di cinquantaſet-
te
ſecondi ſottraggonſi i tre perduti nel
dar
foco al cannone, ſi avrà la ſomma
del
tempo ſpeſo dal ſuono nell’ andare
dal
Convento alla Fortezza, e nel tor-
nare
dalla Fortezza al Convento.
E ſe
queſta
ſomma divideſi in mezzo, avraſſi
il
tempo ſpeſo nell’ andare dall’ uno all’
altro
di queſti due luoghi, la quale ſarà
di
ſettantaſette ſecondi.
Da queſto parrebbe che poteſſe inſe-
rirſi
, che neſſuno o almen poco cangia-
mento
nella propagazione del ſuono fa-
ceſſe
la nebbia benchè denſiſſima, imper-
ciocchè
gli è ben vero che il ſuono fu
più
celere in queſta oſſervazione di
103XCV ſecondo e mezzo, ma gli è altresì vero,
che
il freddo che era la ſera dei ſette,
era
già diminuito ſenſibilmente.
Eccole l’ iſtoria delle poche ricerche da
me
fatte circa la propagazione del ſuo-
no
.
Ma non per queſto creda ella già
che
voglia ancora far ſine a queſta mia
lettera
.
Voglio aver l’ onore di tratte-
nermi
tuttavia un poco con lei, perchè
mi
parrebbe di mancare al dover mio,
ſe
non le diceſſi ancora quello che di
queſte
ricerche io mi creda.
Le aggiu-
gnerò
adunque quelle riſleſſioni che mi
debbono
mettere in ſalvo da quella tac-
cia
, che ſe nol faceſſi taluno dar potreb-
bemi
di troppo amante delle coſe mie.
Io credo che di tutte le oſſervazioni
ſiſiche
non ſiavene alcuna, che più di
queſta
ſia diſſicile ad eſſere eſattamente
eſeguita
, e in tal maniera che da eſſa
ſi
poſſa concludere ſinalmente
104XCVI canone deciſivo. La diverſità che tro-
vaſi
frà tutti gli eſperimenti che ſinora
ſonoſi
fatti, parmi che ſervir poſſa di
contraſegno
aſſai convincente a queſto
mio
aſſerto.
Imperciocchè chi vorrà di-
re
che gli Accademici di Toſcana (non
parlo
del Gaſſendo, perchè veramente e-
gli
ſi è tanto da gli altri dilungato, che
non
ſo trovare maniera di ſalvarlo) il
Perrault
, il Caſſini vecchio, Piccard,
Romer
, Huggen, Flamſted, Halley, Caſ-
ſini
di Toury, e tanti altri che ci han-
no
laſciate leggi più o meno l’una dall’
altra
diverſe, abbiano oſſervato negligen-
temente
, e tutti ſieno caduti in errore?
che deeſi adunque da queſto conclude-
re
?
che la velocità del ſuono non biſo-
gna
che ſia eguale in ogni paeſe o in
ogni
ſtagione, e che tante circoſtanze di-
verſamente
combinate concorrano a can-
giarla
, che non ſarà poſſibile ridurle
105XCVII in pratica a legge coſtante. Quindi for-
ſe
tante differenze anche in avvenire ſi
troveranno
, quante ſaranno le oſſerva-
zioni
che ſu queſto ai Fiſici dopo di
noi
verrà in penſiero di fare.
Ella abbia
la
bontà di meco conſiderarne alcuna,
e
vedrà che forſe non molto lunge dal
vero
mi appongo.
La velocità del ſuono eſſendo eguale
alla
celerità dell’onde ſonore delle par-
ticelle
dell’aria, anzi ben conſiderando-
la
, non eſſendo il ſuono altro che una
ſucceſſiva
comunicazione di moto per tut-
te
le particelle di aria poſte d’intorno
al
corpo ſonante, ne ſeguirà che qua-
lunque
cauſa capace di alterare la cele-
rità
di queſte onde ſonore, altererà al-
tresì
la celerità del ſuono.
Si moſtra nel-
la
Fiſica, che l’ito e redito delle par-
ticelle
elaſtiche dell’aria che muovonſi
nella
legge degli archi di Cicloide,
106XCVIII più o meno veloce, giuſta la maggiore
o
minore loro elaſticità.
Ma queſta ela-
ſticità
può moſtrarſi che ſta in ragione
della
denſità, la quale ſtando in ragio-
ne
del peſo dell’ atmosfera, farà che an-
che
in ragione di lui ſtia l’ eleſticità.
Tutte le coſe in conſeguenza che va-
rieranno
, o il peſo dell’atmosfera, o qua-
lunque
altra di queſte circoſtanze, che
continuamente
certo da varie e differen-
ti
cauſe eſterne ſi vanno cangiando, mu-
teranno
ancora la celerità del ſuono.

A
queſte anomalie dovrebbonſi aggiugner
quelle
ancora che poſſono naſcere dai
corpi
eſteri, che alle volte all’aria ſi uni-
ſcono
, come ſono le eſalazioni ed altro,
delle
quali chi potrà mai calcolar tutti
gli
effetti?
Ma ſe altri impedimenti non
vi
foſſero che queſti a fare eſperienze
ſicure
ſopra la velocità del ſuono, pa-
zienza
;
perchè almeno dal primo
107XCIX rebbeci il Barometro coll’indicarci il pe-
ſo
dell’ atmosfera.
La maggior diſſicoltà
conſiſte
nelle irregolarità che naſcono
a
cagione dei Venti, i quali ſpirando
movono
più o meno l’ aria.
Da qual-
che
tempo in qua è vero ſi ſa, che i
venti
che ſpirano o a ſeconda, o con-
tra
il ſuono, accelerano o ritardano il
ſuo
corſo;
ma di quanto ſia queſto
cangiamento
, neſſuno ancora ha potuto
determinare
giuſtamente.
Il Sig. Mariot-
te
pretende, che il vento più veloce non
iſcorra
che trentadue piedi in un ſecon-
do
di tempo.
Se queſto foſſe, ſcorrendo-
ne
il ſuono mille e quaranta in circa,
parerebbe
che poco diſturbo poteſſe te-
merſi
dal vento, e tale, che non foſſe
per
avventura poſſibile accorgerſene ſe
non
in lunghiſſimi ſpazj.
Ma le oſſerva-
zioni
degli altri, e ſpecialmente del Der-
haam
, benchè degne anch’ eſſe di
108C eſame, moſtrando eſſere aſſai veloci i ven-
ti
, fanno crederci che più ſenſibile anco-
ra
ſarà l’ impreſſione, o il cangiamento
che
far debbono ſu la preſtezza del ſuo-
no
.
Ma come mai determinarlo? donde
abbiamo
noi notizie ſuſſicienti per iſtabilire
qualche
coſa di certo ſopra di loro?
Tra
le
oſſervazioni ſiſiche che hanno fatte
gli
antichi, non ſo ſe alcuna ſiane più
coltivata
di quelle dei venti:
di eſſi parla
ſino
Omero, alcune e varie coſe ne por-
ta
Columella, Vitruvio, Strabone, Apu-
lejo
, e moltiſſime Plinio, ſenza parla-
re
della famoſa ottangola torre o caſa
dei
venti, che tuttavia vedeſi a Atene
fabbricata
dicono ſino da Andronico Ci-
reſte
, intorno alla quale indicava con
una
verga di ferro i venti che ſpirava-
no
un volubile Tritone di bronzo, che
ſtava
nella punta del tetto.
E pure da
quel
tempo ſino ad ora, malgrado le
109CI te diligenze dagli antichi e dai moder-
ni
uſate, non ſi può determinare coſa
neſſuna
di certo della lor velocità.
Riſ-
petto
agli antichi, pare che non ſia
pur
loro paſſato per la mente di ricer-
carla
, benchè abbiano ſino ſcoperto (chi
lo
crederebbe?)
eſſervi alcun vento che
ajuta
la fecondità, o pure al dire di
Plinio
, che fa pianger gli occhi alle pe-
core
.
Per potere adunque aſſodar qualche
coſa
circa la velocità del ſuono, biſogne-
rebbe
poter calcolare ancora tutte le al-
terazioni
ch’ ei può ſoffrire dal vento,
non
ſolo nel loco da dove ei parte e
in
quello ove ſtaſſi ad oſſervare, ma an-
cora
per tutto lo ſpazio che egli ſcor-
re
tra l’ uno e l’ altro.
Ora quale dei
Fiſici
ci ha per anche determinato allor-
chè
ſpira un vento, maſſime variabile
e
incerto in un luogo, ſin dove
110CII eſſo eſtendere? Il Sig. di Muschenbroek,
che
più di ogni altro ci ha dato un ca-
pitolo
aſſai diligente ſopra i venti nel
ſuo
ſaggio di ſiſica, non ce ne fa ne pu-
re
una parola:
forſe che non gli ſarà
men
paſſato per la mente.
Ogni ragio-
ne
ed ogni eſperienza ci inſegna, eſſere
probabiliſſimo
che ſia queſta una gran-
diſſima
confuſione per l’ aria.
Vediamo
pure
alle volte ſpirare un vento ad un’
altezza
in un luogo, mentre che nel me-
deſimo
ſpirane un’altro oppoſto ad altra
altezza
.
Quindi veggonſi alle volte le
nubi
più alte andare a Borea, nel tem-
po
che le più baſſe ſono ſoſſiate all’
Auſtro
.
L’ agitazione che vedeſi in un
lago
di aqua ſe movonſi le onde impe-
tuoſamente
, può farci argomentare qual-
che
coſa di ſimile nell’ atmosfera.
Le on-
de
dirette ſi oppongono alle riſleſſe, e
naſcene
una terza obbliqua nel
111CIII che in piccola diſtanza ve ne ſono dell’
altre
di oppoſta direzione.
Nell’ aria ſuc-
cede
l’iſteſſo, ed alle volte crederemo a
cagion
di eſempio, che ſpiri un Greco
levante
, quando non ſarà che un Oſtro
ed
un Ponente, che ſi urtano con egual
forza
inſieme.
Non oſtante che vedeſi
andare
il ſuono con eguale celerità a
diverſe
altezze del Barometro, chi può
ſicuramente
dire, come taluno benchè
diligentiſſimo
oſſervatore ha detto, che
il
differente peſo dell’ aria non muta pun-
to
la celerità del ſuono, ſe non ſi fan-
no
le eſperienze in diſtanze grandiſſime,
e
non ſi computi ancora qualunque al-
terazione
che nel viaggio può avere ſof-
ferta
il ſuono dai varj venti che può
avere
incontrato?
Quando è mai quel
tempo
in cui l’ aria non abbia alcun mo-
vimento
?
Da tutte queſte coſe ella può ben
112CIV getturare, che io non ſono quì per pre-
tendere
che le mie oſſervazioni ſieno
ſtate
eſenti da queſti pericoli, che ſono
e
ſaranno comuni a tutti gli oſſervato-
ri
.
Solamente le dirò, che fortunatamen-
te
come ſopra le ho indicato, le due
ſere
nelle quali feci l’ oſſervazione eſti-
va
e l’ invernale (almeno ſul colle ove
eravamo
noiad oſſervare) i venti non do-
vevano
in modo alcuno diſturbare i no-
ſtri
eſperimenti.
Imperciocchè alla prima
oſſervazione
, che diedeci il ſuono più
veloce
della ſeconda, o non ſentivaſi
vento
alcuno all’ intorno di noi, o ſe
ſentivaſi
pure, era talmente dubbio e in
conſeguenza
leggero, che neſſun ſenſibi-
le
cangiamento avrebbe dovuto indurre
ſulla
celerità del noſtro ſuono.
Nella ſe-
conda
ſpirava un forte Ponente il quale
doveva
pur ſecondare il ſuono, che a
noi
veniva poco dalla ſua direzione
113CV ſtante, e pure ella ha veduto, che ci
venne
più tardi.
Replico che queſto era
il
vento che ſpirava nel luogo in cui
oſſervavamo
.
Biſognerebbe cred’io per poter decidere
qualche
coſa;
poter fare le oſſervazioni
del
ſuono in uno di quei paeſi ove il
vento
è coſtante, per non temere che
gl’
intermedj poteſſero concorrere a di-
ſturbarle
.
Ma queſti per diſgrazia non
ſono
che tra i Tropici e nei luoghi
giuſto
ove tutto è mare, e dove certo
non
ſaravvi mai alcuno oſſervatorio.
Biſognerebbe altresì farle in luoghi aſſai
diſtanti
, perchè nelle picciole lontanan-
ze
come ſinora ſi è fatto, poco ſi ren-
dono
ſenſibili le differenze ſe pur vi ſo-
no
, e faciliſſimamente poſſono sfuggire
all’
orecchio il più attento, quand’ an-
che
foſſe quello di quel felice oſſervato-
re
, che aſſeriſce di avere udito in un
114CVI ardino l’ eco aſſai più tardo dell’ ordi-
nario
, allo ſpirar di un vento oppoſto al
muro
che il producea.
Allora che
una
ſola eſperienza o due potrebbero
metterci
in chiaro della celerità non ſo-
lamente
del ſuono, ma ancora di quel
vento
che colà ſoſſia.
Per darne un e-
ſempio
, nel Mare del Meſſico ſpira quaſi
continuamente
un vento di Levante.
Se
nella
punta dell’ Iſola Spagnuola che
guarda
l’Occidente ſparaſſeſi un Canno-
ne
, e ſe ne oſſervaſſe dalla Giamaica,
che
non eſſendo lontana che centoven-
ti
miglia italiane incirca nella ſteſſa la-
titudine
, potrebbe in una notte oſcura
e
quieta farſi comodiſſimamente, ſe ne
oſſervaſſe
dico il rumore, avremmo il
tempo
impiegato dal ſuono a ſcorrere
queſto
conſiderabile tratto di aria, e
lo
avremmo accelerato da quel vento
Lo
avremmo dal medeſimo
115CVII ſe nella ſteſſa coſtituzione di aria ſi re-
plicaſſe
l’ oſſervazione all’ oppoſto;
e
con
queſti due fatti ella vede, che po-
trebbeſi
calcolare eſattamente la celeri-
almeno di quel vento che colà re-
gna
, e quella del ſuono.
Ma chi po-
trebbe
poi aſſicurarſi che queſta eſſen-
do
ſtata ſul mare, foſſe la medeſima
che
ſtata ſarebbe in un luogo terreſtre?
e chi potrebbe eſſer certo, che gli aliti
marini
non meritaſſero anch’ eſſi di eſſe-
re
meſſi in conto?
I Signori Halley, e Dampier, che
hanno
viaggiato moltiſſimo ſu i Vaſcelli
d’Inghilterra
, ci hanno dato molte belle
oſſervazioni
circa i venti che ſpirano
regolarmente
pei mari che hanno ſcor-
ſi
, ma non hanno potuto oſſervar tut-
to
.
Chi ſa che i Signori Franceſi ſpe-
diti
con tanta magniſicenza dal Re all’
Indie
occidentali ſolamenre per
116CVIII la natura, non ci diano ancora qualche
notizia
ſu queſto?
Codeſte e varie altre riſleſſioni me-
no
importanti che per brevità tralaſcio,
mi
giuſtiſicheranno appo lei, ſe ho det-
to
credere diſſiciliſſimo almeno per ora,
il
potere determinare eſattiſſimamente la
velocità
aſſoluta del ſuono in una co-
ſtante
temperie di aria, e le alterazio-
ni
, che nei moti e cangiamenti dell’ at-
mosfera
eſſo poſſa ſoffrire.
Colle mie oſſervazioni anch’ io avrei
potuto
ſtabilire a un di preſſo la velo-
cità
del ſuono in un dato tempo nella
noſtra
Italia, e quindi paragonarla a
quella
che determinarono i Fiorentini,
ed
alle altre ſtabilite fuori d’Italia.
Ma
per
far queſto biſognava miſurare eſatta-
mente
la diſtanza del colle ove oſſerva-
vamo
dalla fortezza dove ſparavaſi, im-
preſa
che troppa fatica importava.
Il
117CIX Euſtachio Zanotti, che ha propoſto all’
Accademia
dell’Inſtituto un metodo per
determinare
la ſigura della Terra, ricer-
ca
che ai giorni noſtri ha intereſſato
tutto
il Mondo ſiloſofo, effettuando il
ſuo
progetto pieno di ingegnoſiſſime ri-
fleſſioni
, potrebbe ſupplire a queſta mia
mancanza
.
Il metodo da lui propoſto
importa
il miſurare un’arco di un para-
lello
nella ſuperſicie della Terra, nella
qual
miſura entra per l’appunto ancora
codeſta
ricercata mia diſtanza.
Io credo di averle dato in queſta mia
lettera
, ſe non altro un’indizio almeno
della
mia ſincerità, narrandole le oſſer-
vazioni
che ho fatto, e dopo quaſi fa-
cendone
io medeſimo la critica.
Sareb-
be
deſiderabile che molti Filoſoſi in tan-
te
altre occaſioni aveſſero fatto il me-
deſimo
, e così non ci avrebbero laſciato
tante
oſſervazioni infedeli, overo
118CX toriamente ſcritte, voglio dire tacendo
quello
che non fa per loro, ed aggiu-
gnendo
peſo a tutto ciò che credevano
favorire
i loro ſiſtemi.
Oſſervazioni che
invece
di ajutare i progreſſi della Fiſica,
non
ſolo li ritardano, ma la involgono
di
tali incertezze e contraddizioni, che
alle
volte ci troviamo più all’oſcuro do-
po
, che avanti di averle lette e con-
ſiderate
.
Le bacio divotamente le ma-
ni
, e mi raccomando alla di lei ſtima-
tiſſima
grazia, ed a quella del ſuo ſido
Acate
, il gentiliſſimo Sig Seguier.
119
NOI RIFORMATORI
Dello Studio di Padova.
AVendo veduto per la Fede di Reviſione, ed Ap-
provazione
del P.
_Fra Paolo Tommaſo Manuelli_
_Inquiſitore
di Venezia_ nel Libro intitolato:
_Delle Caraffe_
_di
Vetro, che ſcopiano al minimo sfreggio, che vi ſi faccia nel_
_fondo
&
c._ non v’eſſere coſa alcuna contro la Santa Fede Cat-
tolica
;
e parimente per Atteſtato del Segretario Noſtro,
niente
contro Principi, e buoni coſtumi, concediamo
Licenza
a _Simone Occhi Stampatore in Venezia,_ che poſ-
ſa
eſſere ſtampato, oſſervando gli ordini in materia di
Stampe
, e preſentando le ſolite copie alle Pubbliche Li-
brerie
di Venezia, e di Padova.
Data li 27. Maggio 1746.
[Gio: Alviſe Mocenigo ſecondo Rif.
[Giovanni Querini Proc. Rif.
[
Regiſtrato in Libro a car. 28. al n. 25.
Michiel Angelo Marini Seg.
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